KISS AND KRY@Politeama: mettere mano ai ricordi

Tra i primissimi spettacoli in programma per la nona edizione del NapoliTeatroFestival 2016, "Kiss and kry" di Jaco Van Dormael è uno spettacolo che ha saputo coniugare felicemente diversi linguaggi ed è stato applauditissimo dal pubblico napoletano.

 

Lo spettacolo racconta di una donna che attende, a una stazione ferroviaria, di reincontrare il primo uomo che amò. Lo spazio interiore della sua memoria si apre davanti allo spettatore, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua esperienza dell'amore: il secondo uomo amato, poi il terzo, il quarto e il quinto, fino al ritorno probabilmente illusorio e tutto interiore del primo, che finisce comunque per renderla felice.

La storia è semplice e a tratti banale, ma quello che impressiona il pubblico napoletano, come dal 2011 anche i pubblici di altri paesi dove lo spettacolo è stato acclamato, non è certo la struttura narrativa, per quanto poetica ne sia la traduzione nel bel testo di Thomas Gunzig, e gradevole la narrazione nella voce calda e roca di Angelo Bison. Gli elementi incantatori di questo lavoro sono altri.

In primo luogo, soprattutto, sorprende l'idea di base di Michèle Anne De Mey e Jaco Van Dormael: ridurre la scala della percezione umana a quella di un micromondo, dove protagonisti non sono più i corpi, bensì le mani. A parte una serie di piccoli pupazzi stile playmobil, prodotti artigianali di raffinata fattura, le mani vengono ad assumere diverse forme, atropomorfe e non, incantandoci come dei bambini alle prese con un gioco appena scoperto.

In secondo luogo, il modo complesso di presentare questo gioco allo spettatore, cioè la dialettica della rappresentazione: da un lato si proietta su uno schermo cinematografico il film in cui le mani si fanno personaggi, dall'altro si mostrano dal vivo gli attori a cui quelle mani appartengono nonchè i corpi di attori, tecnici e scenografi che, assieme al regista in scena, trasformano il palcoscenico in quel set cinematografico che dal vivo dà vita al film proiettato sullo sfondo. In questo modo allo spettatore è riservata in ogni momento la possibilità di concentrarsi sull'illusione incantatoria del film o sull'artificio tecnico che poco più sotto la costruisce.

In terzo luogo, eccezionale è la qualità tecnica a tutti i livelli, con la quale questa dialettica viene realizzata. A livello cinematografico, le immagini sono in altissima definizione, gli effetti visivi sono degni di grandi direttori della fotografia, i suoni e le musiche sono dosati alla perfezione e ben sincronizzati alla traccia visiva dalla squadra tecnica al centro del palco. A livello teatrale e coreografico, i tencici, i danzatori, gli scenografi e il regista sulla scena-set si fiondano da un lato all'altro del palco compiendo, come in una pulitissima danza, solo i movimenti necessari alla realizzazione del film. A tutti i livelli, quello che ci si para davanti è un palinsesto spettacolare dove la nostra percezione scivola di qua e di là, invitata a prender posto ora a questo ora a quel livello, senza peraltro venir mai forzata in un senso o in un altro.

Le coreografie e le "nanodanze" delle mani, come recita il programma di sala, sono all'insegna della delicatezza e della leggerezza. E vengono performate dai loro stessi autori, Michèlle Anne De Mey e Grégory Grosjean, all'interno delle magiche micro-scenografie di Sylvie Olivé che, con pochi elementi rapidamente spostati e trasformati, e un uso sapiente di materiali liquidi e solidi, ha saputo inventare un micromondo degno dei Viaggi di Gulliver.

E' anche un piacere, vedere come si fondono le due arti sorelle del teatro e del cinema: quel film che si proietta è ogni sera diverso, il che è paradossalmente caratteristica del fare teatrale, non cinematografico; d'altra parte, in scena gli operatori cinematografici sono veri e propri performer, e lo spettacolo tutto teatrale dei loro movimenti sul palco non è altro che lo spettacolo di un film che si realizza. Le stesse macchine da presa e telecamere, più o meno micro, partecipano attivamente alla danza, mosse dolcemente sui binari, sui carrelli o sulle spalle del corpo umano.

Nel contesto di una tale perfezione realizzativa, è tanto più doveroso per chi scrive manifestare due rammarichi, che sono tra l'altro strettamente connessi.

Una prima fondamentale critica rigurada la storia: la storia interna al film racconta, come avrebbero potuto farlo certi ingenui – e disonesti – prodotti del cinema hollywoodiano anni '50, il tentativo di un nostalgico recupero del passato in cui si fu felici. A chiunque abbia elaborato un minimo di consapevolezza sulla propria e sull'altrui vita è noto che il tentativo di rivivere il passato così come fu, con la sua felicità peraltro idealizzata nel corso degli anni successivi, non solo è impossibile ma è anche dannoso per la propria maturazione. E per uno spettacolo che a livello tecnico fa della mobilità, della fluidità e della trasformabilità le sue cifre stilistiche, è grave non aver assunto qusti valori al livello più profondo della drammaturgia.

