Il Teatro della Toscana porta a Scandicci al Teatro Studio Mila Pieralli IL NULLAFACENTE di Michele Santeramo, regia di Roberto Bacci, una riflessione amara sulla vita e la morte, il tempo e l’amore: un testo di prosa, a metà tra filosofia e teatro, che parla allo spettatore in modo diretto, alle esperienze di perdita, di malattia, di richiesta di senso. Uno spettacolo che non lascia scampo, su un tema importante e scomodo: il fine vita.
Michele Santeramo, fondatore del Teatro Minimo di Andria insieme a Michele Sinisi (in tournèe con Miseria e Nobiltà, negli questi stessi giorni a Prato), ha da tempo stretto un sodalizio artistico con il Teatro Era Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale, (ancora prima che si fondesse nel Teatro della Toscana con la Pergola) e Roberto Bacci che porta in scena i suoi attori: Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini, oltre al pugliese Michele Cipriani, e in veste di protagonista eccezionalmente lo stesso Michele Santeramo.
Con IL NULLAFACENTE assistiamo ad una pièce di un’ora, talmente densa e forte nel messaggio che porta al pubblico, che non sarebbe potuta durare un secondo di più, un testo filosofico, da cui i ringraziamenti dell’autore ad intellettuali di primo ordine come Augusto Timperanza, Piero Castoro, Luigi Lombardi Vallauri.
Il pretesto per una riflessione universale sul senso della vita, di oggi come di sempre, è la storia di una coppia che affronta la malattia terminale di lei (Silvia Pasello), ascoltando e assaporando tutte le sfumature dell’attesa, in una bolla di verità e intensità che li avrebbe visti felici, senza fare niente, davanti al nulla della morte, se non fosse per gli assilli della realtà esterna: il fratello (Francesco Puleo), il proprietario di casa (Michele Cipriani), il dottore (Tazio Torrini). Felici e quasi divertiti, nel cinismo filosofico che sfiora la comicità acre: tutti stiamo morendo, solo che tu hai la precedenza. Il testo scorre nel tempo lento del non fare niente, carico di sguardi e silenzi, il tempo della malattia, come in una sospensione delle sciocche inquitudini della vita: le parole del testo, anche se recitate con adesione alla verità della situazione, sono macigni sul cuore degli spettatori, la cui mente esce dal teatro e se ne va al proprio vissuto personale di perdita.
In questo si incastrano perfettamente gli archetipi rappresentati dai personaggi, grazie agli attori che riescono a non essere mai esagerati, mai melodrammatici, nonostante il tema, grazie ad un testo cesellato e misurato in ogni parola, che prevale sull’artificio del teatro (minimali le luci, la scenografia, i costumi).
Il proprietario di casa, ossessionato da riavere gli affitti arretrati dalla coppia morente, è divorato da una bulimia possessiva, incarna il mondo del consumismo che si consuma dentro, ci riporta alle figure dalla commedia napoletana di De Filippo e Totò, un avido senza colpa, umano che riempie la propria vita di cose materiali e soldi per non sentire la paura di morire, come li abbiamo visti descritti da Molière a Verga.
Il medico, che prova a dare sollievo alla malata, che le allunga la vita inutilmente di qualche mese, è la razionalità, la medicina che tutto può e tutto guarisce, l’onnipotenza della scienza salvifica, che macina tempo, senza che tuttavia ne capisca la qualità. Nonostante l’altezza a cui voli questo testo, non possiamo tacere il legame a temi che sono stati alla ribalta delle cronache attuali: eutanasia, testamento biologico, accanimento terapeutico, alle quali il nullafacente risponde: vivere un anno in più, festeggiare un altro compleanno, a che pro? A che serve se quel tempo lo usiamo stupidamente dedicando attenzione fuori da noi stessi, invece che dentro. Se hai solo 10 secondi di vita, che fai? vai a pagare la bolletta? Più probabilmente in effetti stai lì e aspetti. Ed in effetti, in rapporto all’immensità del Tempo, la vita di ciascuno di noi, cos’altro è, se non quei dieci secondi che sprechiamo a pagare la bolletta?
Il fratello è il personaggio più umano, una brava persona, che sinceramente, coi pochi mezzi che ha, prova ad aiutare la sorella, a far rinsavire il cognato, dicendogli che deve lavorare per avere i soldi per comprare le medicine. Un uomo comune. Noi. Tutti. Ma all’opposto della morale comune IL NULLAFACENTE ci rivela che a non fare niente ci si guadagna sempre, che il lavoro non nobilità, non rende liberi, ma schiavi, stanchi: un mondo di stanchi che non ha tempo.
Ma in questo testo nessuno è condannato, nessuno giudicato. Ci sentiamo solo sciocchi per il vuoto che abbiamo nel nostro vorticare quotidiano, anche per avere preso i biglietti in prima fila per assistere alla vita di un uomo che non fa niente, come ci dicono strizzando l’occhio alla platea.
Ci permettiamo infine di ribaltare la filosofia de IL NULLAFACENTE, forse anche noi per paura della morte, forse perchè senza una luce, una speranza non si vive: ma non è vero che il nullafacente non fa niente, fa qualcosa di grandioso e di molto impegnativo: ama. Ama la sua compagna per tutto il tempo che hanno a disposizione, quanto esso sia, e la accompagna alla fine della sua vita, accarezzati dal contrabbasso di Ares Tavolazzi sulle note di Io che amo solo te.
Info:
IL NULLAFACENTE
di Michele Santeramo
regia, spazio scenico Roberto Bacci
con Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Michele Santeramo, Tazio Torrini
musiche Ares Tavolazzi
luci Valeria Foti, Stefano Franzoni
assistente alla regia Silvia Tufano
allestimento Sergio Zagaglia, Leonardo Bonechi
assistente ai costumi Benedetta Orsoli
immagine Cristina Gardumi
Teatro Studio Mila Pieralli Scandicci
1 aprile 2017
Foto di Guido Mencari