Il freddo gelido di quest’ultima di novembre mi scalda comunque il cuore quando vedo davanti il Vittoria una lunga fila da stadio (era per dare l’idea…). E quella calca umana non è lì neanche per quell'odioso Black Friday che ancora mi ronza nell'orecchio come una stupida zanzara. Quella mirabile coda, bardata di spessi soprabiti, è impaziente di assistere allo spettacolo della “Veterana” del Teatro: Lella Costa con il “Suo” Intelletto d’amore – Dante e le donne". La pièce ha debuttato il 30 ed è rimasto in scena sino al 5 dicembre.
“Vengo e mi spiego!” diceva all’inizio d'ogni lezione il mio amato professore di Lettere eppure se ne stava fermo dietro la sua piccola cattedra di formica strappata. Ma davvero veniva a noi: viaggiava oltre le mura dell’aula e ci faceva infilare dentro i vorticosi gironi danteschi, il Rinascimento di fine XV secolo, sino al più recente Pirandello di inizi secolo e ogni tanto svolazzava a ritroso (per paragoni) sino agli “Scapigliati” del ‘700. Dicevo…?, Ah, sì! Perché è favoloso perdersi e ritrovarsi in compagnia della cultura. Letteratura. Dunque “Vengo e mi spiego…”.
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Lella Costa: una veterana del teatro di qualità
In ordine: Lella Costa è dunque “Veterana”. Ometteremo l’etimologia latina perché non ci sembra garbato (per dirla alla toscana) nei riguardi di una signora del Teatro senza età. L'età non si chiede e tanto meno si scrive. Mi piace di più l’allusione e l'accezione moderna di veterano del Treccani: “Soldato con molti anni di servizio” oppure “Reduce di guerra”. Costa lotta da anni per il suo Teatro di qualità e torna sul campo o sul palco dopo quella curiosa Tregua imposta dal maledetto Virus col numero 19. Difende quella socialità viva o dal vivo e rinnega l’uso dei telefoni che mortificano la vita e la cultura in certe occasioni. Poi ammette che sono utili. Sono strumenti e quindi basta solo saperli gestire dico io. Dosarne l’uso. Evitare dipendenze o certe pulsioni meccaniche da palmo e dita da tastiera cieca. Finestra diabolica sul mondo che spinge lo sguardo al verticale.
Poi ho usato “Suo” e l’ho virgolettato persino quel pronome: non a caso. Il testo è di Gabriele Vacis e della stessa Lella Costa.
E infine o per primo: il Titolo di quest’articolo. Qui gli autori guardano le vicende del “Sommo” con la lente femminile che ingrandisce (a dovere) certe questioni rimaste mute. Insolute. Di altre rileggono certe interpretazioni da un'angolazione rosa e insolita.
Nell'Italia medievale ancora senza “patate e pomodori” (sarebbero arrivati dopo dalle Americhe) si viveva comunque e bene: d’amore, bellezza e cultura. Un po’ come si viveva di recente ai tempi della Cabina telefonica SIP…
DANTE E LE DONNE: la riesumazione di Lella Costa
La Commedia (che poi l’altro esimio toscano Boccaccio ribattezzò con l’aggettivo “Divina”) è stata ed è una delle opere più conosciute e più tradotte al mondo e spesso meno conosciuta dagli italiani… Buffo paradosso. Anche qui difatti la produzione dello spettacolo è della Radiotelevisione svizzera. Mi viene in mente Pirandello al quale Bonn dedica una cattedra: ma non divaghiamo. Allora… nella battaglia del veterano Costa, al quale appunteremo da subito e al petto una bella medaglia d'oro, c’è il desiderio urgente, irreprimibile di riesumare quello che è stato definito Patrimonio dell’Umanità e che troppe volte rimane impolverato nelle nostre alte e legnose librerie o non c’è per nulla. Tanto si può sempre scaricare da internet, ma si può fare domani. Non oggi: in TV danno il grande fratello e non quello di George Orwell in 1984.
Anche Costa, come me, ricorda una bella e biondissima professoressa con molta minigonna che fece innamorare i ragazzi e tutta la classe perché volava. Toglieva pareti all’aula e persino il soffitto era già trasparente. Notava il pregio e si soffermava sugli errori, sulle incongruenze perché Dante commette errori: è uomo tra gli uomini e si gode la sua condizione di sbagliare. Allora la Prof insegnava alla classe e ai giovani ad approfondire. Scendere giù nel ginepraio meraviglioso dell’analisi. Non abbandonare alla prima difficoltà. Tenere la spugna stretta in mano all'epoca libera da cellulare. Occorre inciampare sulle incongruenze. Farsi anche male, rimettersi su e curare la ferita con la medicina salvifica della verità. Pensare e finalmente “Capire”. Ca-pi-re. Per sé stessi e per chi, intorno a noi, abbiamo voglia di convincere e che posseggono l'arte preziosa dell'ascolto. E ci sembra molto utile quella lezione mai sbiadita di tanti anni fa di Lella studente (forse nella sua Milano). Lì: in quel caldissimo ’68. Lezione di vita e cultura che torna utile sino ai nostri giorni di “Guerra senza bombe”.
