IL MISANTROPO @Nuovo Teatro Pacini, Fucecchio: Factory oltre lo specchio

Un gioiello di Moliére, IL MISANTROPO, rivive in scena al Teatro Pacini di Fucecchio per la rivisitazione attualizzante di Compagnia Factory. Specchio di oggi e di sempre, ma lo specchio, inevitabilmente, si rompe: e al di là della lastra in mille pezzi, non sappiamo se siamo o saremo capaci di sopravvivere.

La scenografia – si entra e il sipario, secondo l’usanza contemporanea, è già tirato – è impeccabile. Un’enorme cornice dorata a festoni di foglie e fiori rende la scena uno solo specchio: talvolta mantiene la trasparenza, talvolta si oscura, o solo parzialmente, permettendo l’affiorare di isole visive addirittura metateatrali. Così il volto di Arsinoé prima di entrare in scena si rende visibile al di là della lastra: incubo e sogno, e presagio. Così intravediamo Celiméne che festeggia e si dissipa coi suoi corteggiatori, come una bolla mentale che affiora e scoppia nella mente tormentata di Alceste. Infine lo stesso specchio talvolta diventa solo tessuto,  impedendo strettamente spiragli metafisici. Un solo divano, ed è tutto.

In questa cornice si rappresenta IL MISANTROPO per la regia di Tonio de Nitto, che dopo le esplorazioni shakespeariane decide per Moliére ritenendo questa commedia “un quadro perfetto del momento che stiamo vivendo, nella disillusione verso un mondo non meritocratico dove la soluzione è sempre nel compromesso e spesso nella totale evasione dalla legalità, dove la menzogna trova strade più facili e tollerabili della verità.

Sicuramente, approfittando della traduzione in una prosa estremamente attuale (e talvolta fin troppo lontana dalla preziosità di Moliére, con abbassamenti bruschi alla volgarità non sempre giustificabili) di Francesco Niccolini, la curvatura in direzione contemporanea dell’opera si attua con ogni evidenza.

Tutti capiamo il gioco che è in atto, quando i risibili versi declamati da Oronte diventano un tormentone quale “trottolino amoroso” di comune memoria, oppure quando siamo di fronte all’inserzione di un testo di Gigi d’Alessio eseguito e diremmo performato da uno dei marchesi in modo, perlomeno, extravagante. Del resto, è del poeta il fin la meraviglia, si sosteneva, e ci meravigliamo per questi elementi, certo, come per gli inserti cantati da una Eliante molto Biancaneve, o per l’oscillazione stilistica dei costumi, alcuni filologici, altri meno, come la splendida mise da diva del muto che rende Celiméne una sex bomb dotata addirittura di occhiali a specchio e di una gestualità da formalismo wilsoniano regalata solo a lei, efficace per identificarla, certo, seppure con qualche incertezza e qualche sconcerto.

Con ogni evidenza la direzione che il regista presceglie viene mantenuta con coerenza, anche se il testo è sicuramente più ricco di senso e di simbolica, e avrebbe ammesso una ‘sbucciatura’ più lenta, una messa in luce più cauta e complessa delle viscere della storia, un arricchimento dei personaggi, ammissibile nella parola dominante, reiterata, addirittura insistita, che interpretata univocamente corre il rischio di farsi addirittura noiosa. Ne avrebbe guadagnato anche la definizione dei personaggi. In questa versione, invece, Alceste svolge il suo compito di critico atrabiliare, ferendosi da solo contro le spine di un autolesionismo inevitabile, e questo è tutto. Ma quando si ama una persona, non dovremmo essere in grado di criticarla, lo avvisano gli amici,  più volte: invece proprio lui, eroe pius della sincerità e della correttezza, non è in grado di superare se stesso e di amare senza misura, perdonando e superando la semplice imperfezione della donna amata.  Probabilmente proprio per questo tutto crolla: il festone si snoda, si riempie di crepe e poi cede. Il lampadario precipita, i sinistri scricchiolii ci avvisano che non è possibile continuare, che il gioco di specchi deve finire: e nella frana il personaggio che come un Firs fuori contesto rientra in scena col suo cavallino giocattolo, è destinato a rimanere travolto, come lo specchio deformante del nostro mondo, e, ben più grave, la cecità deformante e l’innocentizzazione che ognuno opera dentro di sé. Nessuno riesce a rimanere con coerenza e a viversi davvero nel ruolo di misantropo di se stesso, e tutti noi siamo spettatori della storia e della favola che su scena segreta ogni istante insceniamo: almeno finché le macerie non ci travolgono.

Info:
IL MISANTROPO di Molière
traduzione e adattamento di Francesco Niccolini
regia di Tonio De Nitto
con Sara Bevilacqua, Dario Cadei, Ilaria Carlucci, Ippolito Chiarello, Angela De Gaetano, Franco Ferrante, Luca Pastore, Fabio Tinella
assistente alla regia Daniele Guarini
scene Porziana Catalano e Iole Cilento
produzione Factory compagnia transadriatica, Accademia perduta/Romagna teatro
Nuovo Teatro Pacini, Fucecchio

28 gennaio 2020

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF