LA DONNA FATTA A PEZZI @Teatro Manzoni di Calenzano: in scena il mondo islamico femminile tra passato e presente

La stagione 2016/2017 del Teatro Manzoni di Calenzano ha chiuso il 30 aprile con la messa in scena de “LA DONNA FATTA A PEZZI” tratto dalla raccolta di racconti: “Nel cuore della notte algerina”  (Giunti editore 2016) della scrittrice, più volte in odore di Nobel, Assia Djebar. Si chiude così il percorso incentrato sulle “sfide” che il centro di drammaturgia “Il teatro delle donne” ha scelto come fil-rouge delle rappresentazioni in quest’ultima stagione.

Con una prospettiva capovolta per cui lo spettatore viene fatto accomodare nel dietro le quinte del teatro, si è subito catapultati in un ambiente che non può non ricordare “Le Mille e una notte”: un morbido tendaggio sullo sfondo, un grande tappeto al centro e alcune lanterne che proiettano ricami di luce. In questo contesto ognuno dei presenti non attende altro che al suono di una arabeggiante melodia facciano il loro ingresso l’Algeria di Assia Djebar, le ammalianti storie di Sherazade e l’attore che si fa portavoce di tutto ciò, Antonio Fazzini.

E’ proprio affidato a quest’ultimo il compito di rappresentare parallelamente la storia di Akita, una insegnante di letteratura nata in Algeria prima della liberazione e interessata ad accompagnare i suoi studenti attraverso una lettera critica de “Le Mille e una notte”, e quella de “La donna fatta a pezzi”, protagonista dell’omonimo racconto. Quest’ultima, in attesa del quarto figlio ed innamoratissima del marito, sarà sospettata di tradimento dal consorte il quale ha affrontato un viaggio di dieci giorni per portarle le mele rosse tanto agognate. Quando si scoprirà che nessun tradimento c’era stato e che si era trattato solo dello sporco piano di un califfo desideroso di rivalsa, sarà troppo tardi: il corpo della donna è già finito in pezzi dentro una cassa di legno d’ulivo sul fondo del fiume Tigri. La stessa fine sarà riservata ad Akita: accusata di tradimento dai fondamentalisti, sarà uccisa di fronte ai suoi studenti durante l’ultima lezione.
Attraverso un percorso portato avanti su doppio binario dal magistrale Antonio Fazzini, i temi dell’emancipazione e della libertà di pensiero assumono i contorni, la voce e il cuore di Akita che non vuole fare propaganda politica o inneggiare a quella o all’altra religione ma vuole instillare nei suoi studenti la capacità di esercitare un pensiero critico per non diventare solo parte di una massa, facilmente manipolabile da partiti o fanatismi, ma un essere pensante autonomo e, appunto, libero.

La trasposizione scenica di questo messaggio di bruciante attualità è affidata alla regia di Filippo Renda che, non amando dirigere dei monologhi, come lui stesso ha dichiarato durante l’incontro con il pubblico post-replica, decide di far dialogare i vari personaggi immaginandoli in scatole di legno colorate che su piedistalli appositamente dedicati vengono animati dall’abile Antonio Fazzini, che non solo dà loro voce e movimento ma ci aggiunge l’anima e il cuore. Proprio per comprendere quale sarà la funzione dell’attore in scena, lo stesso Fazzini introduce drammaticamente lo spettacolo salutando il pubblico grazie al quale lui è in grado di “esistere” come in un meccanismo di metateatro per cui l’attore infonde uno spirito ai personaggi con l’augurio che il loro cuore, almeno per un attimo, batta all’unisono con quello dello spettatore, che in questo modo riesce a completare la complessa messa in scena.
Come si trovasse in un luogo di culto, in cui ogni oggetto è sacro e deve essere manovrato con rispetto e devozione, Antonio Fazzini inizia il racconto con l’emozione e la trepidazione della giovane professoressa Akita che finalmente avrà 5 giorni di lezione con una classe tutta sua, per una lettura critica del racconto “La donna fatta a pezzi”. Proprio da qui si passa subito indietro ad un altro piano narrativo che viene abilmente distinto con un gioco di luci: più calde e soffuse per accompagnare le parole di Sherazade, più fredde e intense per accompagnare quelle moderne di Assia Djebar. Una cassa di legno d’ulivo trovata da un pescatore in fondo al fiume Tigri e consegnata al califfo della città di Baghdad, si scopre contenere il corpo di una donna fatta a pezzi avvolto in un tappeto intessuto di fili d’oro a sua volta inserito in una cesta di foglie di palma cucite con fili di lana. Ed ecco perciò che iniziano a comparire i primi oggetti di scena che, come si trovasse in una moschea, l’attore sposta e maneggia con un senso di sacralità che incanta il pubblico aiutandolo a immaginarsi questo o quel personaggio in un meccanismo di scatole cinesi che si sviluppa durante tutto lo spettacolo.