LA DIVINA COMMEDIA: Lella Costa sprona il Teatro Vittoria a incuriosirsi di Dante
La Costa sprona la platea presente della Prima e quella che verrà a vederla, instillando la curiosità per un grande Autore che altrimenti rischia di annegare in parafrasi e ammuffire come certi libri di cantina che non vuole neanche il camino.
Dunque, “Vengo e mi spiego… ” e mi sembra di vedere quella frase o esclamazione in testa alla Costa, come un pensiero silenzioso e nitido. Non le piace quella discriminazione per Taide. Perché è rilegata nel girone dell’Inferno? La povera Taide: la puttana che ha risposto! Come vicini di girone e fuoco, ad abbrustolire nella piastra degli inferi e a scontare la pena inferta da Alighieri, ci sono altri personaggi davvero colpevoli di avere imbrogliato e adulato in vita. «Ma Taide?» Ribadisce sul palco del Vittoria il difensore Costa di Taide forse perché donna… «I condannati, gli altri, posso capire…» il Sommo li ricopre e affoga di sterco sin dalla testa. C’è pure quel noto Giasone: vessato dai forconi in quel pozzo rovente dato che ha adulato e conquistato e infine ingannato scientemente tante e molte donne, compresa la Medea più famosa della letteratura e Teatro. «Perché Taide?» conclude il paragrafo teatrale l’attrice, e lascia la platea convinta lei per prima e convincente d’aver scovato l’errore del Padre della lingua italiana. Anche i padri, d'altronde, non sono perfetti. Sono, di solito, almeno in buona fede.
La lista di Dante
Costa parla di una curiosa classifica fatta da Dante e da altri bischeri che contemplava le donne più belle di Firenze. Magari, chissà, l’hanno scritta guardando l’Arno dal Ponte Vecchio che forse Vecchio non era ancora. Aveva appena un secolo e fu l'unico ponte di Firenze per molto tempo. Quindi non mi vengono altre visioni. Forse il lungarno, ma il ponte è più evocativo. Poi torna a stuzzicare il pubblico e gli prepara l'imboscata: «Chi è la donna che Dante mette al primo posto?» Ebbene non è come tutti pensano Beatrice e non è neanche tra i primi cinque, mi pare la nona, e la lista arriva a trenta. Nella classifica, a una pessima posizione c'è anche la signora Alighieri: Gemma Donati, che rivendica molti dei versi del Sommo come musa e forse come autrice.
Dante e le donne… e l'Amore
L'autrice e attrice ci ricorda, suscitando l'applauso fuori protocollo della platea, che non sempre ci si sposa con il primo amore. Nessuno tra il pubblico alza la mano alla domanda esplicita. Le vicende amorose del poeta sono intrappolate nella rete ferma del Limbo che ci rimanda a quel Purgatorio. Concetto ideale che peraltro il Papa abolisce come un torto al Sommo che gli aveva già dedicato una fitta quantità di versi e una delle tre Cantiche. É qui che si trova Beatrice. Ci diverte quando Costa dice che quello tra il Poeta e la Musa è un amore “sospirato” nel senso meccanico dato che i due si guardavano e sospiravano da un canto… anzi da un lato all'altro della strada. Passione platonica per una donna angelicata che sposa invece il blasonato Simone de Bardi. Tra gli invitati alle nozze c'è anche un certo Lorenzo de' Medici, detto anche il magnifico dagli amici, anzi il Magnifico dalla storia. Lorenzo era alla cerimonia perché parente stretto. Insomma matrimonio aristocratico in barba all’amore. Beatrice muore a ventiquattro anni e questo ci dispiace anche dopo settecento anni.
La Commedia secono il gusto maschile o femminile
Costa diverte di nuovo quando ci parla dell'annosa diatriba tra uomini e donne che preferiscono rispettivamente il Canto XXVI dell'Inferno (noto come il Canto di Ulisse) e il V dell'Inferno. Gli uomini, chissà perché prediligono il mito negativo dei consiglieri di frode intrappolati nell'ottava bolgia. Sono attratti da Ulisse: inventore fraudolento del famoso Cavallo di Troia rivelatoci da Omero e che portò alla morte gli amici per mezzo della parola affabulatrice. Chissà perché gli uomini sono attratti da Ulisse si chiede Lella Costa? Forse solo perché non hanno letto bene il canto. Gli torna solo una figura virile e maschia dalla voce roca che Costa ci regala con la sua imitazione del greve.
Le donne, ed è un coro greco in platea che risponde alla domanda dell'attrice, tifano per il V dell'Inferno. In quel cerchio Dante e Virgilio incontrano Minosse, che ringhia e avvita per il corpo a spirale la lunga coda. Se ne sta lì sull'uscio… come una bestia e un mostro. Minosse ricorda loro seppure in rima che in quella bolgia è facile entrare ma è difficile uscire. Ed è niente rispetto alla Selva oscura già visitata. Il V è il girone infernale dei lussuriosi e forse per questo piace tanto al gentil sesso. É lì che il poeta trova, avvinghiati in un unico corpo: Paola e Francesca. É poi così terribile stare avvinghiati per l'eternità al calduccio di quel fuoco infinitamente alimentato?
