In uno dei luoghi più suggestivi dell’Appenino Tosco-emiliano, Archivio Zeta rievoca il mito de IL MINOTAURO imprigionato nel labirinto di Cnosso attraverso le parole e le metafore dello scrittore franco-argentino Julio Cortazar e del suo romanzo “I re”. Fino al 20 agosto (repliche ogni giorno alle ore 18), il Cimitero Militare Germanico, dominante sulle valli che da Firenze conducono in Emilia, ospita l’evocativa messa in scena di uno stravolgimento mitologico capace di emozionare e di sconvolgere grazie alla magistrale regia di Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni che da quasi 15 anni restano protagonisti su queste montagne.
Nel silenzio e nell’insolita calura di questi luoghi, col sole che lambisce le superfici boschive fino al Lago di Bilancino in lontananza, si avvia il percorso che condurrà il pubblico attraverso le lapidi dei militari tedeschi, molti dei quali giovanissimi, che qui hanno trovato la morte per la causa di un potere malsano, corrotto e intollerante. E non potrebbe esserci miglior testimone di questo, un silenzio assordante che intende fungere da monito per le generazioni presenti e future.
Primo protagonista, nonché prima vittima, di questo sistema è Minosse che attraverso la convincente e intensa interpretazione di Ciro Masella, rievoca il mito del Minotauro, mostro artificioso che popola i sogni del Re di Cnosso con i tratti caratteristici del suo tauromorfismo (Sogni acuminati di corna, Ogni conchiglia un muggire, ogni remo un corno). Il mostro imprigionato nel dedalico labirinto, ha sempre costituito le fondamenta del potere di Minosse: da sempre dipinto agli occhi degli abitanti di Cnosso e del mondo come insaziabile di carne umana nutrito del sacrificio di giovani ateniesi, non può più accontentarsi di essere solo sfamato. Il suo mito sta valicando le mura della sua prigione e minaccia l’ordine che finora Minosse è riuscito a conservare grazie a lui. E a farne le spese c’è anche la figlia Arianna, Colomba d’Oro, turbata dai sogni popolati dal mostro, tanto da instaurare con lui un’intesa quasi incestuosa che le toglie il sonno, Minotauro tessuto con i fili dell’insonnia, desiderosa del bestiale fratello con cui condivide la madre Pasifae. Nemmeno la proclamazione a regina che le grida Minosse può bastare a soddisfarla tanto che lei stessa dichiara: Ora non so chi sono. Tra padre e figlia si interpone un labirinto, simboleggiato da un pannello metallico, all’interno di uno spazio rettangolare che quasi ricorda il naos di un antico tempio dove Arianna è la dea e Minosse si presenta come un sacerdote che vorrebbe entrare ma il muro della prigione lo ostacola e gli impedisce il passaggio.
Fulcro centrale della vicenda è il dialogo tra Teseo e Minosse: un dialogo prima a distanza che si modula dinamicamente lungo i pendii di collegamento tra i terrazzamenti del cimitero. Un dialogo che prende forza dall’interpretazione dinamica di Ciro Masella, un Minosse quanto mai affabile e aggressivo perché timoroso della sua sorte, e di Gianluca Guidotti nei panni del futuro re, figlio di Egeo, che mantiene egregiamente il piglio dell’eroe; un eroe consapevole di esserlo che sfodera tutta la sua spavalderia, rovinata talvolta da una tonalità vocale un po’ troppo statica seppur efficace. Il confronto tra l’uomo del potere e l’uomo dell’azione, ingrediente quest’ultimo fondamentale per il mantenimento dell’altro, costituisce la chiave di volta dello spettacolo in quanto svela il dissidio che turba Minosse: il Minotauro ordisce la trama di una razza bestiale e il mito della perfidia che si è costruito intorno, grazie alla sua prigionia, lo rende più pericoloso dentro il labirinto che fuori, laddove però Arianna lo attende, pronta ad abbandonare il padre e il suo titolo di regina per lui. Perciò il sacrificio di giovani ateniesi non diventa tanto un modo per sfamare il mostro ma piuttosto un tributo che il re deve rivolgere al popolo di Cnosso disposto ad ammirare il proprio re solo per la sua dimostrazione di forza, per il fatto di tenere prigioniero il Minotauro. E’ il demone del popolo che deve essere mantenuto sotto controllo anche attraverso l’inganno; quello che Minosse chiede a Teseo di ordire, lasciandogli uccidere il mostro senza però diffondere la notizia e continuando a sacrificare giovani (non più ateniesi ma africani) fingendo di alimentarlo. Questo è il prezzo che Teseo deve pagare per ricevere Arianna in sposa. In questo modo niente più mostri ma solo uomini a sostegno dei re. Teseo però è un eroe e non può rinunciare all’impresa e soprattutto alla sua diffusione: così come il potere di Minosse si fonda sulla sopravvivenza del Minotauro, allo stesso modo il potere di Teseo si fonda sull’impresa eroica della sua uccisione.
