LISISTRATA @Teatro Niccolini, San Casciano: il sogno che scioglie la guerra

Al Teatro Niccolini di San Casciano la Lisistrata di Aristofane nell’interpretazione di Arca Azzurra Teatro e per la drammaturgia di Ugo Chiti. Un testo complesso e molteplice che sotto la mano del dramaturg acconsente ad aprire molti dei suoi sovra e sottosensi: il sogno della parità di genere, il mondo particolare, forte e tenero, delle donne, l’intraprendenza e il coraggio femminile, la capacità, comunque, di amarsi, uguali e diversi come ogni essere umano è.

Breve cronistoria della Lisistrata di Aristofane

Aristofane scrisse uno dei suoi capolavori comici, la Lisistrata, nel 411 a.C., dopo il fallimento durissimo della spedizione in Sicilia e mentre Atene, la sua città, si stava dissanguando nel braccio di ferro fatale della Guerra del Peloponneso. La trama è nota a tutti: Lisistrata è la prima a farsi portavoce della stanchezza generale inflitta dalla guerra, che fa vittime umane e decima vite (Ares cambiavalute disonesto, aveva scritto Eschilo, che scambia vite umane con urne piene di cenere), ma distrugge anche legami, felicità quotidiane, rapporti familiari. I mariti, i padri sono lontani da anni: il tessuto sociale si sta rarefacendo. Lisistrata allora convoca le donne, le convince a reagire: se instaureranno uno sciopero sessuale, otterranno il loro oggetto di desiderio, la pace. Del resto, gli uomini desiderano, per costituzionale stupidità, la guerra: e a questo loro desiderio bisogna opporsi. Lisistrata sormonta le difficoltà e le lentezze delle amiche, le unisce in un gruppo coeso, cementato da un giuramento, occupa l’Acropoli, tiene duro, e ottiene quello che si era prefissata. La guerra è finita, la pace instaurata. “Ci chiameranno tutte Lisimache”, esulta la protagonista: e del resto si sa che nel 411 ad Atene la sacerdotessa del tempio di Atena Poliade si chiamava proprio Lisimaca (colei che scioglie la guerra, molto simile a Lisistrata) e quella di Atena Nike Mirrina, nome di un altro dei personaggi principali della commedia: radici di realismo in un testo in delicato equilibrio tra realtà e assurdo.

DRAMMATURGIA DI UGO CHITI E LA SUA LISISTRATA TOSCANA

Sotto la mano di Ugo Chiti e della sua drammaturgia efficace, il testo di Aristofane si distende e si contrae, aprendo e chiudendo molti dei suoi sensi. Il drammaturgo ne fa dichiaratamente una delle tappe del suo viaggio all’interno dell’arcipelago del comico, lo suggerisce nell’impiego di costumi eterni, difficilmente collocabili in un arco temporale tra classicità e modernità (bellissima la tavolozza di sfumature rosacee per le congiurate, mentre gli uomini sono neri o grigi) o nell’arrivo silenzioso di maschere enigmatiche che tacciono e guardano, traghettando la commedia in molti domani, o in molti ieri. Del resto la Lisistrata aristofanea ha galoppato i secoli, diventando spesso rock opera nei campus americani che l’hanno utilizzata come un testo contro la guerra (anche adesso: l’ultima tappa la Lysistrata’s war di David Hamilton e Mark Williams) e non c’è niente di strano nel fatto che possa, adesso, collocarsi armoniosamente in quel lontano paese dove Ugo Chiti è di casa, una Toscana sapida ed eterna che fa capolino in molti suoi lavori. Traluce anche qui, trascinando ad esiti assolutamente poetici le scene in cui con maggior forza l’attualizzazione viene operata: il giuramento, ad esempio, che nel testo di Aristofane viene operato sul vino versato, qui si compie sulle lenzuola, tessute, rammendate, abitate dalle donne, nel sonno, nel dolore, nel parto, e la scena si spinge fortemente a toccarci in quel territorio archetipico che sempre vive e sempre è capace di emozionare, di far rabbrividire. L’acme del lavoro, in questo senso, è dato dalla scena in cui le donne (in nero, stavolta, nel buio dell’alba e della loro parte nera, inconsapevole) raggomitolando rosse matasse, riferiscono i loro sogni: sogni di seduzione, di dolcezza e dolore, sogni recitati in cantilene inconsapevolmente buffe, tragiche e tenere, in immagini simboliche ma perfettamente comprensibili, in un lessico eterno di diminutivi teneri e fiabeschi. Questo unico coro (i due semicori del testo, quello degli uomini e delle donne che tentano rispettivamente di incendiare e salvare con le anfore d’acqua l’Acropoli sono sintetizzati in due interpreti, che insceneranno poi una tenera riconciliazione) è un vero capolavoro, intimo, eterno e splendente, e commovente. Altri luoghi del testo si cimentano invece con le tipologie del comico aristofaneo, sesso esibito, botte, falli in erezione, come la magnifica seduzione di Mirrina (e conseguente negazione) ai danni del povero Cinesia, illuso e respinto. Anche in questa scena l’attualizzazione del testo di Aristofane da parte del drammaturgo è impeccabile: respinto l’antro delle Ninfe, respinta la necessità della purificazione, rimangono un materassino, un cuscino e l’unguento sbagliato, e il pubblico sorride sul seduttore respinto e sulla tenera seduttrice mortificata e innamorata che formano un vero e proprio pezzo di bravura.

