DAS KAFFEEHAUS @ Teatro Vascello: Venezia diventa un non luogo

È andato in scena (fino al 30 gennaio in matinee) al Teatro Vascello DAS KAFFEEHAUS, con la regia di Veronica Cruciani che rivisita il testo di Rainer Werner Fassbinder, da Carlo Goldoni.
Le pareti e il pavimento damascati, maschere di carnevale sui volti, stoffe di pizzo e merletto, ci introduco immediatamente in una Venezia che non ha né tempo né, in realtà, luogo.

Nel 1969, al Theater der Freien Hansestadt di Brema, Reiner Werner Fassbinder mette in scena Das Kaffeehaus, testo tratto dall‘omonima commedia di Carlo Goldoni, scritta e rappresentata tra 1750 e il 1751.

Fassbinder ha dedicato gran parte della sua arte a disvelare le sottili trame che regolano i rapporti sociali, generalmente molto meno nobili della morale pubblica che si vuole ostentare. La commedia di Goldoni offre un valido canovaccio, perché lo stesso drammaturgo italiano era interessato ai sottili e mascherati conflitti e dinamiche sociali.

Ora, scandire le date e i tempi non è un dettaglio nozionistico, ma il tentativo di comprendere quanto e cosa sia realmente cambiato nella società occidentale con il trascorrere dei secoli, secondo i registi che si cimentano con la rivisitazione della commedia goldoniana.

Sembra chiederselo Veronica Cruciani che nella messa in scena  trascrive il testo di Fassbinder, apportando però decisivi cambiamenti sul piano registico.

 

Fassbinder immobilizza i personaggi legandoli ad una gestualità e mimica convenzionali, inespressive, da marionette; azioni sceniche essenziali e ripetitive. Mentre in questa messa in scena, rappresentata al teatro Vascello, la regista libera i personaggi come se fossero in preda, a tratti, ad un delirio da baccanti; non mancano scene di linciaggio, dove prende il sopravvento persino una follia da branco. È una scelta molto sensata, se oggi vogliamo dare uno sguardo lucido e distaccato alla nostra società, non italiana, ma occidentale, non possiamo non parlare del fiume di droghe, di vario tipo, che scorrono, ormai, neanche tanto più velatamente. 

I personaggi sembrano essere imprigionati, di giorno-metaforico- al loro costume sociale di moglie, marito, amico; mentre di notte, nel loro lato nascosto, sembrano liberarsi dalle convenzioni imposte, ma solo per abbandonarsi al nichilismo, al nonsènso. Anche la scenografia gioca sui doppi piani: uno orizzontale, sullo sfondo, in cui i personaggi diventano maschere mute e ossessionate dal desiderio; l’altro verticale, per distinguere il basso, il fondo, in cui chi è preda del gioco e della dipendenza, sembra cadere senza speranza e senza possibilità di lieto fine. Gli attori sono abili nel recitare nella doppia maschera, nel passare da un piano all’altro, nel cambiare le maschere e persino, talvolta, ad abbassarla, facendo intravedere una ferita nei ricordi del passato, ciò che potrebbe essere, forse, l’origine di un presente e di una trama, altrimenti inspiegabili.

Ci sono, dunque, a tratti, momenti di verità, scanditi da una luce soffusa, che si abbassa improvvisamente, come se si trattasse di un sogno, di una parentesi inconciliabile con la finzione dominante. I personaggi si scoprono soli, desiderosi di riconoscimento, e di sedare il dolore della solitudine. Quando le luci si abbassano sulla scena, i personaggi non parlano più di denaro, non calcolano più le valute.

I soldi sembrano essere il nucleo tematico attorno al quale la trama si dipana, in realtà è il potere ad essere esaminato, le forme che assume. Il denaro ne è semplicemente una manifestazione. Certo il denaro viene contato spasmodicamente, il valore tradotto in valute diverse, ma è solo per farci capire, di volta in volta, di cosa si sta parlando, e che ogni individuo si muove, in realtà, nel calcolo dei propri interessi.

In questa rivisitazione della "Bottega del caffè" è dunque interessante scoprire che anche quando si ha denaro, non necessariamente si ha potere, come nel caso del garzone del caffè, che ha fatto fortuna in America, prima di sbarcare di nuovo a Venezia; resta comunque una pedina di poco conto sulla scacchiera del gioco, come più volte sottolineano gli altri personaggi. Sembra che l’umanità sia separata da una lastra invisibile che divide chi i soldi li getta a terra, da chi invece, i soldi, si inginocchia a raccoglierli. 

Ma è il ruolo della donna ad essere osservato con maggiore lucidità e trasparenza. La donna ha bisogno di un uomo per esistere nella società del Settecento, ma oggi le cose non sembrano cambiate, sembra dirci Fassbinder negli ‘70 e, riproponendoci questa opera, Veronica Cruciani  suggerisce che gli scenari rappresentati, seppur estremi, restano comunque credibili e possibili.
Le donne inseguono i loro uomini, perché gli appartengono, ci dicono nei dialoghi tra loro serrati, “…è mio padrone, è di mia proprietà!” Devono recuperare i loro uomini, perché altrimenti non saprebbero cosa fare da sole. Nella competizione le donne, tra di loro, non parlano di amore o di sentimenti, ma se sia il seno più grande o quello perfetto nella forma ad essere prediletto dall’uomo che con loro dovrebbe condividere l’esistenza.

Per Goldoni era indispensabile rassicurare gli spettatori e riportare l’armonia: i malvagi, profittatori in prigione; i giovani innamorati, ravveduti; la famiglia di nuovo salda e sicura, nel suo focolare domestico.
Diciamo che oggi, si dovrebbe chiedere troppo ad uno spettatore e alla sua sospensione del giudizio, per rendere credibile un lieto fine.
Una cosa però è cambiata nei secoli, a pensarci bene: a parlare di donne, della società, attraverso l’arte, è oggi una valida regista.

Info:
Das Kaffehaus
La bottega del caffè di Rainer Werner Fassbinder
da Carlo Goldoni

traduzione di Renato Giordano
regia e adattamento scenico di Veronica Cruciani
con la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Filippo Borghi, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos, Ivan Zerbinati (attore ospite)
e con Graziano Piazza

scene e costumi Barbara Bessi

drammaturgia sonora Riccardo Fazi

disegno luci Gianni Staropoli

produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

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