IN TRANSIT @Teatro Fabbricone: alla ricerca di una libertà identitaria

Il Metastasio di Prato ha nuovamente rivolto il suo sguardo alla drammaturgia internazionale ospitando nello storico spazio del Teatro Fabbricone IN TRANSIT, adattamento libero per palcoscenico del quasi omonimo romanzo di Anna Seghers. Affidate all’iraniano Amir Reza Koohestani, la regia e la drammaturgia hanno incrociato sul palco le vicende della Marsiglia nazifascista del 1944 con la storia personale di Koohestani, rimasto “prigioniero” delle autorità aeroportuali tedesche proprio mentre lo spettacolo stava prendendo corpo. Un intreccio fisico e narrativo che ha contrapposto la dinamicità delle scene ad uno sviluppo degli eventi capace di lasciare più domande che risposte.

A cura di Leonardo Favilli e Susanna Pietrosanti  

IN TRANSIT: le contraddizioni della libertà

IN TRANSIT (ph. Magali Dougados)

Da sempre a cicli alterni la libertà è scambiata per assenza di regole, per diritto acquisito di agire nell’interesse personale, certi che questo garantirà altrettanto agli altri. Un atto di fiducia sconsiderato nel genere umano e nelle sue capacità di autoregolamentazione dei rapporti. E’ con questo spirito che la forza della fantasia, soprattutto quella giovanile, si esprime prepotentemente e fatica a restare imbrigliata. La storia però ci suggerisce altro. L’espressione massima della libertà richiede un sistema costituito, legittimato e autorizzato a garantire il rispetto dei diritti di ognuno. Una autoregolamentazione che deve assumere una forma, quella di governo, in cui i fondamentali poteri sono distinti e amministrati, come insegna il Montesquieu ispiratore di una delle massime espressioni di libertà della storia moderna. Ma cosa succede se quel sistema e quella forma privano, limitano, imprigionano, nel nome di quella stessa libertà? I prigionieri e i rifugiati del romanzo di Anna Seghers bramano un lasciapassare per abbandonare la Francia di Vichy e ritrovare le condizioni di legalità democratica oramai soggiogate. Sarà però quello stesso foglio al quale si affida l’identità di un individuo per il potere costituito, ad impedire la libera circolazione di Koohestani. Si può diventare prigionieri di quel sistema che noi abbiamo delegato a garantire la nostra libertà?

IN TRANSIT: la scenografia, l’intreccio, la struttura

IN TRANSIT non risolve né risponde. L’intreccio delle vicende del romanzo e dell’esperienza personale del regista viene letteralmente cucito in scena grazie alle scenografie mobili di Eric Soyer, superbamente metaforiche. Pannelli di vetro incorniciati che scorrono sul palco, si aprono, si chiudono, una griglia che riesce insieme ad avvicinare e ad allontanare, e meglio ancora a impedire qualsiasi vivo contatto. Si generano spazi volutamente claustrofobici capaci di scambiarsi, nascondersi, affiancarsi moltiplicando i piani scenici oltre quelli narrativi. La drammaturgia binaria che ci aspettiamo si infrange e rifrange proiettandoci in un caleidoscopio puramente narrativo nascosto dietro la acromaticità predominante. La luce uniformemente distribuita sembra privare della loro massa i corpi delle attrici, pronte pertanto a scambiarsi nei ruoli con credibilità e grande efficacia. Ma la loro libertà non può essere fuori controllo, non può esserci contraddizione così smaccata per cui l’occhio della telecamera resterà sempre vigile, in grado di moltiplicare non solo le dimensioni, ma anche e soprattutto i punti di vista. I primi piani fuori scala rispetto agli attori in scena, affidati a Phillip Hohenwarter, sono uno sdoppiamento già frequente in Milo Rau, ma indirizzato ad un segno diverso. Se in Milo Rau la telecamera è una finestra sull’intimo del personaggio, un occhio miracolosamente avvicinato alla verità emotiva, qui la video ripresa funziona come uno sdoppiamento inquietante: non sappiamo chi siamo. Meno che mai lo sa il pubblico, a cui è rifiutato il trucco dell’identificazione rapida: quattro attrici (Danae Dario, Agathe Lecomte, Khazar Masoumi, Mahin Sadri) fanno tutti i ruoli, indifferenti al genere e all’immagine.

