LA VITA ACCANTO@Teatro Libero Milano

Tratto da “La vita accanto”, romanzo di Mariapia Veladiano – vincitore del Premio “Calvino” 2010, pubblicato da Einaudi, secondo al Premio “Strega” 2011 e trasposto per il teatro dalla brava Maura Del Serra – l’omonimo spettacolo interpretato dalla valida e misurata Monica Menchi (attrice, diplomatasi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, che per tale spettacolo ha vinto il Grand Prix del Teatro 2015) racconta la vicenda di una giovane decisamente brutta costretta a una vita disperatamente isolata fino al riscatto finale che comunque non può cancellare del tutto un’infanzia e un’adolescenza tristissime, anche se non disperate.

Rebecca, questo il nome della fanciulla, nata in una famiglia vicentina alto-borghese, cui la bruttezza ha elargito i propri doni tanto copiosamente che i genitori, entrambi deboli e problematizzati, non riescono ad aiutarla incapaci di accettare tale situazione a loro avviso vergognosa per cui ciascuno a proprio modo la rifiuta, facendola vivere in una sorta d’isolamento. Anche i tentativi d’inserimento nel sociale si rivelano in linea con il comportamento della famiglia salvo che per un piacevole spiraglio di luce cui Rebecca si attacca come àncora di salvezza e per la scoperta in sé di doti artistiche che le consentono un parziale riscatto nel mare magnum di ottusità in cui naviga: la società in cui viviamo, infatti, è sempre più volta all’apparire piuttosto che all’essere e tutti dipendiamo come schiavi dai giudizi altrui.

L’ottima prova di recitazione di Monica Menchi – interprete anche degli altri personaggi che emergono dalla memoria come quello di una zia che appare diversa da ciò che è o l’affettuosa tata Maddalena… – sola in scena e vestita di un candore che sembra riguardare unicamente la protagonista immersa nelle tenebre del buio sociale in cui si muovono gli altri, permette di cogliere sfumature, evoluzione e crescita del mondo interiore di Rebecca che diversamente da tante più o meno giovani  di oggi ha un rapporto realmente difficile con la propria immagine e non è guidata da capricci o mode favoriti dall’avvento della chirurgia plastica a portata di tutti.

Un lavoro, ben diretto dall’abile regia di Cristina Pezzoli, che fa riflettere e che comunque lascia aperte le porte alla speranza che guardando dentro di sé ci si possa comunque opporre ai marosi di un’imbecillità che oggi è mito.

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