Dell’universalità de La bottega del caffè è certo ‘in primis’ il suo autore Carlo Goldoni (Venezia 1707 – Parigi 1793), commediografo noto per la riforma da lui operata relativamente alla commedia dell’arte e per la prolifica penna tanto che dal carnevale 1750 a quello del 1751scrive 16 commedie per la Compagnia di Girolamo Medebach, direttore del Teatro S. Angelo.
Scritta in lingua italiana, la commedia, che ha avuto una precedente versione – andata perduta – in dialetto e con maschere della commedia dell’arte, si svolge in un vivace campiello dove si affacciano numerose botteghe tra cui spicca quella del caffè che raccoglie un’umanità varia e variegata (in questo caso proveniente anche da una bisca) e che si affermerà ovunque come centro intellettuale e simbolo delle arti liberali e della loro diffusione.
Interessante la descrizione della casa da gioco (condotta da un faccendiere avido e imbroglione) che nella Serenissima esercita un forte potere attrattivo su tutti gli strati della società: i meno abbienti scommettono alla base della colonna del leone in Piazzetta San Marco diversamente dai più ricchi che hanno appunto a disposizione per farsi spennare vari casini dall’intensa vita sociale come quello contiguo alla bottega del caffè condotta con onestà e rigore dal buon Ridolfo, coadiuvato dal fedele e balzano Trappola egregiamente interpretato da una delle attrici.
Un piccolo mondo in cui riecheggiano i segni del declino della Repubblica di Venezia ormai dedita a consumare ciò che ha piuttosto che a spingersi verso nuovi mercati e dove i grovigli del quotidiano si complicano per quell’aura strana che nella città lagunare si respirava e si respira ancora oggi durante il periodo di carnevale in cui è ambientato questo incrociarsi di storie e di vite di perdigiorno e sfaccendati boriosi. Protagonista negativo della pièce è don Marzio linguacciuto oltre misura, indiscreto, malalingua e taccagno che acutizza con malignità contrasti e difficoltà godendo del male altrui, un perfetto esempio di gretto seminatore di zizzania e curioso cronico: antesignano del moderno gossipparo.
Una commedia spigliata, incisiva, briosa e frizzante che – pur nel suo essere ridotta nel testo, nel numero degli attori (cinque rispetto ai nove di goldoniana memoria) e nella scenografia all’osso e in cui i confini tra le varie case sono disegnati da corde che delimitano abitazioni, veroni, botteghe… comunque ben indicate da una scritta in alto… – coglie e conserva l’essenza del testo goldoniano con attori capaci di divertire divertendosi e di confidare ‘fuori scena’ le odierne difficoltà dell’arte attoriale sciorinando ì costi reali di una produzione teatrale dalle prove alla messa in scena: budget striminziti, numero di spettatori, biglietti scontati e omaggio per somme totali risicate che spesso non coprono le spese vive, ma tant’è l’amore per il teatro…