Il Teatro Le Salette spalanca porte e palco ad un grande autore del Seicento: Giambattista Basile con la sua graffiante “Gatta Cenerentola” fino al 17 febbraio 2019.
La riduzione teatrale è di Francesca e Natale Barreca che restituiscono abbastanza fedelmente in drammaturgia il testo originale dell'autore campano.
Stefano Maria Palmitessa dirige la compagnia “Paltò sbiancato” composta da Alfonso Di Vito, Elisabetta Giacobbe, Alessandro Laureti, Massimiliano Calabrese, Mary Fotia, Viola Creti, Sergio Dolzi, Filippo Di Lorenzo, Imma D’Orsi, Francesca Bertocchini. Le musiche sono di Valerio Gallo Curcio, i costumi di Mary Fotia, le coreografie di Mara Palmitessa, l’assistente alla regia è Filippo Di Lorenzo.
C'è trepidante attesa per la pièce di Basile: autore dimenticato che sta vivendo in questo ultimo periodo un momento di meritata rinomanza artistica sia nel grande schermo con Garrone e il suo "Tale of tales" del 2015, sia a Teatro.
Palmitessa, artista colto e ricercato, pesca nell’epico e ricco contenitore: Lu cuntu di li cunti, la Fiaba delle fiabe e per chi bazzica Napoli e provincia: Lo trattenemiento de peccerille. Fiaba per piccoli, quindi, perché così nasce nelle premesse e promesse la raccolta di fiabe: se ne contano cinquanta, ma per la complessità della trama e la sua truce coloritura, l’autore destina i racconti da subito ad un pubblico adulto.
La Gatta Cenerentola è un racconto tramandato da generazioni e rimescolato dalla penna visionaria di tanti autori. Inevitabile il confronto con la Cenerentola edulcorata di Disney, ma ci viene in mente quella di Perrault, dei fratelli Grimm, di Radopi e quella altrettanto nostrana e napoletana di De Simone. Centinaia di versioni. Anche la traduzione che Croce fa della raccolta tutta, definendola come il più ricco dei libri di fiabe popolari, non è scevra di attente epurazioni letterarie lesive per lui della dignità femminile. Si noti che siamo negli anni Venti. Questa versione restituisce senza reticenze l'aspra verità di una storia fosca ben lontana dalla ovattata e commerciale Cenerentola dalla scarpetta di vetro e principi in cerca dell'agognato e puro amore.
Qui la questione è molto diversa: si denunciano palesemente le voluttà dell'aristocrazia potentata che emana senza scrupoli il suo inequivocabile editto: si cerca una vergine da invitare a corte e a nozze. Nessuna donna è esentata nel circoscritto feudo del piacere. Ci pare di intuire, e qui sta il valore di preservare la genuinità di certi testi antichi, che la verginità era già una rarità in tempi lontani a dispetto di quello che si pensa.
La Gatta Cenerentola: il significato di una fiaba
Palmatessa e i Barreca fanno un lavoro di archeologi d’esperienza perché riesumano uno scrigno di cultura senza cambiarne la materia. L'icona fuorviante al primo giudizio, diviene da subito la nota scarpetta dove accomodare il piedino o meglio, si scopre, la pulsione fallica dal sangue blu poco cobalto. Delle tante che il regista aveva davanti, la versione che prende vita grazie alle corde vocali sonore della compagnia Paltò sbiancato è la più grottesca.
Il linguaggio tragicomico, Basile, lo sfrutta abilmente per veicolare vizi e virtù dell'essere umano d'ogni classe: nobili e plebei, ricchi e pezzenti. Nessuno si salvi. Basile era una moralista e ambienta le sue fiabe tra le miserie di Napoli e del Sud dove vive e respira affannosamente la sua polvere e ne beve il liquame. Manca aria e acqua e Basile denuncia tutti. Se il principe desidera la vergine senza scrupolo alcuno; Cenerentola plebea non è da meno, perché uccide la matrigna, qui il patrigno nell'idea registica di Palmitessa.
