LA CLASSE @ Teatro Cantiere Florida: cosa ne facciamo del dolore?

In scena al Teatro Cantiere Florida di Firenze il docu-puppets per marionette e uomini, come lo definisce nel sottotitolo la regista Fabiana Iacozzilli, LA CLASSE celebra con un incontro tra generi diversi l’apertura di una porta memoriale che si nutre di ricordi, istanti, innesti, escrescenze della propria infanzia.

Le interviste ai veri compagni di classe – i malcapitati che come la stessa Iacozzilli hanno frequentato tra il 1983 e il 1988 una scuola elementare vessata dalla violenza dell’insegnante, Suor Lidia, opprimente deus-ex-machina pronta a punire con ferocia qualsiasi imprecisione ortografica nei pensierini sulla pecora, o esemplificare a suon di botte dove si trovino gli zigomi – costituiscono la parte documentaria. Le voci dei loro ricordi, alcuni presenti e nitidi, altri confusi e frammentari, si sentono in diretta, realistiche e vivaci.

È contrappunto efficace alla storia narrata dalle interviste, l’azione scenica dei puppets, creazione geniale di Fiammetta Mandich, dalle grosse teste e dagli arti leggeri, manipolati a vista dai burattinai – performer, in un vero e proprio dialogo espressivo coi burattini, che rivivono all’indietro i giorni di scuola, i gesti familiari, i giochi, le sfide, e la paura, l’incubo protratto.

Infine la terribile e temibile suora è simbolicamente portata in scena solo da un cappuccio nero, sotto il quale immaginiamo la faccia della cattiveria, ne vediamo le dita tamburellare sul tavolo e il fumo di una sigaretta, aggiungendo ancora una nuova dimensione rappresentativa allo spettacolo.

L’uso del teatro di figura, reinventato e reso totalmente contemporaneo dalla Iacozzilli, permette di rappresentare con grande tenerezza ma senza sentimentalismi i bambini nei piccoli banchi di scuola, le fragilità, i desideri semplici tipici dell’infanzia, ciascuno dolorosamente represso: il gioco con una palla guardata e non toccata, la merenda nello zaino, sognata ma inaccessibile, il disegno da mostrare nella speranza di una approvazione amorosa negata ogni volta.

La dimensione brutale di cui la regista ha fatto esperienza e che propone senza sconti allo spettatore è mediata dalla raffigurazione, acquistando forza e universalità: ciascuno in sala non può fare a meno di guardare negli occhi il proprio dolore, di sentirsi il bambino umiliato e vessato o piuttosto la sadica suora che sente di amare così i suoi alunni.

La tessitura sonora è sicuramente uno degli elementi più potenti del lavoro: il silenzio senza incrinature, il respiro vibrante di angoscia, i colpi esasperati; il No d’inizio, indimenticabile, quando la piccola Fabiana è costretta a staccarsi dalle mani protettive di Mamma e Papà disegnate sulla lavagna; il suono dei vetri in frantumi nel buio totale durante le percosse ai bambini è straziante.

La scenografia studiata permette la convivenza di più generi teatrali si compone e scompone nella loro alternanza. Un lungo tavolo con in cima il piccolo banco apre la scena, alle spalle la tipica lavagna nera scolastica, su cui appaiono le scritte in bel-corsivo dei compiti da svolgere: il pensierino, il disegno, 6×8. Cambiando la scena il lungo tavolo verticale si divide in quattro banchi mobili con su ciascuno un diverso bambino-burattino. I movimenti delle marionette nello spazio sono così gestiti dai performer in modo non solo spaziale – mettendosi in primo piano in base all’episodio raccontato; ma anche emotivo e relazionale – allontanandosi e avvicinandosi di volta in volta alla suora, ai compagni, al bambino disabile, Antonio, che può sopravvivere a tutto questo solo con l’aiuto di un immaginario amico Spiderman.

Anche le luci di scena hanno una funzione drammaturgica importante: lasciando gran parte del palco in buio, sono spesso azionate dagli stessi attori attraverso torce che illuminano dall’alto il volto dei pupazzi come in un interrogatorio, o il cappuccio della suora dal basso dandole un’aria ancora più inquietante.

