JE M’EN FOUS@Teatro Arvalia: rinasce ancora Edith Piaf dopo cento anni

19 dicembre 2015: un secolo fa esatto nasceva Édith Giovanna Gassion, il 19 dicembre del 1915, e sabato 19 dicembre 2015 veniva celebrata la sua memoria al Teatro Arvalia con lo spettacolo teatrale “JE M’EN FOUS”, realizzato dalla compagnia del Teatro del Torrino, scritto e diretto da Luca Pizzuro e in scena dal 17 al 20 dicembre.

Mentre i teatri d’Europa soffrono degli spalti vuoti e dei mancati applausi per la bellezza e l’arte, in memoria del “Passerotto” di Parigi, quella Parigi nella quale i teatri sono ancora sgomenti degli ultimi fatti di cronaca del terrore, al Teatro Arvalia eravamo in tanti a commuoverci ed a lasciarci trascinare emotivamente assistendo alla rappresentazione della vita di una leggendaria cantante dalla voce eterna. E viene da ricordare quella volta che Edith Piaf cantò una delle sue canzoni più significative, al teatro Olimpya di Parigi nel natale del 1960, dopo che Bruno Coquatrix la supplicò di cantare ancora per risollevare le sorti di quel teatro sull’orlo del fallimento, e cantò “Non, je ne regrette rien”, forse l’ultimo grande successo prima del tracollo definitivo della sua salute. Ma il teatro Olimpya non fallì, grazie alla generosità artistica di Edith.

La “chanteuse” è stata interpretata dalla notevole sensibilità di Lauraine Criscione, capace di immedesimarsi in questo personaggio complesso, nei cui panni qualunque attrice si sentirebbe a disagio per la mole enorme della sua fama, ma soprattutto per il peso drammatico della sua vita difficile e sofferta. La Criscione ha ammesso che per interpretare Edith Piaf “bisogna scavare a fondo anche dentro sé stessi” (estratto dalla videointervista pubblicata da ilbelloeilcattivotempo.it il 18/12/2015), e probabilmente questa è la chiave del successo di tanti artisti che volevano essere ascoltati per quello che avevano da raccontare, traendo il vigore della propria arte proprio dalla “palude salmastra” della loro vita intima, come la definisce Pizzurro stesso. E così fu per la Piaf, l’esile “usignolo” capace di commuovere tutto il mondo perché non parlava a tutti, ma al cuore di ciascuno, la sua voce non era per il pubblico, ma per me, per te, per lui, per lei, e soprattutto per sé stessa.

Lo spettacolo teatrale di Luca Pizzurro le rendeva omaggio in questo, una stoccata nel cuore dello spettatore, attraverso la voce di Lauraine Criscione, che tra l’altro ha saputo interpretare alcune canzoni riproducendo in maniera stupefacente il timbro e l’accento della “chanteuse”. Una rappresentazione biografica più che artistica, che ha messo in luce quanto in realtà l’arte è biografia. Ha raccontato la vita intima di Edith Piaf facendo vibrare la corda più sonora, quella difficile della sofferenza, di una vita piena di stenti, momenti di profonda depressione psicofisica, dell’ amore venuto meno nel corso di tutta la sua vita. Troppo spesso Edith si è chiesta cosa fosse alla fine l’amore: “L’amore significa lottare, menzogne, grandi e grosse ed un paio di schiaffi in pieno viso”, questo era per lei l’amore.

Edith che ebbe un’infanzia traumatica per il mancato amore dei genitori che l’abbandonarono, Edith che per tutta la vita si è ispirata per le sue canzoni a quel ribelle cantar di strada che apparteneva alla madre, e che era la colonna sonora del contorsionismo di strada del padre; Edith che vide tanti amori nel suo letto, alcuni per degli uomini interessati solo ad esser lanciati da lei nel mondo dello spettacolo (e sono tanti coloro che grazie a lei divennero cantanti di una certa fama), altri amori finiti in tragedia come la morte del pugile Marcel Cerdan, altri ancora violenti perché lei non si sentiva degna di essere amata teneramente, come il rapporto con Raymond Asso interpretato con imponente presenza da Massimo Cardinali; Edith che cantò l’ “Hymne a l’amour” e che col suo ultimo amore Thèo Sarapo cantava: “Sans amour dans la vie,/ Sans ses joies, ses chagrins,/ On a vécu pour rien?/ Mais oui! Regarde-moi!/ A chaque fois j’y crois!/ Et j’y croirait toujours…/ Ça sert à ça l’amour!// Senza amore nella vita, senza le sue gioie, i suoi dispiaceri, si è vissuti per niente? Certamente! Guardami! Ogni volta piango, e piangerò sempre… ma serve proprio a questo l'Amore!”

Nonostante la depressione fosse per lei all’ordine del giorno, Edith Piaf riusciva sempre ad emergere lottando contro l’ingiustizia della sua sorte. “Si può chiedere ad un fiore di vivere senza acqua? Si può chiedere al suono di esistere senza il silenzio? Si può chiedere ad una tartaruga, appena rotto il guscio, di non andare verso il mare? Si può chiedere ad una donna di vivere senza amore?” (dal monologo di Edith Piaf nello spettacolo).

La scena dello spettacolo era allestita in alto con dei rami di pesco in fiore, i peschi di Parigi sotto i quali negli ultimi giorni della sua vita Edith aveva sognato di fare ritorno, nella sua amata Parigi dove “Ci sono le rive della Senna. C’è il viale dell’ Opera. Vi è il bosco de Vincennes. (…) E poi ci sono i balli che ti fanno venire i brividi dappertutto. Ci sono le stelle che sono più belle dei gioielli. Ci sono i bei ragazzi che ti baciano sul collo. Il resto, dopotutto non m’importa!” Dove cercare l’amore, per tutto il resto “Je m’en fous”.

No, non ha rinnegato nulla Edith Piaf, e forse proprio per questo ancora oggi la sua voce resta indimenticabile e sempre attuale, perché non parla al suo tempo, ma a quell’ascoltatore immortale che è l’anima, e la compagnia del Teatro di Torrino è stata la cassa di risonanza della sua voce eterna.

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