LA GOVERNANTE @ Teatro Quirino: La Sicilia mai sbiadita di Brancati

Il Quirino il 5 marzo -in una bella serata che ci suggerisce il clima della bella Sicilia qui esportata- ha ospitato, come un riflesso remoto, il debutto de LA GOVERNANTE fatica di un ultimo Vitaliano Brancati. Resta in scena fino al 17 marzo.

Brancati scrive nel lontano 1952 "La Governante", il suo lavoro più compromettente che lo condanna senza assoluzione alla bieca censura di via Veneto sino alla morte avvenuta solo due anni dopo. Sarà la sua ex moglie: Anna Ploclemer a portarlo in scena negli anni '60, prima a Parigi e poi nel nostro paese ma solo dopo l'abolizione dell'odiosa castrazione intellettuale. La gabbia dei pensieri era stata aperta. L'ufficio dismesso. Il tema spinoso censurato colto dai benpensanti da subito (perché non vanno oltre come lamentava lo stesso autore), è l'omosessualità. Qui tra due donne, ma non è questo il punto. Nel lavoro di Brancati c'è una denuncia molto più sottile che si insinua sotto l'epidermide e la superficie delle cose: la “calunnia”. Il pregiudizio: il male autentico rigettato da borghesia e baroni, qui d'accordo come non sempre accade. L'amore contro natura monta il rancore verso il diverso o magari la paura nei riguardi di chi o cosa può minare certe regole secolari ormai codificate e accolte. Una pietra miliare ben piantata sul ciglio della via del sapere da non muovere, scostare, radicata nel tessuto della terra e delle carne. I terremoti destabilizzano: allora si tenta di governarli, evitarli o soffocarli. La governante Caterina Leher è stata assunta in casa Platania: è francese, calvinista e lesbica. Troppo per quel piccolo mondo fatto di recinzioni, ferro spinato e panorami troppo brevi. Corti. Di verità assolute induscustibili. Questa ombra fosca causa evoluzioni e un finale tragico che Ferro staglia nera sul fondo della scena. Anche qui si pesa la mole spessa della morale collettiva sull'individuo che non può fare altro, questi, che lasciarsi schiacciare, impotente, nell'impari scontro di masse contrapposte.

La regia della pièce di Guglielmo Ferro, (figlio d'arte di quel Turi straordinario che portò la storia già in scena con la regia di Squarzina e sul grande schermo con Grimaldi) fa emergere per intero, limpido, senza reticenze, quell'atteggiamento coercitivo dei baroni siciliani che mandano in galera i loro figli non partoriti, i mezzadri, i servi pur di salvare la pelle unguentata in nome di un Dio che avrebbe forse voluto altro e di una giustizia che non c'è. Arriva senza filtri fino in platea l'odore dolce della bonomia e della fiducia cieca nascosta nella puzza acre degli indumenti sdruciti del povero portiere che vuole immolarsi per il padrone. C'è tutta l'ingiustizia legalizzata dalla morale comune, che permette all'uomo o maschio d'essere libertino perfino davanti agli occhi rassegnati della moglie. In questo clima di regole imposte unilateralmente, c'è un fuoco vivo che brucia nell'anima di Caterina che cerca e non trova la giustificazione della sua natura ingombrante nei libri, e incolla la sua colpa sulla giovane Jana, la cameriera: un animale randagio, scalza in una casa di signori, che non capisce neanche perché viene licenziata e rispedita frettolosamente in Sicilia come un pacco scomodo. La famiglia Platania difatti si era trasferita a Roma e aveva portato con se tutto il carico di convinzioni isolane tatuate nella pelle e nei pensieri. Leopoldo si muove, si dimena, ma è l'unico almeno che si pone domande quando innanzi gli si presenta l'incongruenza delle sue certezze e la crudeltà dei suoi effetti sulla vita dentro e fuori le sue eleganti mura domestiche.

Abbiamo apprezzato la verità che ci restituisce con onestà d'attore Enrico Guarneri. Quell'inveire contro tutti in nome di un amore sconfinato e genuino. Quell'omertà di parole dolci ritenute nocive. Quell'alzare la voce quando i concetti stessi non lo sono: alti e credibili appunto. Ci viene naturale e inevitabile il confronto con l'interpretazione di Turi Ferro e l'aspettativa viene delusa. Ma scopriamo comunque un attore convincente che incarna quella sicilianità clericale e benpensante anni '50. Guarneri viene apprezzato molto dalla platea che gli dedica l'applauso più sentito che lo decreta a protagonista di questa pièce.

Ornella Muti ci propone una versione nuova di Caterina, anche qui il nostro ricordo va a quella straordinaria Proclemer in coppia con Tedeschi. Ci sembra a tratti sottotono e troppo intenta a calibrare voce e certe sue personali intonazioni. Siamo più abituati a vederla al cinema, comunque un'ottima presenza scenica che incanta come sempre.

Rosario Marco Amato è Enrico, figlio lascivo di Leopoldo. Ha le fisic du role ma ci pare troppo intento a esibire la bella voce e certe intonazioni preconfezionate. L'avremmo voluto più morbido seppure non dimesso, meno impostato specie quando parla col padre e con la moglie e quindi dovrebbe avere toni diversi. Anche Caterina Milicchio, la moglie di Enrico, per quanto debba impersonare “la cretina” epiteto usato e in abbondanza da una certa cultura maschilista e qui abilmente replicato dal Brancati, non ci convince, rimane sempre impigliata nel cliché e in ogni occasione dentro quella recitazione stereotipata senza mai lasciarsi travolgere dai fatti che le si presentano puntuali. Ci piace Jana, Nadia De Luca e la sua acuta disperazione per avere perso il posto e soprattutto per non averne compreso la ragione. Ci diverte lo scrittore Bonivaglia qui Rosario Minardi anche lui intrappolato dentro il suo enfatico personaggio che fa il verso agli intellettuali distaccati da certe miserie casalinghe. Tiene lo stesso tono per tutta il tempo dello spettacolo senza mai scendere a toni più veri e autentici. Ci piace molto il portiere: Turi Giordano: misurato, autentico. In scena anche Naike Rivelli, ci piace seppure nel suo piccolo ruolo, e ci ricorda una giovane Muti per bellezza, voce e intonazioni.

Ci sembrano, gli attori, ognuno provenire da esperienze e ambiti professionali diversi. Manca quella omogeneità, quella partitura unica che aiuta la messinscena a divenire replica verosimile della realtà o sua trasposizione. Il regista forse non vuole indirizzare diversamente o limitare le inclinazioni naturali degli interpreti e li lascia a briglia sciolta. Ferro ripropone il testo originale, la durata e la mancanza a tratti di ritmo, impegnano e affaticano lo spettatore nelle due ore e passa di spettacolo.

Le luci sono calde, avvolgenti. Giuste. La scenografia perfetta ed evocativa di un periodo passato, mai sbiadito ancora incagliato in certe dibattiti nei caffè di Sicilia.

Info:
La governante
5.17 marzo
Teatro  ABC Catania / Teatro Arte
Produzione Corte Arcana/Isola Trovata
ORNELLA MUTI
ENRICO GUARNERI
LA GOVERNANTE
di Vitaliano Brancati 

regia Guglielmo Ferro

e con Rosario Minardi  Nadia De Luca   Rosario Marco Amato
Caterina Milicchio   Turi Giordano   Naike Rivelli

scene Salvo Manciagli
costumi Dora Argento
musiche Massimiliano Pace

Lo spettacolo ha una durata di 2 ore più intervallo

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