Anche Arianna, in questa visione capovolta del mito classico, sostiene la causa del padre e per questo implora Teseo di avvertire il mostro che il filo glielo ha dato lei: un filo rosso che si dipana dalle mani di Enrica Sangiovanni la quale offre anche stavolta una interpretazione degna di nota, in cui la sua presenza scenica e la sua capacità di modulazione vocale riescono ad attrarre l’attenzione del pubblico nonostante la semplicità degli oggetti in scena; passa così in secondo piano anche l’infortunio che l’ha colpita durante le prove e che solo al termine dello spettacolo si svela.
E proprio per giungere al termine, il pubblico segue, come Teseo, il filo rosso fino alla sommità del cimitero, dove si realizza il destino, ormai segnato, del mostro. Il mostro nel confronto a due con l’eroe si mette a nudo, svela la sua debolezza e, fraintendendo l’intenzione di Arianna, si convince che la sorella non lo desidera fuori dal labirinto. Tanto gli basta per lasciarsi alfine uccidere, consapevole che così potrà davvero entrare nel Mito e popolare i sogni di Arianna e della stirpe che da lei deriverà. Come un totem, il mostro si erge tra Arianna e Teseo, suo futuro sposo, raggiungendo il suo vero intento: la fama del mito, unica via per riuscire a vincere la prigionia e la morte. E anche il mistero del Minotauro, affidato alla sola voce di Enrica Sangiovanni nello spazio riecheggiante del sacrario, si rivela perciò agli occhi dello spettatore: il mostro non è altro che un essere fanciullesco accompagnato da alcuni dei giovani ateniesi di cui avrebbe dovuto cibarsi e che invece gli hanno fatto compagnia con il suono dei loro strumenti. Sua unica colpa è stata quella di interferire con il potere di Minosse, minacciandone la stessa legittimità, e il suo destino è stato così segnato dalla prigionia nel labirinto; un labirinto del potere che può annientare la vita ma non può fare altrettanto con la forza e la supremazia del mito e della cultura. Proprio la danza liberatoria finale, sulle note di una melodia sudamericana alludente ai ritmi del Fado lusitano, rappresenta il degno finale in cui gli altri attori protagonisti, tra i quali i giovanissimi Antonia ed Elio Guidotti, chiudono una prova più che meritoria di fronte a tematiche così complesse e profonde per la loro età.
Le metafore, il linguaggio figurato e talvolta visionario, il tono aulico che caratterizza la struttura dialettica dello spettacolo e del romanzo, scenografie semplici ma molto evocative, costumi altrettanto semplici ma efficaci e filologicamente rispettosi, un testo che offre una visione umana della mitologia classica e che sviscera i rapporti del potere fino a mostrarne le nudità. Sono questi gli elementi che compongono lo spettacolo proposto da Archivio Zeta e che costituiscono una nuova occasione per ammirare le prove dei protagonisti in tutta la loro capacità evocativa e abilità attoriale; protagonisti sempre in grado di muoversi nello spazio suggestivo del Cimitero senza dimenticare che non li ascoltano solo gli spettatori ma anche tutte le giovani vittime di quel potere che il testo di Cortazar denuncia. Vittime, queste, come lo è stato il Minotauro catturato e poi ucciso nella sua prigione di perfidia.
Info:
IL MINOTAURO
nel labirinto di Julio Cortàzar
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
con Gianluca Guidotti, Ciro Masella, Enrica Sangiovanni
e con Antonia e Elio Guidotti, Francesco Fedele, Carolina Giudice, Andrea Sangiovanni
produzione Archivio Zeta
con il contributo di Regione Emilia Romagna
partitura sonora Patrizio Barontini, elementi scenici Francesco Fedele, tecnica Andrea Sangiovanni, coreografie Carolina Giudice, coordinamento organizzativo Luisa Costa, ufficio stampa Pepitapuntocom, grafica WebLogoDesign, foto di scena Franco Guardascione
al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa
dal 5 al 20 agosto 2017 ore 18