Dal 2 al 5 novembre, al Teatro Trastevere, Umberto Marchesani ha indossato i panni del “RIBELLE”, ispirato al testo Der Waldgang, 1952 "trattato del Ribelle" di Jünger e scritto da Leonardo Rossi. Un’opera che cerca di afferrare l’essere nel mondo, il singolo nella comunità.
“Quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce per i persecutori, anziché per le vittime, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che non si è ancora piegato”, dice Ernst Jünger.
“Il Ribelle” è un lungo canto di protesta di un uomo che non riesce a sopportare il peso della collettività, un uomo che si sente incastrato in un mondo che non riconosce la sua libertà e il suo libero arbitrio. È un uomo che però è intrinsecamente ingabbiato in se stesso, nella sua solitudine, nelle voci della sua testa, nei suoi libri. Un uomo che si annulla nel rifiuto dell’altro.
Si scaglia contro la democrazia, i gruppi sociali e la massificazione. Descrive un mondo in cui gli eroi sono scomparsi, decaduti, senza nulla da salvare se non loro stessi, eroi egoisti che disprezzano la società costruita dagli uomini. Ci troviamo in un sistema che non salva ma distrugge, l’unico spiraglio di luce è portato dall’arte, unico vero mezzo di elevazione.
Il monologo delirante è in continuo dialogo con la musica che si fa armonica e disarmonica in base all’alternarsi degli stati d’animo del protagonista e passa dalle note classiche a quelle graffianti tendenti al punk rock. La musica cerca così di dare maggiore intensità alle parole ma gli scontri continui di genere rischiano di confondere lo spettatore creando immagini in sequenza troppo incoerenti tra loro.
Umberto Marchesani, comunque, calca bene la scena riuscendo a trasmettere al pubblico il disperato intreccio di emozioni del protagonista trovando così un’armonia e rendendo lo spettacolo dinamico.
Anche la scena comunica il disagio: troviamo un palco disordinato con corpi schiacciati da un velo rosso e libri sparsi in modo confuso tra cui si dimena l’attore cercando “la verità”.
In primo piano un grande elmo, simbolo di un epoca passata, utopica, distrutta dai poteri politici, l’epoca degli eroi.
La scrittura di Leonardo Rossi è pretenziosa e macchinosa, alla ricerca continua della forma che non lascia spazio al contenuto. Il testo è liberamente ispirato alle opere del filosofo tedesco Jünger (1895-1998). Il pensiero di Jünger è complesso e ambiguo ma coerente con la sua epoca storica, il filosofo ha infatti visto scoppiare i due grandi scontri mondiali, ha visto nascere i nazionalismi e quindi le società moderne. Il ribelle di Jünger nasce nel contesto dei totalitarismi, da un profondo disagio e da una delusione politica, ma è un ribelle che agisce, che come individuo non lascia piegare il suo pensiero. IL RIBELLE di Leonardo Rossi invece si arrende, la sua ribellione soffoca tra le ideologie, non emerge nei fatti e rimane infeconda.
Lo spettacolo, in conclusione, rimane una provocazione sterile, non propositiva che porta in sé solo un messaggio distruttivo che si perde tra paroloni e ideologismi.
Info:
IL RIBELLE
di Leonardo Rossi
regia e cura musicale Gian Marco Montesano
con Umberto Marchesani
e con Oscar Strizzi
prodotto da Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale
2/11/2017 – 5/11/2017 Teatro Trastevere, via Jacopa de’ Settesoli, 3, Roma