C'è a Roma un luogo chiamato Quirino che già così, da solo, è sinomimo di Teatro, difatti si dice spesso: “vado al Quirino”. Quando si arriva a poter omettere il nome comune di cosa, si intuisce che si è davanti alla storia. Per i più distratti ci sono le foto e le locandine colorate e sbiadite dal tempo: Giuffrè, Pirandello, Albertazzi e Gassman. Il 19 ha debuttato “La Cena delle Belve” di Vahè Katcha, nella versione italiana curata da Vincenzo Cerami e diretta in regia associata da Julien Sibre e Virginia Acqua.
Orologi stilizzati, in movimento e stagliati sullo sfondo, ci invitano al salto temporale evidente di cui il Teatro è spesso artefice. Qui lo è. I colori, anzi i non colori sono quelli del '43, anno d'occupazione tedesca, dunque di coercizione. La guerra è in atto. Le bombe esplodono fuori e dentro le case. Fuori e dentro la vita. La privazione della libertà nota anche come tirannia, deforma i valori, controverte le convinzioni. Concetti come il coraggio e la codardia vengono ritrattati perché osservati da una lente deformante ma attuale per quel presente di tanti anni fa. Durante un attentato muoiono due ufficiali tedeschi, allora la Gestapo decide di prendere dieci ostaggi da giustiziare per ogni tedesco perito, e la memoria ci riporta subito a via Rasella e all'azione dei gappisti (Gruppi di azione Patriottica). Due di questi in una casa dove si stava festeggiando un compleanno. Il comandante tedesco decide qui, perché conosce nel padrone di casa il suo libraio cortese e di fiducia, di concedere due ore perché il gruppo stesso scelga i due da immolare. Nessuna concessione. E' un gioco crudele perché quel potere affidato come un privilegio, in realtà trasformerà i sette amici in bestie antropomorfe che si sbraneranno voracemente a vicenda in una truce rievocazione della legge darwiniana della sopravvivenza. Ognuno scaglierà l'altro contro il muro freddo dell'esecuzione. Ognuno cerca il coraggio di vivere. Non c'è codardia per qualcuno. Non c'è decenza nella indifferibile corsa alla sopravvivenza: si baratterà il denaro, la moglie, i pazienti, la dignità… L'autore siriano di adozione francese, offre sette stereotipi umani ben diversi e uguali dato che ognuno, a suo modo, è affezionato alla propria pelle.
Il disagio nello spettatore monta quando la trama si dipana in un crescendo di tensione, mediata da astuto humour: ognuno in platea è costretto e rivedersi in uno dei sette e a chiedersi cosa avrebbe fatto se si fosse trovato al posto loro? La natura umana è policromatica nella visione del drammaturgo che ne dipinge una tela folta di sfumature ed echi primigeni di lotta perché la vita affiori sempre oltre il pelo dell'acqua.
Cast di qualità. Bravi attori che tengono il ritmo serrato della commedia e ne fanno emergere al contempo drammaticità e ironia così come nel disegno di Katcha. C'è abbondanza di figli d'arte e non può che essere un bene e un vantaggio per lo spettacolo dato che si porta in scena l'eredità ed il nuovo. Silvia Siravo figlia di Anna Teresa Rossini e Edoardo Siravo, ci incanta e ruba meritatamente l'applauso del pubblico nel corso dello spettacolo, giudizio non trattenuto, trasgressione bonaria della regola che vuole che si attenda la fine per esprimere l'apprezzamento della pièce. Ed il pubblico del Quirino lo sa bene. Ci piace Emanuele Salce, figlio di Luciano e cresciuto anche con l'altro padre: Vittorio Gassman. Il suo ruolo è quello dell'omosessuale sospettato dal gruppo d'essere ebreo e circonciso. Ci piace anche questa volta Ruben Rigillo, figlio di Mariano, che sembra avere (come gli abbiamo detto) il dono dell'ubiquità dato che l'abbiamo visto da poco e recensito in "La Volpe e il Leone”.
Ben fatta e pensata la scenografia: essenziale di poltrone di pelle e una radio che trasmette le musiche patinate dell'epoca. Giuste le luci. Sullo sfondo si proiettano immagini plumbee che suggeriscono quel crescendo di paura nel quale si era costretti a vivere e morire.
Un solo appunto alla regia: ci è sembrato poco credibile che Vittorio (Ruben Rigillo) inveisca contro Francesca (Silvia Siravo) per certi volantini sovversivi ed usi un volume sostenuto dicendole che il comandante avrebbe potuto scoprirla e quest'ultimo è nello studio accanto immerso (ma non troppo) nella lettura di certi volumi storici. Lieve sbavatura, irrilevante rispetto alla bellezza dello spettacolo. Vi consigliamo di vederlo.
Info:
La cena delle belve
19 febbraio – 3 marzo
Gianluca Ramazzotti per Ginevra Media Production
Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano
in collaborazione con Festival di Borgio Verezzi
MARIANELLA BARGILLI
FRANCESCO BONOMO
MAURIZIO DONADONI RALPH PALKA
GIANLUCA RAMAZZOTTI EMANUELE SALCE
RUBEN RIGILLO SILVIA SIRAVO
LA CENA DELLE BELVE
di Vahè Katchà
elaborazione drammaturgica Julien Sibre
versione italiana Vincenzo Cerami
regia JULIEN SIBRE e VIRGINIA ACQUA
scene Carlo De Marino
costumi Francesca Brunori
disegno luci Giuseppe Filipponio
direzione tecnica Stefano Orsini
Lo spettacolo ha una durata di 2 ore compreso intervallo