Gli autori, parlano dei peccatori carnali e di seguito citano il “Talento” che non è avere le doti giuste per partecipare a un programma televisivo tipo X–Factor, ma per quel periodo e per Dante è l'Oblio della ragione che sa essere assai mostruoso e che alimenta la Passione. L'amore folle. Dunque che ben venga il “Talento” nella sua accezione originaria o antica. E qui arriva di nuovo l'applauso unisex che sta bene a tutti in platea.
Il naso di Dante e di Gaber
C'è molto ancora: il confronto di nasi importanti tra Dante e Gaber. Forse il Giorgio nazionale è stato amico di Lella (pure lui milanese): lo sospetto per l'affetto e il calore che usa Costa nella voce, ricordandolo. Poi c'è nella pièce il riferimento esplicito a una certa poetica affine tra Alighieri e l'argentino Borges. E ancora: quel famoso giardino della Morante a Procida dove la Costa si affaccia e vede passare il tempo proprio come lo vide Elsa parlando di Arturo. É il giardino che tutti hanno frequentato e il luogo simbolo dove lasciare la fanciullezza. La pièce ci invita tutti a tornare a quel giardino dove probabilmente si rimane per sempre perché (e torna di nuovo la lente rosa) essere “Ragazza” non è un fatto meramente anagrafico.
INTELLETTO D'AMORE: un racconto confidenziale da prospettive insolite
Lella Costa attrice simile al miglior Veterano, ne ha calcati di palchi. Parla alla folta platea e alle telecamere che incidono su nastro l'evento. É un racconto confidenziale da prospettive insolite come promette la laconica ma esaustiva sinossi. Dante passa per bocca delle sue donne, alla quale l'abile Lella dà forza e carattere. Il palco così ci restituisce le varie figure oltre che con il potere immediato della parola anche con quello dell'interpretazione che cambia nota, colore e intercalare al servizio dei vari personaggi. Poi l'attrice ci regala anche i Canti con una leggerezza che non è mai superficialità. Quel dolce Stil novo diventa piuma e modernissimo: ci dimentichiamo che l'attrice deve per mestiere recitare. La voce della Costa è avvolgente e ci catapulta in quei cerchi danteschi senza sforzo. É tutto di nuovo al presente: episodi di vita che si ripetono da sempre e intonazioni dei giorni nostri. La Divina Commedia in bocca all'attrice milanese sembra davvero scritta dalle donne perché è scritta per le donne, come si dirà. Dante è stato un vero femminista e si fa accompagnare in Paradiso da Beatrice. E questo suonò come uno scandalo nel medioevo: una donna come guida spirituale?
La scenografia del Teatro Vittoria per Lella Costa fa presagire un reading…
Il sipario si apre su una batteria luminosa di leggii: unica scenografia dello spettacolo. Forse non c'è… difatti nella locandina si scrive: Scenofonia e luminismi. E infine un'altra luminaria apparirà in un posto inaspettato: la testa di Costa, forse a significare che Dante sa ancora illuminarci?
L'esercito di leggii avvolti nelle luminarie, fa presagire un reading. Nessuna paura per chi non li ama: Costa è per quasi tutto il tempo en face al pubblico e gli parla guardandolo dritto negli occhi con coraggio. Non cerca il buio come altri attori più timidi. Anche quando cerca il probabile conforto del leggio, interpreta a memoria, quasi sempre, i versi e ci dimostra anche qui l'amore confessato per Dante. La sua lirica. Per la sua opera immensa e visionaria. Poche volte legge perché colta ed è di nuovo musica per le orecchie di chi silenziosamente si prepara all'ascolto nel rito del Teatro. Cerca solo, Lella, la compagnia delle maniche del suo largo abito a campana, che tortura tra le dita. Ferma le maniche e insieme l'emozione del debutto.
C'è una scelta variegata di musiche, che forse appartengono alla vita dei due drammaturghi o chissà? Quelle note rimangano a volte sotto la voce o s’impongono quando il testo fa le sue attese pause.
Il lavoro teatrale impegna anche il pubblico per durata e contenuto, ma l'attrice è maestra nell'alleggerirne il peso. É dunque leggera e mai superficiale. Probabilmente avrei preferito che certi concetti fossero meglio condensati ma questo è mestiere del critico come quella bella Prof dalla minigonna che adorava scovare pregi e difetti. Poi penso: non si dice spesso al bar dello stadio repetita iuvant?
Spettacolo da vedere.
Dante e le donne
scritto da Gabriele Vacis e Lella Costa
con Lella Costa
regia Gabriele Vacis
una coproduzione Mismaonda e Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano
in collaborazione con RSI – Radio Svizzera italiana
Dal 30 novembre al 5 dicembre 2021