Per l'autore la vita è geometrica e tutto torna. C’è un riverbero inevitabile. La natura restituisce pene severe tanto da dare a Cenerentola un altro patrigno peggiore che la riduce in stracci e cenere e da qui l'eloquente epiteto ed il titolo del racconto. Nel Melodramma c'è tutta la frustrazione del popolo affamato dal quotidiano e assetato di broccati e di abiti lunghi, di cene sontuose e di balli regali. Di sogni. Ma nulla arriva come un regalo, e allora tocca affilare le armi. C'è l'evento ridondante della trasformazione da animale ad essere umano, dunque dopo la rana che diventa principe grazie al bacio, qui c'è una Gatta che diviene donna e principessa per gentile concessione della scarpetta.
Riscatto dell'Essere in Super Essere. Echi marcatamente antropomorfi che il regista ribadisce nelle maschere dei personaggi e nel colore della loro pelle naturalmente verde come certi animali o forse come la natura per l'appunto… Benedetto Croce per primo censura certe parole nel suo meticoloso lavoro di traduzione per rispetto delle donne come già detto, anche Palmatessa restituisce dignità al sesso debole con una posa plastica sul finire della messinscena che ricorda le sculture del Bernini (Apollo e Dafne) ma dopo aver rispettato il testo per tutta l’ora e mezza di spettacolo.
La Gatta Cenerentola: una pièce coraggiosa
Testo coraggioso, scritto per il divertimento delle corti e come spesso accade sono proprio queste a rimanere nel mirino della satira pungente. Pièce altrettanto coraggiosa. Palmitessa dona luce nuova, fresca ad un'opera barocca non sempre portata in scena con l’assiduità che meriterebbe. Gli attori si muovono a mezzo busto volutamente coperti da un telo nero. Una paratia che nasconde sapientemente i trucchi del mestiere. C'è un uso sincronizzato della folta attrezzeria che stupisce e diverte.
Si recitano i toni della commedia farsesca ma che sa trasmettere il disagio dell'esistenza umana in cerca perenne della soddisfazione di desideri e pulsioni. Cantano gli interpreti in play back e dal vivo. Le musiche sono originali e tornano spesso probabilmente come le ossessioni covate dai personaggi. Di tanto in tanto gli attori non sono illuminati a dovere dal taglio di luci. Rimangono in ombra. Gli stili musicali utilizzati sono molto interessanti ma sono diversi e questo non ci permette di collocare la vicenda in un'epoca ben definita. Non c’è omogeneità. Se il fine è quello di non dare alcuna collocazione alla pièce, rimane comunque la sensazione che si cavalca con troppa disinvoltura il tempo e questo confonde e distrae. Qualche brano che Cenerentola canta in play back ha voci diverse, o almeno così sembra, e si passa peraltro dall'italiano al dialetto al punto che il personaggio pare avere colori diversi, troppo, tanto da presentare al pubblico una doppiezza che ci allontana da quel carattere univoco che vorremmo affettuosamente darle, per volerle bene. In alcuni momenti, per quantità, la musica ha la meglio sulla prosa. Ci sarebbe piaciuto non vedere la batteria di microfoni perché sono uno strumento tecnico e non parte della storia.
Si tratta di lievi sbavature o solo il nostro desiderata poiché il testo è già importante e può essere alleggerito di sovrastrutture. Ci piace la perfomance dei patrigni e in particolare del camaleontico Alfonso Di Vito capace di vestire i panni di personaggi lontani per connotazione (chi vi scrive l'ha seguito in altri lavori). Pièce, dunque, meritevole di attenzione che consigliamo vivamente di vedere e di non perdere.
Info:
Alfonso Di Vito
Elisabetta Giacobbe
Alessandro Laureti
Massimiliano Calabrese
Mary Fotia
Viola Creti
Sergio Dolzi
Filippo Di Lorenzo
Imma D’Orsi
Musiche di Valerio Gallo Curcio
Costumi di Mary Fotia
Coreografie di Mara Palmitessa
Assistente alla regia Filippo Di Lorenzo
Trucco ACCADEMIA DI TRUCCO PROFESSIONALE