LA CLASSE omaggia e riprende La classe morta di Kantor: anche qui attori e manichini cooperavano, e il regista stesso entrava in scena, a correggere una posizione, a indirizzare il tiro del meccanismo di recupero della memoria. Perché, come scrive la stessa regista nelle note di scena, “che ce ne facciamo del dolore? Cosa ogni essere umano è in grado di diventare a partire dal proprio dolore?” E, potremmo aggiungere: in che modo il teatro ci aiuta a compiere il salto mortale del superamento, della catarsi? E ci aiuta, poi? Le scene finali dello spettacolo ci portano a dire di sì. Da quando la regista stessa entra in scena, da quando attraversa il palco con passo deciso e cambia il ramo impugnato da uno dei suoi performer, sostituendo un ramo frondoso e verde con un ramo autunnale, ricoperto di foglie grigie; da quando rientra ancora, alla scena successiva, con sciarpe e cappellini di lana, annullando il tremito dei suoi pupazzi alter ego, proteggendo la versione bambina e artificiale di se stessa dal freddo, dalle intemperie della vita, dal tormento del ricordo, qualcosa cambia, tutto cambia.

Gli attori de La classe morta giravano a suon di valzer, invecchiati attorno ai banchi di scuola, portando sulle spalle i bambini che erano stati, ossi di seppia di un passato cattivo, spoglie di un ineluttabile eterno ritorno. Qui invece, nell’ultima parte, la catarsi si compie. Suor Lidia, il cui baffo nero è rimasto incastrato nel cuore e nell’utero della regista come una scheggia di gelo, ha avuto un compito forse positivo: un giorno chiede alla bambina se ha un segreto, e alla risposta che sì, il segreto c’è, ovvero che la notte le bambole le parlano, le affida la prima regia: metti in scena questo dialogo, le dice, mostrandole la via che sarà la strada della Iacozzilli. “Questo spettacolo è anche uno spettacolo sulla vocazione” ammette la regista. E quando la piccola non trova un finale adeguato, è ancora la suora a suggerirglielo: chiudi gli occhi, fai silenzio e pensa alla meraviglia.

LA CLASSE è uno spettacolo estremamente rigoroso, realizzato con cura del dettaglio e con la interessante commistione di tecniche; colpisce per l’elemento autobiografico della regista che irrompe anche in scena – aggiungendo ancora una nuova dimensione rappresentativa – e interviene in voce registrata raccontando di sé, del suo dolore trasformato in poesia e creatività ma anche in rigore eccessivo, durezza e disamore. Una freddezza che punta alla perfezione, che non ammette errore, come i cuccioli che hanno dovuto imparare a cavarsela da soli nella lotta per la sopravvivenza, sentendo incastrato tra i polmoni e il cuore un pezzo del baffo nero della suora torturatrice, puzzolente, brutta, vecchia, stronza e grassa.

La mente viaggia all’attualità dei maltrattamenti negli asili, nelle case di cura, alle videocamere che riprendono volti schermati di mostri che torturano esseri più deboli e fragili, silenti, indifesi.

Ha ragione chi dice che nessuno guarisce dalla propria infanzia, ma anche chi dice che dipende da quello che ci facciamo con la nostra infanzia. Così il vento finale, quello che la bimba sogna per la propria prima regia del 1988, eccolo in scena adesso, a spazzar via tutti i nostri ieri, il tormento, l’incubo, il silenzio, gli occhi dilatati dei compagni feriti, e il valzer eterno dei traumi. Si esce col magone e ci si chiede alla fine se questa è la catarsi. Se rimane la bellezza. Se con tutto il dolore, il teatro insegna sempre a non aver paura.

Il ricordo vive fuori dalla portata della nostra vista, nasce e cresce nelle regioni del nostro sentimento e della commozione” La classe morta, Tadeusz Kantor

Info:
LA CLASSE Un docupuppets per marionette e uomini
di Fabiana Iacozzilli / CrAnPi
collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri, Tiziana Tomasulo
collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo
performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
scene e marionette Fiammetta Mandich
luci Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
foto di scena Tiziana Tomasulo
consulenza Piergiorgio Solvi
organizzazione e comunicazione Giorgio Andriani, Antonino Pirillo
coproduzione CrAnPi, Lafabbrica, Teatro Vascello, Carrozzerie | n.o.t
con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida / Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018 e con il supporto di Nuovo Cinema Palazzo e con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare Regione Lazio

Teatro Cantiere Florida, Firenze
18 gennaio 2019

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