Nell’estate dei festival post Covid-19, il teatro fa ritorno anche in una delle sue storiche sedi estive, Spoleto, dove ha avuto lugo il 63° Festival dei Due Mondi. Slittato di un mese rispetto alle date tradizionali, disseminato anche in luoghi scenici meno abituali, il Festival offre al pubblico un dono generoso: gli spettacoli vanno in streaming, concedendo a tutti, anche a chi per le rigide norme di distanziamento non può essere presente, una visione e un’emozione diretta.
Un provvedimento infinitamente intriso di humanitas, che davvero non può che riscuotere ammirazione, controcorrente splendidamente in un momento di crisi dove tante altre realtà rialzano i prezzi e centellinano gli accessi.
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I MESSAGGERI di Emma Dante – la connessione con la contemporaneità
E dunque, o in presenza per i fortunati che possono sedersi nella cavea del Teatro Romano di Spoleto, o in streaming per chi comunque gode questo privilegio, il 21 agosto riceviamo il dono de I Messaggeri di Emma Dante, ‘spettacolo-concerto da Euripide e Sofocle’. Che sia un concerto è da subito evidente, perché si apre con la melopea eterna, gutturale, metastorica dei Fratelli Mancuso, che collocano l’evento, subito, in un tempo diverso, il tempo fermo e strano della tragedia. La connessione con la contemporaneità, la consapevolezza che parleremo di eventi che non avvennero mai, ma sono sempre, è così violenta da risultare dolorosa.
In una scenografia composta di paraventi da studio medico, i performer, senza volto perché completamente avvolti in bende, sono fermi su carrozzelle di metallo. Si muoveranno poi, in cerchio, intorno a una testa decollata e deforme deposta in una ruota di stoffa nera (scopriremo poi che di Penteo si tratta) in una densa danza macabra che dice, forte: oggi. O appena ieri.
Non era ieri il tempo in cui eravamo tutti in una girandola lenta intorno al virus grumo di morte? Non era ieri il periodo in cui, alle 18 in punto, qualcuno, un messaggero moderno, un aggelos telematico, ci comunicava dallo schermo l’orrore del giorno, quello che era già accaduto, che però non conoscevamo, e dipingeva di rosso e di nero il grigio disegno delle nostre attese?
Il clima da cessato allarme non ha ragion d’essere, se il lutto non viene elaborato, guardato fino in fondo, conosciuto. Quando i performer si tolgono i camici da malati e si alzano dalle carrozzelle in costumi giullareschi, pronti a ballare la loro festa, vengono ammoniti: “andate a piangere i vostri morti”. E con un ennesimo cambio di costumi, che rende i pagliacceschi umani neri abitanti del mondo tragico, ecco, i nostri morti di ieri sono gli antichi. Prima Le Baccanti, con il povero Penteo che viene smembrato dalla madre, Agave, acciecata da Dioniso: la stessa cecità che ha reso il nostro tentativo di salvarci una moscacieca, il nostro destino un lancio di dadi nella mano del dio. È un dolore che non si può dire con le parole, affermerà il Messaggero di Eracle prima di descrivere l’uccisione dei figli da parte del padre: e non a caso sprofonderà nel mutismo e nella paralisi, cadendo bruscamente a terra, perché ci sono tragedie che veramente non abbiamo parole per nominare né forze per sopportare.
E neppure occhi per guardare, perché il nostro sguardo su quanto è da poco avvenuto risulta veramente grossolano e manchevole, incapace di giudicare: il messaggero dell’ Edipo Re sembra additarci una sconsolata strada: “occhi mia, voi non vedrete mai né i mali che ho patito né quelli che ho compiuto, ma d’ora in avanti occhi mia voi vedrete soltanto a’tenebbra”.
Nelle mani di interpreti di infinito talento, capaci di sostenere il racconto del messaggero con mirabile efficacia e di gestire, sempre, le immagini che il genio di Emma Dante crea, lussureggianti, assolute (le membra di Penteo che vengono sparse sul palco mentre l’attrice si contorce sotto il drappo nero, ragno meraviglioso: la supplice dalle lunghe ali e dalle guance lacrimose che quasi vola sul palco nella sua danza buia), lo spettacolo galoppa veloce verso la fine lasciando rimpiangere, semmai, una costruzione concettuale maggiore proprio alla fine. Un rimando alla contemporaneità, una chiusura ad arco, un ennesimo fendente di collegamento di questi nostri ieri al nostro oggi lo avremmo desiderato. Ma probabilmente, la chiusura in ellissi lascia volutamente il sospiro del non detto: allude a un non compreso che è la lezione più forte che, recentemente e umilmente, abbiamo dovuto imparare.
Isabella Ferrari incarna Arianna, Fedra, Didone, tre eroine ovidiane e un ventaglio femminile variegato e molteplice
Sabato 22 agosto, sul sagrato del Duomo, location iconica del Festival dei due Mondi, ha luogo un altro spettacolo – concerto: Isabella Ferrari incarna Arianna, Fedra, Didone, tre eroine ovidiane delle Heroides, tre ‘monodrammi per Attrice, Coro femminile e orchestra’.
Silvia Colasanti è la composer, Roberto Abbado dirige l’Orchestra Giovanile Italiana, Gea Garatti l’International Opera Choir.
Un vero e proprio concerto, con l’orchestra che come un minaccioso animale acquattato sobbalza e ringhia o trasmette il battito del cuore e delle vene e i rantoli, si prende la parte lirica negli squilli degli archi, disegna un fondale molteplice e inquieto su cui si innestano i rumori, i respiri, i trilli delle stupende voci femminili del coro e che viene, poi, tradotto in parole dalla voce dell’interprete.
Non un lavoro facile questo dare voce a tre diversi personaggi, due dei quali, Arianna e Didone, si attestano sull’identico panorama dell’abbandonata e si aprono a un lamento per destinatario assente: smemorato, come Teseo, o in aperta fuga, come Enea. L’assenza di Ippolito, invece, non è fisica ma interiore, e la voce di Fedra gli si rivolge non componendo un lamento di abbandono, ma diventando freccia, rete, gancio, in una seduzione gelida e giocosa che si apre in vertigine: brucio, uror, il verbo base della lirica latina
Isabella Ferrari apre un ventaglio femminile variegato e molteplice, fragile e forte, e bellissima nell’ abito di Valentino non banalmente scarlatto ma declinato in un rosa acceso ineffabile, incarna, come ne I Messaggeri, un qui e là, un ieri e oggi vertiginoso. Tutti e due gli spettacoli sono un esperimento di fortuna dell’antico esente da qualsiasi sospetto di frivolezza: l’antico è il nostro solo modo di tornare alle radici, e nella radici c’è la catarsi, e in questa il solo sollievo che può finalmente toccarci: la sola benedizione.
I Messaggeri, spettacolo – concerto da Euripide e Sofocle
Regia di Emma Dante
Canti e musica dei Fratelli Mancuso
Con Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Adriano di Carlo, Naike Anna Silipo, Sabrina Vicari
Scene Carmine Maringola
Luci Cristian Zucaro
Coproduzione Spoleto 63Festival dei Due Mondi e Atto Unico/ Compagnia Sud Costa Occidentale
Arianna, Fedra, Didone (dalle Epistulae Heroidum di Ovidio)
Con Isabella Ferrari
Composer Silvia Colasanti
Direttore dell’Orchestra Giovanile Italiana Roberto Abbado
Direttore dell’International Opera Choir Gea Garatti
Luci Fiammetta Baldisseri
Foto di Maria Laura Antonelli/AGF da Pagine FB del Festival di Spoleto