LA CASA BIANCA e LA VITA DAVANTI sono andati in scena, susseguendosi nella stessa serata, il 28 febbraio e il 1° marzo al Teatro Argot Studio, per la rassegna di "Isola Teatro". Due storie di vincoli, legami e destini ancorati alla speranza. Hanno molto in comune i due spettacoli, primo, fra tutti gli aspetti, la passione degli interpreti/ autori, che coinvolge immediatamente anche il pubblico; in secondo luogo, la necessità di parlare di storie collocate in un contesto sociale più ampio del proprio ombelico.
Ne "LA CASA BIANCA" Armando Iovino parte da uno spunto tematico di estremo interesse, quasi un'ipotesi per uno studio antropologico, del resto tra i numerosi personaggi che lui stesso interpreta sulla scena, interviene anche il ricercatore universitario.
Siamo nella "terra dei fuochi", ci porta in campagna, tra le masserie vicino al Vesuvio. " I rifiuti: tutto parte da lì", mi spiega Iovino. " la terra è rimasta senza custodi, mi chiedevo perché è successo lì. Quel veleno che abbiamo versato o abbiamo lasciato che versassero… C' è qualcosa nei rapporti familiari?"
" Vuoi dire che è caduto un patto generazionale?" Gli chiedo.
"Nella famiglia di cui parlo, emanciparsi voleva dire abbandonare il legame con la terra, e anche il legame familiare si è interrotto. Vedi, le campagne sono state abbandonate, perché i contadini sentivano forte l' esigenza di elevarsi socialmente, ma poi sono ritornati alla terra, quindi forse non era il loro desiderio abbandonare la campagna".
"Intendi dire che la sentivano più come un ingiunzione sociale?"
"Sì, la si sentiva quasi come una competizione: chi riusciva ad abbandonare la terra, e riusciva a fare soldi in altro modo, si era evoluto. Ma poi lì sono ritornati."
Di questo il dramma di Iovino parla, di un' invasione, un assedio. La campagna, lasciata incustodita, da chi per generazioni l' aveva lavorata, amata, odiata, subisce un silenzioso, ma pervasivo e mortale assalto, quello della mafia. Lo racconta con lo sguardo da dentro, parlando di zii, madri, nonni e padri, con le parole che attraversano i rapporti intimi di gente semplice, che ha l' intelligenza dell'amore, ma non l' astuzia del potere.
Iovino mostra abilità attoriale nel passare repentinamente da un personaggio a un altro, diversi stati emotivi, toni e tempre. Ci accoglie con giovialità, tirandoci in ballo, facendoci mettere in gioco, e dunque lo spazio scenico è unico, perché abbatte la separazione tra palcoscenico e pubblico. Gli spettatori diventano personaggi dello spettacolo, anche se un po’ reticenti, perché atterriti dalla sorpresa. Ma poi si fanno coinvolgere da un progetto, in cui si sente che Iovino ci ha messo molto più che tecnica e abilità, ma vera passione umana. Solo che non ci dà il tempo di comprendere la complessità del suo racconto, le sfumature di una narrazione che tutto vuole essere, fuorché superficiale. Dovrebbe raccontare con più lentezza, ampliare, dirci di più. Speriamo che lo faccia, perché varrebbe anche la pena offrirlo ad un pubblico più vasto.
Tony Allotta ne LA VITA DAVANTI gioca con il pubblico, lo interpella, lo incalza con domande esistenziali più o meno retoriche. Invade lui stesso la platea, o ci lancia delle palle bianche di stoffa con le quali ha scritto sul palco " LOVE ME", che è poi il tema di fondo dello spettacolo.
Anche Tony Allotta ci racconta una storia di legami familiari, recisi prima di nascere, ed altri nati invece da innesti insoliti. Interpreta un bambino che cresce e si fa uomo con l' amore strampalato di una Maman, Momeman, prostituta procace in pensione, ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio, che alleva bambini di prostitute in servizio. "Ha tirato su una generazione intera", ci racconta Mohamed, ribattezzato Totò, e lui, al contrario degli altri, la madre non l' ha mai vista, non ne conosce neanche il nome. Questa è la sua ossessione, scoprire le sue origine, riavvolgere il nastro, anzi la pellicola della sua vita.
Momaman lo fa per soldi, alleva bambini per campare, e quando Totò lo scopre, è un nuovo abbandono sentimentale, un dolore più duro del vivere ogni giorno evitando gli escrementi: " là dentro c' era talmente tanta merda che io passavo inosservato".
" Si può vivere senza amore?" si chiede Totò, e sembra chiederci Allotta nel suo dramma. La risposta, se seguiamo il filo articolato della sua trama, è no. No, perché c' è bisogno di uno sguardo che ci riconosca unici. Come spiega Totò, "I ragazzi di vita sono così, perché non sono stati scoperti da bambini". È la profonda storia d' amore materno e filiale tra questi due sgangherati personaggi, riconoscono quell'unicità nell'altro, che come l' alchimia sa trasformare il dolore, ( o la merda, come dice Totò), in speranza, forza, resilienza: "L'unica religione che ho, è quella che passa in uno sguardo", altra battuta da ricordare di questo spettacolo che sorprende e interroga, improvvisamente afferra verità profonde, radicali, che raramente vengono raccontate a teatro nei drammi che vorrebbero raccontare l' oggi.
La storia commuove e coinvolge, ma il ritmo e le battute sono esilaranti. Così come Allotta sa raccontare con leggerezza infantile il grande dramma dell'abbandono, dell'incuria, di cui molti bambini sono ancora oggi vittima, sotto gli occhi di tutti; lo fa con ricercata leggerezza, perché a prevalere, sul sottile gioco delle corde emotive, è la forza della speranza di una vita migliore, una nuova madre, una vita davanti. È l' oro di chi non ha niente sotto i piedi, la vita davanti.
Info:
Visto: martedì 28 febbraio
LA CASA BIANCA
studio per uno spettacolo (anteprima nazionale) di e con Armando Iovino, regia Marta Gilmore
a seguire, ore 21:00
LA VITA DAVANTI
di e con Tony Allotta