È un palcoscenico di oggetti in disordine spoglio da quinte e fondale, brutalmente denudato da mascheramenti. Una confusione reale tutt’attorno ad una scrivania in legno massiccio che è l’altare su cui ruota tutta la messa in scena. Altare fisico che incarna il megalite drammatico della vicenda personale del protagonista, un prete omosessuale che lotta fra la passione della carne e la redenzione del suo spirito.
Fino al 28 ottobre all'OFF OFF Theatre Alfredo Traversa porta in scena "La Confessione – Un Prete Gay Racconta La Sua Storia”, adattamento teatrale dell'omonima opera di Marco Politi (Editori riuniti).
Monologo interessante che entra nella giusta misura all’interno dell’autobiografia di un personaggio complesso e profondo. Entrato in seminario a soli 12 anni, la sua adolescenza è binaria tra il risveglio della sua omosessualità e la chiamata del Signore che lo accompagna per tutta la sua tormentata esistenza. Presi i voti, lotta con questo dualismo che lo trascina dall’estasi dell’anima a quello della carne. L’uomo affamato d’amore, di carezze, che appaga la passione seguendo la naturalezza del suo orientamento sessuale è nascosto dentro il prete nella cifra con cui si nascondono i peccati più gravi. La vita privata viene vissuta come una dannazione, un crimine contro quel Dio che viene amato e odiato dal protagonista.
La secolare condanna della sodomia abita le sacre scritture allo stesso modo in cui si è annidata mettendo profonde radici nella mente del prete. Gli impulsi, forti e primordiali lo porteranno a fare molti incontri sullo sfondo di una Roma, quartier generale e cuore pulsante del mondo Cattolico, intrigante tema centrale di questa stagione dell’Off/Off Theatre. Ogni cedimento alle pulsioni ribalta lo stato d’animo del prete che si autocondanna ad un inferno in terra di straziante commiserazione e commovente autopunizione. Gli oggetti di scena, gli arredi ribaltati, il disordine attorno al tavolo sono un’esemplificazione dello stato mentale del protagonista. Religione e sessualità. Punto fermo centro del cosmo e satellitare mortalità. Un balletto universale e universalmente abbracciato.
La drammaturgia esercita un forte potere narrativo che non piomba mai in una noiosa cronistoria certamente di difficile manipolazione. Tuttavia, le lunghe pause che Alfredo Traversa protrae per tutto il monologo rischiano di far perdere ritmo alla messa in scena specialmente dove ha più bisogno di accelerazione per mantenere alta l’attenzione del pubblico. L’entrata in mutande e asciugamano poteva essere ancora più di effetto senza quella pudicizia dell’indumento intimo ed un nudo totale sarebbe stata non solo elegante, ma giustificata. Traversa ha talento, ma forse troppa timidezza.
Mette (inspiegabilmente) una palla al piede a tutta la sua recitazione appesantendola laddove avrebbe bisogno di una certa scioltezza, per avvicinare lo spettatore non tanto allo spettacolo, ma al personaggio con il quale si crea empatia grazie al potere del dialogo. Presa in considerazione la famigerata difficoltà di dirigere e interpretare contemporaneamente, si evince la mancanza di uno sguardo esterno che lo spettacolo necessita per raggiungere la pulizia di piccoli “peccati” che macchiano la messa in scena. Apprezzata la padronanza della voce che separa il sacerdote dall’omosessuale, pacata e condizionata la prima, selvaggia e drammatica la seconda.
Anche qui ci sentiamo di suggerire all’attore una maggior attenzione alle battute: le pause, eccessive, fanno attendere troppo l’orecchio e richiedono uno sforzo maggiore agli spettatori per seguire la vicenda con sincero interesse. L’uscita dal palcoscenico attraverso il proscenio, rompendo la quarta parete, per poi riapparire sul palco dalla “quinta” di sinistra ha creato un’ulteriore attesa troppo lunga e ingiustificata che ha interrotto il coito drammaturgico, spiazzando in modo poco comprensibile. La regia pecca un poco anche nelle musiche, specialmente in quella iniziale, troppo lunga e a volume troppo alto che copre le primissime battute, facendo perdere allo spettatore un appassionante inizio (certamente nelle intenzioni di Traversa). L’attore non si risparmia nei gesti e nella mimica accentuando il dolore e il viscerale conflitto umano del protagonista.
Le luci si muovono ottimamente alternandosi tra il freddo del violetto e del blu ghiaccio e il calore da lume di candela dei riflettori a pioggia color arancione. Nonostante qualche eccesso amplificano lo stato d’animo dell’attore allungando la mano allo spettatore e guidandolo nella discesa infernale e dolorosa che impregna la drammaturgia.
Tutta la messinscena ha saputo giocare bene sulla grande rivalità e il dualismo conviventi nel prete omosessuale, scevra da bollature o marcati giudizi sull’uno o l’altro aspetto della vicenda interiore, schivando abilmente la pericolosa pallottola del “questo è cattivo e questo è buono”. C’è la certezza che il conflitto per queste due nature, quella religiosa e quella sessuale, scaturisca per la legge degli uomini e non dettata da una vera condanna divina. La si legge come una dolorosa prova che il Creatore ha dato al prete per elevarsi spiritualmente e raggiungere quella pienezza di spirito che è propria della santità. Fa riflettere, ovviamente, sulla dura condizione di celibato del sacerdozio, della posizione critica da parte della Chiesa Cattolica nei confronti dell’omosessualità in un’epoca, come quella che stiamo vivendo, di grandi rivoluzioni sociali a cui l’internazionale istituzione religiosa non riesce a tenere il passo, invecchiandosi e impolverandosi in nome di un arcaico e prosaico attaccamento alla tradizione. Un aggiornamento e una nuova visione, come avvenuto per altri temi, libererebbe molti individui da grandi sofferenze e avvicinerebbe tutti quei cittadini omosessuali praticanti alla fede religiosa.
Info:
Organizzazione e Produzione A.T. con Associazione Culturale BABELE
da un’opera del noto vaticanista italiano Marco Politi
PROSA
LA CONFESSIONE
Un prete gay racconta la sua storia
versione teatrale di Alfredo Traversa e Marco Politi
diretto e interpretato da Alfredo Traversa