Uno spettacolo di notevole intensità quello portato in scena da Fausto Russo Alesi che, ben guidato dalla regia di Serena Sinigaglia, fino al 5 marzo 2017 al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano interpreta la figura di “Ivan”, il più angosciato e il più umanamente vero de “I Fratelli Karamazov”, l’ultimo romanzo – connotato dal conflitto morale tra fede, ragione, libero arbitrio e dubbio – di Fëdor Dostoevskij (Mosca 1821 – San Pietroburgo 1881).
Il romanzo, scritto tra il 1879 e il 1880, narra la drammatica storia della famiglia Karamazov composta dal padre Fëdor, da tre figli legittimi, Dimitri, Ivan e Aleša, e da uno illegittimo, Smerdjakov. La riscrittura del testo è opera di Letizia Russo supportata da Fausto Malcovati, tra i più grandi esperti di storia e letteratura russa nel nostro Paese, e si limita alla parte centrale del romanzo quando i due fratelli Ivan e Aleša, con idee agli antipodi relativamente alla religione, cenano insieme e Ivan fa ricorso a La leggenda del Grande Inquisitore, narrazione allegorica inventata per chiarire la visione del mondo e della fede a chi lo ascolta, ma anche e forse soprattutto a se stesso stante il ritmo continuo e concitato di pensieri profondi e importanti che fluiscono con disordinata forza come una cascata dopo piogge incessanti.
Cristo, riacquistate le sembianze umane, ritorna sulla terra nella Spagna del ‘500 quando trionfa la Santa Inquisizione ed è riconosciuto dalla popolazione che lo venera, ma il Grande Inquisitore lo fa arrestare, lo mette in catene e lo condanna al rogo. Tremenda la rivelazione di questo personaggio che lo ha riconosciuto e lo ammonisce biasimandolo per avere sovvertito l’ordine creato dalla Chiesa attraverso il braccio operativo dell’Inquisizione ritenendo l’umanità debole e incapace di fruire di quella libertà per la quale Cristo si è sacrificato e per la quale viene nuovamente condannato.
Temi importanti, fondamentali per tutta l’umanità che – se è vero che li affronta con particolare drammaticità e doviziose analisi nella grande letteratura dell’Ottocento russo – da sempre si pone quesiti e si interroga sugli infiniti e sfaccettati problemi dell’esistere. Persino oggi in questo mondo del correre e dell’apparire, serpeggia nascosto e infido il tarlo del senso della vita tanto più che siamo più distratti e soprattutto più soli rispetto al passato e difficilmente troviamo un fratello o un amico a cui raccontare il proprio tormento interiore anche solo per chiarire a noi stessi il senso della vita: non c’è tempo né è fruttuoso farlo…
Affascinanti dunque non solo le parole-fiume che sgorgano da un fine intellettuale come Ivan, più maturo della sua età e ben reso da una preziosa ed equilibrata interpretazione attoriale, ma anche la splendida ed essenziale scenografia costituita da un vortice metallico cui sono attaccati fogli sparsi e scompaginati dalla fatica di indagare senza risposte certe o dall’impossibilità di costruire un omogeneo mondo di sicurezze o rappresentano vite che sfuggono veloci? A ciascuno il suo sentire!