Una seconda critica riguarda la regia e la coreografia: perchè questi artisti hanno scelto di realizzare uno spettacolo che avesse le mani come protagoniste? E' una scelta che traduce l'esigenza profonda e necessaria di esplorare il mondo delle mani, oppure è la mera traduzione visiva di un'idea di base molto originale, quella di rappresentare con le mani il mondo quotidiano? Propendiamo per la seconda opzione, ed è tanto più un peccato, perchè brevi momenti dello spettacolo stesso hanno lasciato intravedere le potenzialità della prima opzione, le potenizialità destabilizzanti delle "nanodanze", derivanti dal fatto che le mani, lungi dall'essere semplici surrogati di corpi umani o di animali preistorici (come per lo più appaiono nello spettacolo) possono trasformarsi all'infinito e, con il loro trasformismo, avrebbero potuto far da guida in un'indagine sull'espressività manuale che scardinasse le logiche del corpo e della percezione figurativa. Si sarebbe in questo modo inaugurato una riflessione più seria sul ruolo delle mani nel nostro mondo, corporeo, psicologico, sociale, morale. Se questa riflessione fosse stata intrapresa innanzitutto dagli autori, anche la drammaturgia avrebbe potuto tematizzare non solo il nostro rapporto con la memoria e con l'amore, temi estrinseci all'impostazione linguistica dello spettacolo, ma il nostro modo di essere al mondo e di percepirlo attraverso delle parti estremamente sensibili ma allo stesso tempo bistrattate, degli organi che presiedono al dominio ancora animale e perciò ritenuto inferiore, quello del tatto.  

 

IDEAZIONE/AN IDEA BY MICHÈLE ANNE DE MEY E JACO VAN DORMAEL
IN CREAZIONE COLLETTIVA/A JOINT CREATIVE PROJECT WITH GRÉGORY GROSJEAN, THOMAS GUNZIG, JULIEN LAMBERT, SYLVIE OLIVÉ, NICOLAS OLIVIER COREOGRAFIA E NANODANSE/CHOREOGRAPHY AND NANODANSE MICHÈLE ANNE DE MEY, GRÉGORY GROSJEAN
REGIA/DIRECTED BY JACO VAN DORMAEL
TESTI/TEXTS THOMAS GUNZIG
SCENEGGIATURA/SCRIPT THOMAS GUNZIG, JACO VAN DORMAEL
LUCI/LIGHT DESIGN NICOLAS OLIVIER
RIPRESE/IMAGES JULIEN LAMBERT
SCENE/SET DESIGN SYLVIE OLIVÉ
SOUND DESIGN DOMINIQUE WARNIER
NARRATORE/NARRATOR ANGELO BISON
PRODUZIONE/PRODUCTION CHARLEROI DANSES, CENTRE CHORÉGRAPHIQUE DE LA FÉDÉRATION WALLONIE-BRUXELLES
IN COPRODUZIONE CON/IN COPRODUCTION WITH LE MANÈGE.MONS – CENTRE DRAMATIQUE, LES THÉÂTRES DE LA VILLE DE LUXEMBOURG
CON IL SOSTEGNO DI/WITH THE SUPPORT OF MINISTÈRE DE LA COMMUNAUTÉ FRANÇAISE WALLONIE-BRUXELLES – SERVICE DE DANSE, DE WBI (WALLONIE BRUXELLES INTERNATIONAL)

date/dates 15, 16 giugno/june h 21.00
luogo/venue teatro politeama
durata/running time 1h 30min
lingua/language italiano/italian
paese/country belgio/belgium

Cinema, danza, performance, bricolage di linguaggi e contaminazioni: la meraviglia di una creazione originale e sempre nuova che si compie sotto gli occhi di chi guarda. Uno spettacolo che intreccia sapientemente arti diverse, annullando il confine fra una e l’altra, aprendo le porte all’immaginazione. Sullo sfondo scorrono immagini di più coreografie e, tra esse, fanno la loro comparsa figure affascinanti, nude e muscolose, dotate di una straordinaria sensualità: si incontrano, si toccano, si accarezzano.
Sono dita delle mani riprese a distanza ravvicinata e proiettate sul grande schermo. Si muovono fra miniature e raccontano le loro storie. La premessa dello spettacolo è semplice come lo sono i temi raccontati: «Dove vanno le persone quando scompaiono dalla nostra vita e dalla nostra memoria?». In Kiss&Cry tutto è mescolato in una narrazione simultanea che abbraccia performance live e non, il granello di sabbia e il mondo intero, il presente e l’universale, lo specchio e la lente di ingrandimento per farci testimoni di una magia irripetibile che ha il suono e il sapore delle sensazioni più intense. Il plot narrativo non segue un ordine cronologico lineare, è compito degli spettatori “unire i puntini” in base alla propria sensibilità; ci sono momenti in cui il simbolismo sembra chiaro, e altri in cui è decisamente più enigmatico.
«A seconda dei posti in cui siamo andati in scena – afferma Van Dormael – la ricezione dello spettacolo da parte del pubblico è stata molto differente. In America Latina, ad esempio, lo spettacolo ha assunto un significato politico: quando parliamo di “quelli che sono spariti” può essere interpretato in riferimento alle vittime del regime di Pinochet, sparite senza lasciare traccia. […] Credo che uno dei punti di forza dello spettacolo sia il richiamo al comune ricordo che tutti abbiamo della nostra infanzia: tutti, a un certo punto della nostra vita, abbiamo giocato con pupazzi, le macchinine o gli animali, inventando storie in cui credevamo davvero».

Kiss & Cry is a seamless weave of varied art forms aimed at widening our imagination. On a backdrop of superimposed choreographies, fascinating nude, muscular forms appear. Incredibly sensual, they meet, they touch, and they caress each other, until one realises that these are not bodies but fingers, filmed from close-up and then, magnified and projected onto a wide screen.
They shift though a miniature landscape of dolls-houses and tiny streetlights narrating their stories. The premise of the performance is simple, just like the stories that are told: «Where do people go when they disappear from our lives and from our memory?». In Kiss & Cry everything is brought together into a single narrative embracing live and recorded performance, encompassing the tiniest grain of sand to the entire world, from the present to the universal, creating an dream-like testimony of a more intense, profound dimension.

 

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF