Dopo aver assistito in PRIMA ASSOLUTA al lavoro di Babilonia Teatri Giulio meets Ramy/Ramy meets Giulio (qui la riflessione e l’intervista a Enrico Castellani), abbiamo intervistato IN ESCLUSIVA Ramy Essam, protagonista della rappresentazione. Il cantautore egiziano, che ci ha catturati con la potenza musicale e semantica delle sue canzoni, è esiliato dal suo paese dal 2014 dopo essere stato il cantore delle rivolte di Piazza Tahrir. Da quei giorni un’accusa di terrorismo pende sulla sua testa e ciò lo tiene lontano dall’Egitto dove vorrebbe tornare un giorno. Nella breve ma intensa chiacchierata con lui abbiamo parlato di come è stato coinvolto nel progetto dello spettacolo e della sua vita e carriera tra passato e futuro, questo sperabilmente migliore di quello.
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INTERVISTA AL CANTAUTORE EGIZIANO RAMY ESSAM
Leonardo Favilli (L.F.): prima di tutto, grazie per il tuo tempo. Per me è davvero un privilegio essere stato qui in terza fila ad assistere allo spettacolo ieri sera.
Cosa puoi raccontarci della tua carriera e di come è nata la passione per la chitarra e la musica? In più, quando hai capito che dovevi rivolgere il tuo talento alla satira critica?
Ramy Essam (R.E.): Grazie a te per esserci stato. Venendo alla domanda, è successo in due fasi principali. Inizialmente non amavo la musica, non sapevo neanche suonare uno strumento. Giocavo solamente a calcio e mi divertivo lottando con i compagni di scuola. Intorno ai 17 anni ho incontrato per caso un amico che suonava la chitarra e gli ho chiesto di farmela provare. Quando l’ho toccata, da quel momento, da quando è entrata in contatto col mio petto, ho sentito che completava la mia persona. Gli ho chiesto di insegnarmi a suonarla e in 3 mesi ho imparato. Da lì poi mi sono accorto che potevo anche comporre e cantare. In un primo momento mi limitavo a canzoni pop d’amore che scrivevo su commissione per altri poi a 19-20 anni ho incontrato un poeta Amgad El-Qahwagy che mi ha mostrato per la prima volta la poesia politica proprio mentre nasceva la mia passione per il rock. Pertanto ho unito le due nuove passioni e ho capito che quello era il mio futuro. Questo è successo 3 anni prima della rivoluzione. Le cose così procedevano e mi sentivo nel giusto. Quando la rivoluzione è arrivata era come se non mi rendessi conto che stava per essere un giorno importante nella mia vita. Le mie canzoni di critica sociale anche prima della rivoluzione non erano famose, non erano ascoltate così tanto ma le facevo. Quando poi la rivoluzione è arrivata, io avevo già le canzoni per essa.
L.F.: cosa hai pensato quando sei stato contattato per la prima volta?
R.E.: Inizialmente è stata lei (Valeria Raimondi, NdR) a contattarmi (Ramy la indica perché accanto a lui). Sostanzialmente all’inizio non sapevamo che cosa sarebbe diventato lo spettacolo. Ho però capito che dovevo fidarmi di loro e lanciarmi in questa avventura. In nessun momento mi hanno veramente detto cosa dovevo fare. E’ nato tutto semplicemente, passo dopo passo. Ancora due giorni prima del debutto stavamo lavorando per cambiare qualcosa del nostro lavoro.
L.F.: cosa credi che noi possiamo fare per l’Egitto, se possiamo? Per sostenere le idee della Rivoluzione. A volte ritengo che il caso di Patrick Zaki ci abbia aiutato a mantenere alta l’attenzione sull’Egitto. Altrimenti avremmo magari solo distrattamente guardato all’evoluzione storica del paese.
R.E.: La cosa più semplice da fare è diffondere e parlare della rivoluzione. Questo già è di grande valore. Dobbiamo essere perseveranti nel mettere pressione ai media pubblici. Anche mettere pressione al tuo paese in modo che non abbia relazioni con il regime egiziano è importante. In tal senso qui in Italia la situazione è critica perché il paese ha rapport costanti con l’Egitto, lo rispetta. Più persone nel mondo iniziano a protestare per questo e meglio è perché può portare alla liberazione dei prigionieri politici, un atto simbolicamente importante. Infine, l’uso delle aeti e delle collaborazioni internazionali con gli artisti e le persone è importante. Come lo è in questo caso con Valeria ed Enrico.
L.F.: tra l’altro hai vari legami con l’Italia. In passato hai ricevuti anche dei riconoscimenti come quello a Barcellona dell’anno scorso (Rambaldi Prize 2021, NdR)
R.E.: Si vero. Ho avuto legami anche con il Club Tenco ma amo l’Italia da lungo tempo anche per il calcio (risata generale). Mi ricordo ancora il rigore di Baggio nella finale del 1994. Avevo 7 anni e da allora sono diventato tifoso di quella squadra vestita in blu.
L.F.: conoscevi il caso di Giulio Regeni prima del vostro incontro? Se potessi mandare un messaggio alla sua famiglia, cosa diresti?
R.E.: Si, certamente. Non conosco personalmente la famiglia di Giulio ma ho potuto ascoltare alcune loro interviste. L’unico messaggio che da egiziano posso mandare è che noi stiamo combattendo anche per Giulio così come facciamo per tutti i fratelli e le sorelle che hanno perso la vita e combattono quotidianamente. Giulio non è un estraneo per noi. Combattiamo per tutte le vittime e anche per avere giustizia per lui.
L.F.: e per quanto riguarda il caso di Patrick Zaki?
R.E.: Non l’ho mai incontrato ma seguivo il suo caso. Poi ne sono stato ancora più coinvolto quando sono venuto in Italia. Sono preoccupato per lui ma sono contento che sia libero. Spero che presto non sarà solo libero dal carcere ma libero di lasciare il paese. Perché non si può mai sapere cosa può succedere.
L.F.: cosa ti auguri per il tuo futuro personale e per quello del tuo paese? Alla luce della tua esperienza personale e di quella delle persone che hai incontrato lungo il tuo travagliato percorso, cosa credi che serva al tuo paese per riscattarsi? E cosa possiamo fare noi, oltre ad esserci?
R.E.: Per me stesso mi auguro che nel futuro ci sia sempre più musica, più arte, più collaborazione con gli artisti in giro per il mondo. Più viaggio, più mi rendo conto che condividiamo le stesse pene e gli stessi dolori. Voglio continuare a far questo. Poi ovviamente il più grande desiderio è quello di tornare a casa perché significherebbe che qualcosa è davvero cambiato. Io confido che la rivoluzione torni. Non è né conclusa né morta. E’ semplicemente in pausa.
L.F.: ci sono elementi che ci fanno sperare che torni?
R.E.: La dittatura sopprime ogni voce o suono di opposizione. Non ci sono proteste perché molti sono in esilio o in stato di arresto. Sembra quasi che non stia accadendo nulla. In realtà ci sono molteplici forme di arte politica di ogni genere cui le giovani generazioni si stanno rivolgendo con attenzione. Io credo che nei prossimi 20 anni ci saranno delle nuove generazioni. Chi aveva 10 anni nel periodo della rivoluzione sarà maturo. Inoltre ricevo tanti messaggi dai giovani egiziani che mi fanno sperare. Quando io avevo 12 anni non pensavo ad un futuro migliore o ad un paese più democratico. Adesso grazie anche ai social media la consapevolezza è cambiata e questo mi fa ben sperare per il futuro.
L.F.: un’ultima domanda: a fine spettacolo ho notato che hai rivolto gli occhi al cielo per qualche secondo prima di spegnere la torcia. Posso chiederti a chi ti sei rivolto e che cosa hai pensato in quel momento?
R.E.: Quando Enrico e Valeria mi hanno proposto l’idea delle torce, le prime volte l’ho fatto meccanicamente solo per il gesto. Si tratta di un momento molto potente e toccante. Per te come per noi sul palco. Nelle ultime due prove, senza neanche parlarne, mi sono ritrovato in quel momento a pensare agli amici che hanno perso la vita durante la rivoluzione. Non ho programmato a chi pensare. Quello che mi è venuto in mente ieri sera è stato un giovanissimo amico che è morto in prima linea contro il regime. (NdR: Ramy ha nominato l’amico ma per rispetto di lui e della sua memoria non lo citeremo, secondo la sua volontà).
NOTE BIOGRAFICHE DI RAMY ESSAM
Considerato il cantore di Piazza Tahrir, Ramy Essam nasce come cantautore in giovane età quando scopre la passione per il rock e per la protesta politica in un paese, l’Egitto, subissato da regimi che negli anni hanno combiato volti ma non la loro natura dispotica. A causa dei testi e dei contenuti delle sue canzoni, Ramy è stato accusato di terrorismo e, dopo arresto e torture, da allora costretto a vivere da esiliato in Svezia da dove continua a collaborare con artisti di ogni parte del mondo per promuovere i valori di libertà e giustizia, oggi soffocati in molte parti del mondo. Proprio per il ruolo decisivo che ha avuto nei giorni delle rivolte di Piazza, la sua canzone Irhal è stata dichiarata la terza canzone che ha cambiato la storia dalla rivista Time Out. Tra i premi ricevuti nella sua carriera: Rambaldi Prize 2021 dell’Associazione Cose di Amilcare, il premio Grup Yorum Award del Club Tenco e il Václav Havel Prize of Creative Dissent della Fondazione per i Diritti Umani.
GIULIO MEETS RAMY/RAMY MEETS GIULIO
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
con Ramy Essam, Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Amani Sadat
direzione di scena Luca Scotton
produzione Teatro Metastasio di Prato
foto per la stampa Patrick Fore
Uno speciale ringraziamento a Cristina Roncucci dell’ufficio stampa per la collaborazione
Teatro Fabbricone, 23 Febbraio 2022