IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO @ TeatroOutOff: la necessità  di un'utopia

Dall’11 al 22 dicembre presso il teatro OutOff di Milano è in scena uno spettacolo appropriato e confacente ai nostri tempi: Il sogno di un uomo ridicolo, da un racconto di Fëdor Dostoevskij. Lorenzo Loris, regista del lavoro, torna a frequentare la narrativa del celebre scrittore russo dopo l’allestimento dell’onirico e al contempo realistico Le notti bianche.

Anche ne Il sogno di un uomo ridicolo persiste quell’atmosfera rarefatta, in bilico fra realtà, allucinazione e visione, un’atmosfera mai stantia e sempre cangiante, plasmata dalla parola scenografica di Mario Sala, voce monologante ora dolente ora incantata e rincuorante.
Non c’è divisione fra attore e pubblico, gradualmente ci si scopre compartecipi del sogno di un uomo bollato come pazzo, ma in realtà afflitto e inascoltato. Infelice e solitario, sceglie di togliersi la vita per evadere dal ghetto della propria angusta esistenza.

 A stemperare il suo impulso autodistruttivo un incontro inaspettato: una bambina in lacrime supplicante aiuto per sua madre che egli scaccia con brutale indifferenza, salvo poi vergognarsi della brutalità del gesto e pentirsi dell’atteggiamento apatico e impassibile. Se la vita – ragiona l’uomo ridicolo – ha esaurito la sua forza propulsiva, se nella vita non c’è più spazio per il suo corpo e il suo pensiero, occorre viaggiare, spostarsi altrove, in altre parole sognare.

 Così questa creatura mesta e angosciata rinasce rinvigorita in un Eden onirico, un paradiso primordiale scevro di  sovrastrutture burocratiche, dove ogni relazione è autentica, genuina e all’insegna della spontaneità: con stupore fanciullesco l’uomo ridicolo si muove estasiato in questa sorta di terra eterea dove la sola legge regolatrice è l’affetto nudo e viscerale per il prossimo. Non c’è spazio per invidie e malignità in quest’angolo di mondo ameno e raggiante: è tutto compreso nella prossemica pittoresca e negli atteggiamenti eloquenti dell’uomo ridicolo a cui non si smette per un attimo di credere ammaliati dal suo fare candido e puerile. E come un bambino ha il fervido desiderio di essere ascoltato, l’urgenza di raccontare la propria verità inconfutabile: l’amore è la linfa vitale dell’umanità, il motore della vita.

 Il regista trascende la visione religiosa, impostando il flusso di parole e riflessioni come autentico racconto di un uomo qualunque più che come atto di evangelizzazione; ciò non toglie che la vicenda dell’uomo ridicolo possa assurgere a parabola essenziale in una contemporaneità che ostenta indifferenza rispetto a un futuro che si prospetta tragico, ma che al contempo ne è interiormente intimorita. Questo il tenero e dimesso pagliaccio desidera in un mondo allo sfacelo: donare umili gesti d’affetto, colmare d’amore la propria quotidianità. Così come egli colma fisicamente lo spazio vuoto di un palcoscenico che è anche corrispettivo della mente: un luogo desolato, spoglio e squallido che un torrente travolgente di parole sincere e pensieri acuti trasforma in una fertile fucina di idee.
 La platea che circonda a pochi metri di distanza il protagonista si fa condurre a braccetto in una suggestiva passeggiata nel suo intelletto. Eppure, complice una regia accurata e puntuale, ciò che appare in un primo momento visionario e lontano da una ragione pragmatica assume contorni nitidi e definiti: l’utopia d’amore scaturita dalla tensione interiore del protagonista si fa cristallina.

 Lorenzo Loris e Mario Sala lasciano che questa si materializzi su una scena che attore e spettatori calcano insieme, complici nella rivoluzione d’amore tanto anelata dall’autore russo. Questo toccante allestimento sembra volerci dire in definitiva che il teatro è il corrispettivo terrestre di quel luogo di serena beatitudine sognato dal protagonista: un luogo d’azione e di azioni, dove si condividono gesti, spazi e storie.

 Una vocina da infante, un senso di straziante malinconia e la favola di un profeta buffo e prodigioso che ci ha ricordato di amare, auspicando che qualcuno si facesse custode del suo racconto: questo in fondo l’uomo ridicolo ha sempre vagheggiato.

Info:

IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO

di Fëdor Dostoevskij

Traduzione e drammaturgia di
Fausto Malcovati e Mario Sala
regia Lorenzo Loris
con Mario Sala

scena Daniela Gardinazzi

costumi Nicoletta Ceccolini
luci e fonica Luigi Chiaromonte
consulenza musicale Ariel Bertoldo

collaborazione ai movimenti Barbara Geiger

assistente alla regia Davide Pinardi

Interventi pittorici in locandina di Giovanni Franzi

Produzione Teatro Out Off 

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