LA GEOGRAFIA DEL DESIDERIO @ Palazzo Pretorio: l’arte di Filippo Lippi da popolare a pop

Per celebrare il quinto compleanno del nuovo allestimento di Palazzo Pretorio dopo la pluriennale chiusura, il Comune di Prato si è affidato a Luca Scarlini, drammaturgo e scrittore, e a La Geografia del desiderio, testo originale composto per l’occasione. Nello spazio dell’antico tribunale della città e circondato dalle tavole di Fra’ Filippo Lippi, l’autore si è proposto mentore e narratore, un Virgilio in grado di accompagnare il pubblico in un viaggio attraverso le contraddizioni del Rinascimento combattuto tra il culto di Dio e la necessità di un pensiero indipendente. Un dissidio che il frate-pittore fiorentino ha incarnato con il suo incorreggibile amore per la bellezza femminile eternata nei suoi capolavori.     

Perché scandalizzarsi se la fama di Filippo Lippi ha oltrepassato i confini dell’arte figurativa per finire in letteratura e addirittura nel panorama musicale norvegese? Se Robert Browning gli ha dedicato un poemetto il cui titolo è diventato il nome di un gruppo scandinavo new-wave? Nel corso dei secoli Lippi è stato una vera icona pop ancora oggi capace di incuriosire per le sue vicende personali e di meravigliare per la bellezza che è riuscito a produrre. Nei lineamenti della Santa Margherita a lato della Madonna nella tavola alle spalle dello spazio scenico si può ravvisare la delicatezza di Lucrezia Buti, quella suora di clausura che divenne amante del pittore a poca distanza dal palazzo. E nonostante si potesse considerare dissoluta e peccaminosa, quella storia d’amore fu capace di generare nuova bellezza con la nascita di un figlio che diverrà l’altrettanto celebre artista Filippino.

Al pubblico accomodato sui divanetti, che permettono di ammirare da pochi centimetri di distanza i dettagli di solenni polittici a fondo oro, Luca Scarlini nei panni di un sacerdote laico rivolge lo sguardo sopra le teste dei presenti a contemplare quei capolavori che sembrano ispirarlo durante la dissertazione. Perché proprio di dissertazione si tratta: con un ritmo altalenante tendente al crescente le vicende personali del pittore e della sua amante si intrecciano rapidamente con la filosofia umanistica del Rinascimento fiorentino. Come Marsilio Ficino dedica uno scritto alla voluptas, al piacere, che diventa un modo di godere e contemplare sulla terra la meraviglia del Regno dei Cieli, in una concezione puramente neoplatonica, così il corpo diventa poesia e in quanto tale merita devozione. In quegli stessi anni è il Magnifico a ricordarci che “del doman non c’è certezza” in un’ottica dell’hic et nunc per cui l’arte diventa mezzo di eternizzazione di un istante, di quell’istante che è così perché Dio lo ha voluto così, e lo ha espresso attraverso l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. Fra’ Filippo Lippi, nato e cresciuto in quella Firenze, esprime costantemente questo principio e non poteva pertanto esistere luogo migliore di questo per dimostrarlo: tra gli sguardi popolari dei santi e le espressioni impertinenti degli angeli fino agli affreschi del vicino Duomo dove Salomè ad ogni sguardo sembra riprendere la sua leggiadra danza al cospetto di Erode.

In un trionfo del desiderio che lo stesso Ficino intendeva come lo “scatenamento dell’indipendenza di pensiero” la storia d’amore con Lucrezia Buti sembra così perdere quell’aura di scandalo con cui è stata perpetrata nei secoli a seguito di quella cancellazione del desiderio stesso professata dal Savonarola, alla fine impiccato ed arso con il medesimo, ironicamente detto, device usato per il bruciamento delle vanità.  Il pittore fiorentino subirà dopo allora una sorta di gogna mediatica dalla quale riuscirà ad emergere solo quando  Oltremanica Sir Robert Browning recupererà il suo “dissoluto” passato che ben si confà con quel Rinascimento carnale tanto caro ai britannici ed ai preraffaeliti in particolare, in cui il desiderio non è più quello neoplatonico di Ficino e diventa bisogno di trasgressione nell’era dell’ipocrisia vittoriana. E ovviamente questo aspetto non poteva certo sfuggire al nostrano D’Annunzio che, studente al Liceo Cicognini di Prato, si dichiarava spiritualmente e fisicamente “secondo amante di Lucrezia Buti”.

Filippo Lippi diventa protagonista non solo della sua epoca ma, suo malgrado, anche della nostra ed attorno ai suoi morbidi tratti e alle sue impalpabili trasparenze aleggia sempre quella voglia di gossip come se ancora oggi la storia d’amore tra un frate ed una suora potesse scandalizzare. E allora non può mancare, ad accompagnare in maniera discreta il sermone del nostro sacerdote laico, l’anima di Lucrezia che con le cuffie alle orecchie danza tra le opere esposte come una Salomè 2.0. Alla delicata armonia dell’originale nella Cappella Maggiore del Duomo si sostituiscono i ritmi meccanici dell’inizio, per noi inudibili ma deducibili, che lasciano spazio ai movimenti più cadenzati della seconda parte. L’attrice Maria Caterina Frani raramente interagisce con Scarlini e con un’espressione concentrata, a tratti quasi ipnotica, si insinua negli spazi comparendo improvvisamente al pubblico che, quasi dimenticatosi di lei, ne ravvisa inaspettatamente la presenza.

Con l’aiuto di un taccuino da investigatore di impronta britannica e un abbigliamento total black da memento mori fatto di teschi che si mostrano nel pomello del bastone e nella catena appesa ai pantaloni somigliante ad una corona del rosario, Scarlini snocciola citazioni e nozioni senza correre il rischio di apparire troppo didascalico. Con ritmi di recitazione variabili, talvolta fin troppo accelerati, il pubblico ha compiuto così un viaggio attraverso i secoli in cui talvolta crediamo si sia perduto non riuscendo a cogliere appieno il filo logico dell’inarrestabile dissertazione. Ad uniformare ed ammantare il tutto di arte, oltre i capolavori intorno a noi, ci pensano le movenze della Frani che, nella città laniera per eccellenza, pare disegnare un ordito intorno alla trama tessuta dal compagno di scena con le sue parole.

Qualsiasi sia l’accezione che il desiderio ha assunto nel corso del tempo, Filippo Lippi ne ha incarnato ogni aspetto e anche dopo la morte, grazie al corpo e allo spirito di Lucrezia eternata con la sua arte, ha continuato ad alimentare curiosità e magari addirittura morbosità. Pertanto è come se, dopo aver usato per una vita i pennelli, fosse riuscito a raffigurarne i contorni lungo gli ultimi 500 anni con le sue contraddizioni, il suo essere uomo fatto di carne e sentimenti. All’uscita dall’antico Palazzo Pretorio abbiamo così la sensazione che il risultato di quell’intreccio di trama e ordito sia proprio una complessa ed affascinante raffigurazione del pianeta Desiderio. Appunto una Geografia del Desiderio.

LA GEOGRAFIA DEL DESIDERIO
di e con Luca Scarlini
e con Maria Caterina Frani
con il contributo di Comune di Prato, Museo di Palazzo Pretorio
Foto Andrea Becucci, Anna Pierini

Palazzo Pretorio, Prato
12 aprile 2019 

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