Dal 24 al 29 ottobre è andato in scena all’Argot Studio Rosmersholm, il gioco della confessione, tratto dall’opera di Ibsen. Riduzione Massimo Castri, regia Luca Micheletti con Federica Fracassi e Luca Micheletti.
La scena si apre su un finale di lugubre quiete. La messa in scena inizia quando tutto è già avvenuto, il conflitto alle spalle. I fiori con cui Rebekka ama adornare il salotto borghese, dove nulla dovrebbe essere fuori posto, sono disseminati, stracciati e scomposti, sul pavimento. Due lunghi tavoli compongono una scena disadorna, ma sono tavoli che perdono la loro funzione originaria, non ci sono più pasti da servire o commensali da ospitare: diventano pareti, letti, casse funerarie dove accogliere corpi un tempo animati da spirito ribelle e rivoluzionario.
È una messa in scena che accentua l’aspetto enigmatico, e i due attori si muovono spesso tra dialoghi e scelte registiche che richiamano un teatro dell’assurdo; trova poco spazio l’aspetto politico, ideologico che rendono quest’opera uno dei capolavori più complessi e articolati tra le opere dell’autore. Ma Ibsen non è enigmatico, semmai, con la sua scrittura chiara e diretta, rivela gli enigmi complessi della società: il nascosto, l’inespresso. La sua è spesso una coraggiosa denuncia politica ed etica contro una rigida struttura sociale, consolidata nel suo potere politico ed economico, che rende schiavo l’individuo. Oggi avrebbe più che mai senso rappresentare Ibsen, evitando di indulgere nello svuotamento di senso.
In questa rappresentazione proposta dalla compagnia teatrale "I Guitti", l’impegno etico, il Teatro come strumento politico di risveglio delle coscienze, non trova spazio, tutto è ridotto a una rovinosa storia di coppia.
La recitazione è volutamente innaturale, non dimentichiamo mai di trovarci davanti a due attori che recitano e anche questo non favorisce l’immedesimazione e l’empatia, sicuramente non aiuta ad accedere al senso e ai significati. Il linguaggio, la sua logica, è lo strumento razionale per raggiungere la chiarezza, per smascherare la realtà nelle sue assurde ambivalenze, e le fitte trame della società, che tra tradizioni, ruoli sociali e familiari, rendono l’individuo schiavo e privo di volontà.
Nell’ultimo atto, quello che forse viene qui tradotto con "Il gioco della confessione", Rebecca rivela a Rosmer la vera natura della repressione sociale, vale a dire, l’annientamento della volontà dell’individuo, quando è contraria alle ferree leggi imposte ai destini umani. Cosa c’è di “horror” in tutto questo?
Info:
ROSMERSHOLM
Il gioco della confessione
monodramma a due voci
di Henrik Ibsen
riduzione Massimo Castri
da un'idea di e con Federica Fracassi e Luca Micheletti
regia Luca Micheletti
musiche Henry Cow, Jeff Greike, Emmerich Kálmán
assistente alla regia Francesco Martucci
suono Nicola Ragni
sarta Alessandra Bini
foto Manuela Giusto
si ringraziano Antonio Calbi e il Teatro di Roma
produzione Compagnia Teatrale I GUITTI
sotto l'Alto Patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia
e con il sostegno di Innovation Norway