Un bellissimo classico che grazie all’ottima regia di Helena Pimenta, dal 2011 alla guida della Compañía Nacional de Teatro Clasico di Madrid, e alla notevole professionalità di attori di grande vaglia facenti parte di tale Compagnia offre fino all’11 novembre 2018 un elegante e rigoroso sposalizio fra tradizione e innovazione lasciando un segno indelebile in chi ha la fortuna di ammirare questa interpretazione in lingua spagnola con sovratitoli in italiano.
Pedro Calderón de la Barca (Madrid 1600 – 1681) – dotato di una solida preparazione avvenuta presso i Gesuiti e poi presso due università in cui studia diritto canonico e di una conoscenza diretta dell’Italia (Milano compresa) e delle Fiandre, è soldato da giovane quindi non esente da violenze e (come avviene sovente all’epoca) sacerdote in età matura perciò riflessivo; presi gli ordini sacerdotali nel 1651, diviene cappellano del re e poi cappellano maggiore della congregazione dei preti di Madrid – è autore di commedie profane e sacre, drammi… ed è considerato l’ultima figura importante del Siglo de oro, periodo di massima espansione politico-militare e di fulgore culturale della Spagna tra Cinquecento e Seicento.
La dama duende (La donna fantasma) – uscita nel 1629 dalla vivace, feconda e profonda penna del grande drammaturgo e pubblicata nel 1636 – è una commedia di ‘cappa e spada’ che ha come protagonista Doña Ángela, una vedova bella ma depauperata della dote, che vive isolata e quasi reclusa nella dimora dei suoi fratelli Don Juan e Don Luis che vigilano sulla vivace sorella abile nello sfuggire al loro controllo.
La libertà a volte è rischiosa soprattutto in una società maschilista, ma la fortuna aiuta le donne audaci e desiderose di gestire autonomamente il proprio destino: questa volta giunge sotto le spoglie di un aitante e coraggioso cavaliere Don Manuel che induce il desiderio di conquistarlo, ma stante l’epoca con i suoi pregiudizi e condizionamenti non è lecito farlo in modo chiaro e manifesto. Non dimentichiamo che Calderón, pur mostrando una certa apertura, ritiene che la donna debba dedicarsi alle faccende domestiche e che gli interessi intellettuali la ridicolizzino…
Ecco allora dipanarsi una divertente, onirica nonché realistica pièce, quasi una tela intessuta di passioni, intrighi, colpi di scena, scambi di persona, fantasmi, messaggi galeotti… e pennellata di ironia e mistero anche grazie alla complicità di una credenza ‘speciale’, un mobile che separa la stanza della nostra eroina da quella dell’ardimentoso ospite il quale non si è tirato indietro nel difendere una misteriosa e leggiadra donna in cerca di aiuto. Mistero che diviene paura, se non terrore per il simpaticissimo servitore Cosme che meno razionale del suo padrone è convinto di trovarsi di fronte a un fantasma.
Un intenso, vivace e scattante scorcio sulla condizione femminile nella Spagna del ‘Siglo de Oro’: quadro che rivela incongruenze e pregiudizi… alcuni dei quali ancora insuperati… tuttavia in ogni epoca essere volitivi e determinati può permettere il superamento di barriere apparentemente insormontabili.
Peccato che non conoscendo la lingua spagnola non si è potuto percepire e gustare il rispettoso adattamento linguistico in chiave odierna del testo originario, accomodamento che – come ha spiegato la simpatica e genuina regista con cui si è avuto occasione di parlare – nulla ha tolto al testo calderoniano, anzi ne ha sottolineato umorismo e musicalità esaltata da musiche tratte da Bellini, Donizetti, Rossini e Verdi, da quel melodramma italiano che mette in luce esempi di eroismo di donne che vogliono essere padrone del proprio destino anche se vivono in una cultura patriarcale.
Scenografie e costumi che coniugano l’antico con il moderno collaborano nel rendere lo spettacolo di grande godibilità e regalano allo spettatore la soddisfazione di vedere un lavoro costruito con grande cura, maestria e attenzione ai particolari.