Un’umanità in transito alla ricerca dell’identità

IN TRANSIT (ph. Magali Dougados)

Di nuovo la regia e la scenografia ci suggeriscono domande ma non fanno altrettanto con le risposte. Creano un teatro in attesa il cui non luogo, alla Marc Augé, è la waiting area, la zona dove siamo costretti ad aspettare il nostro destino se siamo inadempienti in qualche modo burocratico che non prevedevamo: perché il nostro visto è scaduto, e non lo sapevamo, perché in qualche modo siamo imperfetti, o perché lo siamo stati. Per nostra colpa rimaniamo fra “color che son sospesi”, proprio come il bagaglio abbandonato in un angolo del palco, che qualcuno ha dimenticato, che nessuno vuole più. La nostra colpa è non aver saputo, o calcolato, che avremmo dovuto districarci tra i labirinti della burocrazia senza senso, e, ancora prima, di aver creato confini, limiti, sbarre, cancelli, differenze. L’umanità che emerge dalla scrittura di Anna Seghers, mediata in chiave poliglotta da Koohestani – portoghese, francese, inglese, farsi con sovratitoli – è instabile nella continua ricerca della propria identità che in ultima istanza è ciò che accomuna davvero le due storie: al di là di ogni considerazione antropologica, il mancato riconoscimento dell’autorità costituita imprigiona in una condizione di metamorfosi coatta da un’umanità in transit ad una in fieri. E’ necessario riplasmare il ruolo dell’uomo in questo sistema a tratti iper-tutelante che lui stesso ha creato, vittima e carnefice.      

IN TRANSIT – Teaser

L’angoscia di IN TRANSIT si apre alla speranza

Lo spettacolo ricorda, nella sua carica di angoscia diffusa, metafore indimenticabili. È a metà fra il Purgatorio dantesco, luogo di passaggio, di salita, di apertura, e l’Inferno gelido della Tolomea, bloccato, serrato, un ergastolo eterno da cui non è dato liberarsi. È incomunicabile e inconoscibile, e tuttavia infinitamente familiare: il transito, il viaggio, è la chiave della nostra esistenza, come umanità: “noi siam peregrin come voi siete”, spiega Virgilio. Da lì, la grande angoscia della trappola che si chiude, della gabbia, del labirinto perverso. La performance trasmette angoscia, il pubblico, infatti, la sente. Ma non è priva di speranza. Se non altro perché l’alto stile di questo testo crudele la trasmette, la speranza non muore, e qualcuno, come l’attrice dell’ultima scena, esce dalla gabbia, e nel dolore riprende il viaggio. Basta questo per sperare.       

Visto al Teatro Fabbricone (Prato) il 4 febbraio 2023

IN TRANSIT

liberamente adattato dal romanzo Transit di Anna Seghers
adattamento Amir Reza Koohestani, Massoumeh Lahidji e Keyvan Sarreshteh
testo Amir Reza Koohestani e Keyvan Sarreshteh
regia Amir Reza Koohestani
traduzione Massoumeh Lahidji
scene e luci Eric Soyer
video Phillip Hohenwarter
suono Benjamin Vicq
costumi Marie Artamonoff
assistente regia Isabela De Moraes Evangelista
costruzione scene Laboratori della Comédie de Genève

con Danae Dario, Agathe Lecomte, Khazar Masoumi, Mahin Sadri produzione Comédie de Genève
coproduzione Odéon-Théâtre de l’Europe – Paris, Théâtre national de Bretagne – Rennes, Teatro Metastasio di Prato, Mehr Theatre Group, Festival d’Avignon, Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, FOG Triennale Milano Performing Arts

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