IO SONO @ Teatro Lo Spazio: l'identità  persa in un bestiario umano

Il Teatro Lo Spazio ha ospitato a fine maggio IO SONO, ultimo lavoro di Chiara Guarducci, diretto e interpretato da Laura Cioni. L’autrice è tornata sulla scena romana dopo aver partecipato ai Corti teatrali 2016 (ora riproposti per il 2017) del Teatro, proprio con uno degli otto “episodi” di cui si compone IO SONO e speriamo di rivederla presto in scena a Firenze o sulla scena romana.
Per saperne di più sull'estrosa Chiara Guarducci  raccomandiamo l'intervista di Alice Capozza realizzata al Magma, in occasione di Polvere dei Sogni.  

IO SONO è uno spettacolo audace che si compone di diversi monologhi (la Guarducci è un’amante del genere), certamente fuori le righe e un po’ pazzo, come ce lo ha definito la stessa autrice, proprio poco prima di cominciare. Lo spettacolo che richiede una intensità non solo recitativa ma anche fisica, ha una regia piuttosto ordinata che sfrutta bene il potenziale di un’attrice, la Cioni, forte di una espressività piuttosto spiccata e di una buona presenza scenica, e permette all’attrice di riprendersi con pause ben studiate e necessarie.
Gli otto monologhi (ed i dieci personaggi in essi rappresentati) che compongono la partitura teatrale hanno diversa intensità, ma tutti resi magnificamente dalla espressiva Cioni, che entra ed esce da un personaggio all’altro, sfruttando le diverse sedie vuote che incorniciano lo spazio scenico e che quasi sembrano attendere silenti che vi si sieda e “si vesta” di una nuova identità, maschile o femminile poco importa,
Si tratta in effetti di un inventario di diverse anime facenti parte di un panorama umano tutto italiano (aspetto questo che non necessariamente inficia la loro originalità caratteriale e valenza generalista).
La partitura mescola momenti dialogici, soliloqui, monologhi a una o più voci (l’attrice interagisce con una voce “radiofonica” fuori scena) e momenti di mimesi (aspetto nella quale la Cioni è brillante e scanzonata – ad es. nel maratoneta, splendidamente reso) e mescola gesti cinetografici a quelli simbolici in un mix piuttosto ben riuscito e dal ritmo decisamente sostenuto (anche se a volte si eccede un po’ – il primissimo esercizio mimico è divertente ma a nostro avviso va ridotto nei tempi per non risultare ridondante).
Non mancano anche innesti musicali e brani cantati (e ci sembra che l’attrice sia piuttosto a suo agio in tutte le difficili situazioni recitative, canore e danzanti in cui la si pone). Manca un qualsivoglia intento didascalico sulle figure stesse, aspetto questo più che sensato: è una esibizione fine a se stessa in cui ogni spettatore è chiamato a rintracciare sentimenti compatetici o disgiuntivi.

Quelle che ci racconta Chiara Guarducci sono figure schiave dell’apparenza e della voglia di successo, che corrono, che si dimenano o scalpitano in un certo affranto egocentrismo e lottano con antagonisti (messi in scena dalla stessa Cioni) veri o presunti (interni e viscerali) che altro non sembrano che proiezioni di una stessa personalità critica. Sono anime grottesche perchè così rese nella loro solitudine, nei lori soliloqui spesso amari, e terribilmente sole. L'umorismo le illumina tragicamente, le rende neanche veramente persone umane ma grumi di significato tragico, che amplifica l'incapacità di ognuno di andare realmente avanti.
Usciamo da questo spettacolo arricchiti di riflessioni, spesso involontarie su queste anime che spesso “conosciamo”: sono persone che riconsociamo in icone televisive o della cronaca (il modello drogato in galera richiama precisi riferimenti ai vip nostrani o anche la donna suicida o i due ricchi), o sono figure, in parte, vicine ad altre che abbiamo incontrato (a volte siamo “un po’ noi” e in questo lo spettacolo centra il suo obiettivo); alcune umanizzano stati d’animo ricorrenti (la depressione, l’ansia generalizzata, il senso di frustrazione -il cliente che “manda giù la merda degli altri” è il più esemplificativo).
Riflettere sui loro paradossi, sulle bipolarità che li caratterizzano, sulle sfide che devono tutti compiere, su quegli ostacoli che devono scansare e che potrebbero non vincere affatto ( il monologo mimico del Maratoneta ne è esemplificativo) rende l’idea di come IO SONO strizzi l’occhio al pubblico chiedendo una certa immedesimazione caratteriale e autorionia al pensare “IO SONO un po’ così” matto e un po' abnorme, come qesto bestiario, che poi, è la vita stessa.

Trailer spettacolo "IO SONO"

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