Lentamente ma senza il rischio di cali d’attenzione da parte dei presenti, Antonio Fazzini interpreta la storia della “donna fatta a pezzi” in attesa di un quarto figlio e timorosa di non riuscire a sopportare il peso, a soli 21 anni, di una ulteriore gravidanza
Quando una delle mele richieste dalla donna  scomparirà da casa e sarà ritrovata dal marito nelle mani di uno schiavo eunuco che dichiarerà di averla ricevuta da una donna fedifraga all’insaputa del marito “cornuto” (cit.), i toni della recitazione aumentano sia in ritmo sia in intensità.
Fazzini sposta i “personaggi” e comincia a svelarne il “contenuto” con la mela rossa che, quasi in una sorta di gioco di prestigio, sembra passare da una scatola all’altra mentre l’attore abbraccia e parla agli oggetti infondendo in loro quel soffio vitale che ci permette di immaginare in quelle scatole i lineamenti di un perfido califfo o di una ragazza affaticata o, ancora, di un uomo fremente ed innamorato.
Lo sguardo non viene mai distolto dagli oggetti in scena e sembra voler ipnotizzare quelle, altrimenti, aride scatoline di legno colorato, ad eccezione della sfortunata protagonista, bianca candida, non tanto per la sua verginità ma per l’innocenza della sua anima che non basterà a salvarla. Infatti a questo punto, la poesia della storia d’amore si interrompe bruscamente in una visione della mela che ricorda il fazzoletto di Desdemona di shakespeariana memoria: il marito, colto da un raptus di gelosia, non esiterà a pugnalare la donna, calunniata come l’eroina del teatro inglese e immolata sull’altare dell’egoismo e della sete di potere; e proprio su un altare, illuminata da un fascio di luce, finirà al centro della scena come una reliquia sacra degna di essere adorata dall’attore inginocchiato e dagli spettatori che non riescono a non vedere in quella scatola bianca il volto innocente della donna, madre e moglie sacrificata.

Intrecciata come i fili di lana nella cesta in cui è stato ritrovato il corpo, la vicenda di Akita assume lentamente dei contorni inquietanti che sfoceranno nella irruzione dei fondamentalisti nella scuola durante l’ultima lezione e nella decapitazione brutale e spettacolare della professoressa, la cui testa continua a parlare ai suoi studenti desiderosi di conoscere il finale del racconto antico, ormai convinti che l’intento non fosse solo quello di raccontare ma di insegnare ad aprire gli occhi senza lasciarsi accecare dai fanatismi, che possono arrivare a negare anche un hadith, una raccomandazione del profeta, che dice “Il migliore dei credenti, anche fosse uno schiavo sudanese, guiderà la mia comunità”.

In un mondo fatto sempre più di pregiudizio e di intolleranza, lo spettacolo di Filippo Renda con Antonio Fazzini ci fa capire ancora una volta l’urgente necessità di non lasciarsi ingannare e di guardare sempre dietro la realtà che gli altri ci vogliono far vedere: dietro così come noi spettatori siamo entrati dietro al palco e dietro laddove Assia Djebar ha cercato di arrivare nel raccontare la sua Algeria da cui è fuggita quando si è accorta che non poteva più sedersi ad un caffè senza essere accompagnata da un uomo.

Visto il 29 aprile
Info:
LA DONNA FATTA A PEZZI
Il Teatro Delle Donne
giovedì 27/venerdì 28/sabato 29 aprile ore 21.15
domenica 30 aprile ore 16.30
Teatro Manzoni di Calenzano

dal racconto di Assia Djebar nella raccolta Nel cuore della notte algerina
drammaturgia e regia Filippo Renda
con ANTONIO FAZZINI
aiuto regia Martina Vianovi
disegno luci Andrea Narese
allestimento scenico Brando Nencini
con la collaborazione e il patrocinio della casa editrice Giunti e dell’Istituto Francese di Firenze
PRIMA NAZIONALE

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