Tindaro Granata torna a Firenze al Teatro di Rifredi con LA LOCANDIERA produzione di Proxima Res, per la regia raffinata e puntuale di Andrea Chiodi, dopo La Bisbetica Domata nella scorsa stagione – che fu occasione per una bella intervista. Un classico che in poco meno di due ore conquista il pubblico a suon di risate e colpisce per la sua inaspettata modernità.
A cura di Federica Murolo, Martina Corsi e Alice Capozza
Sulla scena cinque attori che sembrano moltiplicarsi mascherandosi per ogni cambio di personaggio e oplà diventare marchese, conte o serva. Un lungo tavolo praticabile bianco attorno sopra e sotto il quale si muovono i protagonisti. Qualche sedia, rigorosamente bianca, e cinque appendiabiti a rotelle, che fanno da quinte e incorniciano il palco. Appesi i costumi dal disegno antico ma caratteristicamente esilaranti che gli attori, incipriati di cerone bianco e gote vermiglie, indossano a vista e che completano di parrucche e copricapi grandi ed ingombranti. Scene e costumi curati da Margherita Baldoni si mostrano nella loro coerenza e sintonia con le scelte registiche.
Bianco anche il disegno luci di Marco Grisa: luce fredda quando la commedia si svolge sopra il tavolo e i personaggi recitano alla luce del sole, calda quando invece si ritagliano un momento più intimo con se stessi per dare vita al proprio pensiero o svelare al pubblico i propri piani, tranelli ed intenzioni. Infine lume di lampadine e fiammelle di candelabro quando i protagonisti si rifugiano sotto il tavolo. L’atto è unico, ma il regista ci fa capire chiaramente a che punto siamo dell’opera quando gli attori escono dai personaggi per dare voce a Goldoni stesso. E qui la luce calda torna di nuovo in un angolo del tavolo per avvolgere il pubblico ancora più nell’opera.
Ogni personaggio trova il proprio doppio in un manichino, una piccola bambola modellino che lo rappresenta con i suoi stessi vestiti, suo vice e specchio: intelligente escamotage che viene usato nella moltiplicazione dei personaggi interpretati da un solo attore, oltre che un richiamo all’aria divertita e giocosa dell’intero adattamento.
La compagnia Proxima Res porta in scena un gruppo ben affiato di bravi attori. Caterina Carpio e Caterina Filograno sono le due trasformiste che si sdoppiano in molteplici ruoli, dalle sguaiate commedianti al raffinato e ricco Conte d’Albafiorita, rivale di Tindaro Granata nel ruolo del Marchese di Forlimpopoli che cattura tutti con la sua caratteristica risata: basta un non nulla per far divertire il pubblico e caratterizzare il nobiluomo debole e quindi – per vecchia associazione di idee – effeminato. La Mirandolina di Mariangela Granelli è una donna decisa e volitiva, che abilmente riesce ad ottenere protezione e denaro dagli uomini, si lascia ammirare e corteggiare, senza mai concedersi e soprattutto mantenendo la sua libertà. Una donna-imprenditrice, diremmo oggi, alla guida da sola di una locanda, che con un grande spirito vitale non vuole assolutamente perdere la propria indipendenza solo perché la società impone il matrimonio come buon costume. E’ la donna che si impunta e mette alla prova l’uomo più difficile da far capitolare, per rimarcare ancora una volta i suoi principi. Il misogino Cavalier di Ripafratta è interpretato da un efficace Fabio Marchisio che si innamora follemente suo malgrado di Mirandolina, ma perde la sfida contro il servo fedele e compagno Fabrizio (intepretato da Caterina Filograno), il dolce e premuroso pretendente che la protagonista sposerà nel finale goldoniano, seguendo il consiglio del padre di unirsi ad un uomo affidabile della sua stessa classe sociale.
Il tema dell’amore è cruciale, amore che appare come un sentimento irresistibile di fronte al quale si può solamente deporre le armi. Amore gioco e tormento in dialogo e contrapposizione con la libertà delle proprie scelte, nella lotta della protagonista che non vuole legarsi a nessun uomo – concetto sicuramente molto moderno ai tempi di Goldoni e che oggi ci interroga ancora moltissimo. Amore come conquista, sfida tra pretendenti, che si rincorrono a suon di proposte e regali, ma che alla notizia del fidanzamento finale di Mirandolina, abbandonano le loro parrucche, come i soldati abbandonano le spade sul campo di battaglia in segno di resa.
Il linguaggio è pulito e ben comprensibile, ogni attore ha una sua particolare cadenza facendo entrare il pubblico dentro quella che doveva essere la vera vita di una locanda: un posto frequentato da forestieri e nobiluomini provenienti da varie parti del territorio per riposare. Il tutto si svolge a Firenze, come ci ricordano i vecchi stornelli e canti che echeggiano nei cambi scena, come “La Porti un bacione a Firenze” e “Mattinata fiorentina” per quanto fuori tempo ci regalano una piacevole suggestione del passato.
E’ questa una Locandiera viva e brillante, una giostra in cui ogni ingranaggio funziona alla perfezione e noi sogniamo e danziamo coi protagonisti. La narrazione è divertente e rimbalza fluidamente con grande ritmo: anche se conosciamo la trama, rimaniamo incollati aspettando di vedere in quale ennesima pantomima finiranno i personaggi della nostra storia.
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
regia Andrea Chiodi
con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio, Caterina Filograno, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Fabio Marchisio
scene e costumi Margherita Baldoni
disegno luci Marco Grisa
musiche Daniele D’Angelo
produzione Proxima Res
Teatro di Rifredi, Firenze
24 gennaio 2020