IL RISVEGLIO DAL SOGNO NEL FINALE DELLA LISISTRATA DI CHITI

La commedia precipita verso il finale. Se la pace è una fanciulla di cui gli uomini si burlano, proiettata in silhouette sul fondale e capace di far smaniare il delegato ateniese e quello spartano, le donne cercano comunque di dare indicazioni utili per ottenerla: con gentilezza, consultando gli alleati, rimandando il divertimento, rinunciando alle rivendicazioni. Del resto, di fronte al Commissario, irritato dall’impudenza delle donne che vogliono occuparsi della guerra, Lisistrata (Amanda Sandrelli) non aveva arretrato e dopo averlo coperto con lo scialle, che lui aveva indicato come segno femminile del dovere di tacere, aveva enunciato il suo programma di governo: “se aveste un po’ di testa, la città governereste come noi la lana. (…) Come si fa coi bioccoli: un bel bagno e il lerciume va via dalla città, e poi, batti e ribatti sopra un piano, i furfanti e i cialtroni eliminiamo. Poi diamo una robusta spelazzata alle cricche degli arraffacariche tagliando bene i capi. In un paniere cardiamo poi ogni buona volontà, il metèco mischiando al forestiero che ti sia amico, e chi paga le tasse all’erario. Quanto all’altre città, che son colonie della nostra terra, cercate di capire che son fiocchi di lana, da riunire tutti insieme in un grosso gomitolo, da tesserci un mantello ben fatto per il popolo”. Un nuovo sistema metaforico, una nuova lingua, una nuova realtà. Il sogno dell’isonomia, non solo della pace. Le donne si radunano, aspettano di essere liberate, salvate, che i mariti e i compagni le liberino, le riportino con sé, in un nuovo tempo e in una nuova situazione. I rumori, fuori, le illudono, la rosa carnicina del gruppo femminile si ricostruisce, in attesa trepidante, ma il canto del gallo, amaramente, sembra suggerire che si è trattato solo di un sogno – e in questo dubbio insolubile tutto finisce – non sappiamo come – e cala il sipario.

LISISTRATA

di Aristofane
adattamento e regia Ugo Chiti
con Amanda Sandrelli, Giuliana ColziAndrea CostagliDimitri FrosaliMassimo SalviantiLucia SocciGabriele GiaffredaElisa Proietti,  Lucianna De Falco 
scene Sergio Mariotti
costumi Giuliana Colzi
luci Marco Messeri
musiche Vanni Cassori
produzione Arca Azzurra
foto A. Botticelli

Teatro Niccolini, San Casciano Val di Pesa
9 dicembre 2021

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