LA CLASSE @ Teatro Marconi: la peggio gioventù e la riscossa

Una classe particolarmente difficile, un supplente impreparato e coraggioso, un campo profughi sotto le finestre della scuola. “LA CLASSE” di Vincenzo Manna, in scena al Teatro Marconi dal 18 marzo al 9 aprile, non si ritira davanti agli argomenti più spinosi.

Basato su una ricerca sociologica, come informa il curatissimo volantino, lo spettacolo va sul palco di un teatro molto particolare e perfettamente adatto all'occasione: situato all'interno di un complesso scolastico, si trasforma in uno spazio teatrale solo la sera (e propone un ottimo aperitivo prima dello spettacolo, un'idea più che giusta, vista l'ora e la lontananza dei punti ristoro). Una rappresentazione giovane, piena di grinta e inquietudine, ambientata tra le mura scolastiche, tra i banchi rovesciati e la carta buttata per terra. I temi toccati, tanti: la violenza giovanile, la corruzione negli alti ranghi delle istituzioni educative, la disoccupazione, l'integrazione, l'accoglienza dei rifugiati, l'abbandono scolastico, le crisi adolescenziali… un po' anche l'amore. Soprattutto l'amore di un docente verso i propri alunni disagiati, un amore che non si può esprimere, ma che a lungo termine è in grado di rovesciare le barriere e cambiare la vita dei giovani abbandonati a sé stessi dai propri genitori e dal sistema scolastico poco funzionante.

Ma LA CLASSE non solo è una ricerca socio-psicologica, è anche un bel pezzo di arte che sa intrecciare la recitazione con la musica, cupa, drammatica e irrequieta, e con la danza scatenata, ma anche ben studiata, del brillante Haroun Fall (nei panni dell'alunno G2 Talib). Lo spostamento degli attori sul palco e il gioco delle luci sono usati per scandire il tempo, per creare gli stacchi tra gli episodi e tra le singole lezioni di un corso lungo quattro settimane che cambierà i destini di tutti i protagonisti.

Raggiungendo livelli incredibili in tutti i campi secondari (l'allestimento, le sonorità, perfino la campagna stampa), lo spettacolo non sempre mantiene questi livelli nelle materie più centrali. La recitazione scivola troppo spesso nelle grida poco giustificate dalle battute che accompagnano (lo stacco è maggiore nel personaggio più tenero e riservato, Petra di Giulia Paoletti, ma a volte stona perfino nel delinquente neo-nazi Nicolas di Carmine Fabbricatore). Le battute stesse profumano di letteratura, una cosa sopportabile finché si tratti dei personaggi del professore o del preside, ma non quando le pronunciano i giovani di famiglie particolarmente disastrate.

Anche la struttura drammaturgica presenta alcuni punti di fragilità. Sono evidenti i tentativi di introdurre in maniera naturale (attraverso l'episodio del patto tra il professore e uno degli alunni) tutta la linea del bando europeo che vincono i ragazzi con un loro progetto, ma rimane sempre un elemento artificiale della trama. Il problema non è solo l'ottimismo troppo costruito e strumentale. Il problema è la concettualizzazione che ne fanno gli stessi protagonisti e soprattutto come ne parla lo stesso Albert (Andrea Paolotti nei panni del professore supplente). Le sofferenze dei profughi siriani torturati e dei giovani siriani morti o per l'amore della verità o pure senza motivo commuovono la sua classe problematica, perché permettono loro di uscire dalle proprie ribellioni e angosce. Ma quando il conflitto tra il campo profughi e la cittadina che lo ospita senza accogliere sfocia in una rivolta violenta, non solo non vengono minimamente spiegate le cause della rivolta. Addirittura quando i giovano chiedono al professore perché devono occuparsi delle sofferenze passate di persone a loro sconosciute, questi non trova di meglio da dire che: "non siamo noi a poter risolvere, dobbiamo solo aspettare e nel frattempo fare il nostro piccolo". In tutto questo fuori volano gli elicotteri, per le strade si aggirano le pattuglie, il campo profughi viene sgomberato… Veramente la reazione giusta di un giovane in una situazione del genere deve essere quella di chiudersi tra le quattro mura aspettando che gli altri risolvano e intanto studiarsi i bandi europei?

Si propone anche la traccia di un'altra possibile risposta: davanti ai ragazzi compare di persona una delle abitanti del campo profughi. La figura è quella di una profuga modello: una signora anziana estremamente colta. A parte l'esagerata “vendibilità” della figura eccessivamente brava e innocente e certe incurie della rappresentazione artistica (un velo che copre solo un'esigua parte della ribelle capigliatura rossa, l'imitazione dell'accento sui vocaboli più basilari e l'uso degli altri, complessissimi, come se niente fosse: “i ca-capelli staccati dalla cute”), un lungo e poetizzante monologo di una persona praticamente statica non è il migliore modo di introdurre i giovani tormentati e smaniosi ai problemi dell'integrazione. Semmai è molto più efficiente la figura del già menzionato Talib, vivo e veritiero nella sua complessità, e giovane come loro. Mi permetto di annotare al margine che proprio Haroun Fall ha riscosso il maggior successo nel gruppo di scolari che mi stavano a fianco durante lo spettacolo e non esitavano di esprimere i giudizi diretti su quanto avveniva sul palco.

Per essere veramente uno spettacolo convincente per gli adolescenti, LA CLASSE dovrebbe superare il suo attaccamento eccessivo alla letterarietà, i suoi monologhi infiniti, le abbondanti grida estatiche e l'esorbitante fiducia nelle convenzioni artistiche. Adesso è una brillante rappresentazione per il pubblico adulto. Una recita effervescente, tosta, ricca di spunti, che ha il merito di aver puntato i riflettori su tutte le categorie più svantaggiate e disilluse dell'Italia odierna: gli immigrati, i profughi dalla guerra, ma soprattutto – i supplenti.

Visto il 31 marzo

Info:

Drammaturgia di Vincenzo Manna

Regia di Giuseppe Marini

Dal 18/03 al 09/04

Teatro Marconi – Viale Guglielmo Marconi, 698/E

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