Ai Teatri di Vita di Bologna è andato in scena KAFKA SULLA SPIAGGIA, per la regia di Marisa Ragazzo: lo spettacolo prende forma grazie alle coreografie idealte insieme a Omid Ighani, che dello spettacolo ha curato anche lo spartito musicale oltre che quello corporeo, in questa produzione DaCruCompany con il sostegno di Compagnia Naturalis Labor.
DRACRU COMPANY: cocktail di stili e intepreti in sintonia perfetta
E così abbiamo un cocktail di stili funzionali a questa sperimentazione di danza di strada all’interno del luogo teatro, uno spazio fisico delimitato e concettualmente pieno, anche se in modo diverso rispetto alla strada. Le loro partiture fisiche spaziano dall’hip hop, all’house, passando per il rock, il jazz e la break dance, senza timore, lasciandosi andare alla sperimentazione fino in fondo, traendo forza da questa contaminazione, che impreziosisce l’ambizioso progetto. L’amalgama funziona, ci troviamo davanti a stili diversi che però percepiamo come un unico fluire, un unico movimento fatto di tante sfumature.
Gli interpreti: Davide Angelozzi, Samar Khorwash, Alessandro Marconcini, Alessandra Ruggeri, Serena Stefani, Claudia Taloni e Tiziano Vecchi sono una squadra in sintonia perfetta, che non si risparmia mai, impeccabili in ogni minimo gesto, consapevoli in ogni sguardo, ci portano con loro nel racconto, nel difficile compito di raccontarcelo soltanto con il corpo, unico strumento a disposizione. Ed è proprio qui il fulcro della sfida di portare in scena uno spettacolo di teatro danza ispirato a un’opera letteraria molto famosa: già il teatro è un linguaggio molto diverso dalla letteratura, e il teatro danza è il figlio del teatro che ha però preso una sua particolare strada, scegliendo il corpo in tutto e per tutto, eliminando la parola.
KAFKA SULLA SPIAGGIA: dal testo di Murakami allo spettacolo di teatro-danza
Chi vi scrive non ha letto il romanzo da cui è tratto lo spettacolo: ha scelto, infatti, di non leggerlo per intero neppure a ridosso della visione dello spettacolo, ma di limitarsi alla sinossi, per capire fino a che punto fosse fruibile. Conoscendo solamente lo scheletro e gli intrecci centrali del testo ne ho ritrovate forti e chiare le immagini nella danza, negli incontri tra i vari personaggi, nella scelta della musica, evocativa e mai banale. Non mi resta adesso che completare la lettura per chiudere il cerchio. Chi non conosceva nulla dell’opera letteraria forse non ha avuto modo di essere guidato nella comprensione dello spettacolo, ma pensiamo, abbia in ogni caso apprezzato l’estetica di un lavoro minuzioso sui corpi e sulle menti, un lavoro di cesello, di purezza nella rappresentazione, che non poteva durare più di un’ora per l’energia richiesta. Un lavoro che parla senza dire, che riesce ad arrivare oltre le semplici parole, perché i significati sono più alti, noi sappiamo fin da subito che non possiamo possederli fino in fondo, c’è sempre qualcosa che sfugge, allora i corpi bastano, le parole, a questo punto, sarebbero comunque inutili. Siamo di fronte all’inutilità della parola.
I personaggi, vivi davanti a noi grazie ai corpi dei danzattori, sono valorizzati dal disegno luci di Giuseppe Filipponio, che li aiuta nella narrazione delle varie scene, che prendono vita nell’allestimento ridotto all’essenziale curato da Roberto Rini. Una menzione particolare ai costumi, molto evocativi nella loro semplicità, come il trucco a maschera, un contributo poetico a uno spettacolo che già lo è tanto di per sé.
Come ci ricorda lo scrittore giapponese, è vero che il silenzio è una cosa che si ascolta. E così anche i corpi possono essere ascoltati oltre che guardati.
Il progetto DRACRU: danza urbana e black culture
La ormai consolidata coppia di danzatori e coreografi è stata fondatrice, nel 1996, del progetto DaCru, una delle compagnie di danza urbana più rappresentative del panorama italiano; la prima ad entrare negli spazi performativi della black culture delle varie capitali europee. Da questi viaggi la necessità di una sperimentazione che mescola danza urbana e teatro come luogo fisico, una scelta non comune nella cultura di strada. La diversità nella loro formazione – più accademica nel caso di Marisa Ragazzo e più street dance e freestyle per Omid Ighani – ha permesso alle loro coreografie di trovare quel quid in più, il risultato della fusione dei due stili che, nel desiderio di trovare un compromesso, esalta le particolarità di entrambi, come gli impeccabili virtuosismi tecnici da un lato, la velocità e la dinamicità della strada dall'altro.