Dopo il grandissimo successo del suo debutto nel gennaio 2020, torna in scena per il terzo anno consecutivo al Teatro Belli, dal 27 gennaio al 12 febbraio 2023, IL DIARIO DI ANNE FRANK con la regia di Caro Emilio Lerici.
- Di seguito la recensione allo spettacolo portato in scena nel 2022 sempre al Teatro Belli di Roma
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IL DIARIO DI ANNE FRANK @ Teatro Belli: quel buco angusto di vita – articolo del 23 gennaio 2022
Dal 21 al 23 gennaio al Teatro Belli è andato in scena IL DIARIO DI ANNE FRANK, adattamento teatrale di Frances Goodrich e Albert Hackett che aveva già debuttato con successo con Antonio Salines nei panni di Otto Frank, qui sostituito da Ruben Rigillo. Una coproduzione Teatro Belli / Compagnia Mauri Sturno.
Teatro Belli di Trastevere: tutte le anime storiche di un Teatro
Trastevere pulsa sempre di vita passante. Pochi si fermano. Indugiano. Sembra che tutti conoscano la direzione da prendere tra i vicoli rumorosi di voci. È un dedalo complicato e ingarbugliato di viuzze e di sentimenti. É (a dirla tutta) un fiume che corre e non è mai lago. Ma in quell’angolo più quieto simile ad un anfratto (dove fu arrestato Cagliostro) c’è da sempre il Teatro Belli, specie da quando agli inizi dei settanta, Antonio Salines lo volle riaprire e imbellettare a Salone di spettacoli. I calcinacci polverosi divennero allora colore e musica e poi emozioni e ancora una volta: Teatro (quest’ultimo per chi ama la sintesi o la poesia). Al Belli parlò Garibaldi al popolo, debuttò una promettente Lina Cavalieri con tutto il carico della sua bellezza trasognata ed un certo Ettore Petrolini, forse col suo Gastone con tanto di guanti bianchissimi al seguito. E poi Dario Fo ai tempi ancora senza Nobel. Oggi è il Teatro Belli di Antonio Salines. E non è poco. E ci auguriamo anche che nessuna avidità immobiliare possa interrompere questa bella storia iniziata nella seconda metà dell’Ottocento.
Entrando nel piccolo e delizioso foyer arredato già a Teatro per via delle poltrone, mi sembra di rivedere Antonio Salines: felice su quella seduta di velluto rosso come comanda il protocollo. È lì che l’ho visto l’ultima volta e scambiata una chiacchiera su quel meraviglioso Godot e sui nostri rispettivi progetti, ed è lì che lo ritrovo. Lui che non c’è più, c’è come prima. IL DIARIO DI ANNE FRANK era già andato in scena con Antonio. Era Otto, il padre di Anne. All’epoca l’età anagrafica dell’attore fece discutere ma fu surclassata da quella teatrale. Venerdì 21 gennaio il Diario ha debuttato con la regia di Carlo Emilio Lerici che ai saluti butta gli occhi al cielo per dedicare lo spettacolo a Salines. E si va in scena con un nuovo Otto: Ruben Rigillo.
IL DIARIO DI ANNA FRANK: dalla storia alla Storia
“Il Diario…” È tristemente vero come certe storie non abbiano bisogno di essere ricordate nei dettagli, nel finale, perché sono già note. Non c’è la sorpresa di come si concludono eppure emozionano tutte le volte. Storie molto raccontate perché passate per crudeltà alla storia vera e letteraria. Tutti (ragazzi, grandi, vecchi) conoscono il Diario più triste, vivo e famoso di sempre. Lo hanno letto proprio tutti. In quel buco profondissimo di vita, che è quel famoso rifugio, si “chiude” tanta vita. L’esistenza misera di due famiglie e di un dottore arrivato dopo.
Tutti ebrei, almeno di nascita, dato che il medico non è di religione ebraica. Forse cattolico, ma qui non importa perché si condanna la “nascita” come colpa grave al pari di un reato. Il rastrellamento ed epurazione ha il vile fine di cancellare una razza. Una comunità umana eccezionale davvero (e non dico per piaggeria) perchè annovera primati autentici: poeti, scienziati, matematici, commercianti, abili imprenditori e per tutto questo, dunque, una minaccia gigante per il manipolo di piccoli nazisti e dittatore. Hitler ha paura degli ebrei e allora decide di annientarli debolmente con la vile forza e la complicità dei suoi gerarchi in divisa di pelle nera. Cancellarli come gesso alla lavagna è la soluzione finale.
Ci riesce senza ostacoli anche con una certa propaganda che racconta alla popolazione tedesca la favoletta che i lager sono un campo allegro dove gli ebrei possono vivere felici ma dentro un recinto d’oro. Circoscritto come la tirannia. Chiuso come l’antitesi della libertà. Come se fosse già permesso chiudere qualcuno dentro uno spazio senza processo. E molti lo credono o fanno finta di crederlo e sventolano bandiere con la swastika nei cortei. Nessuno tra gli assiepati si chiede che i lager sono come i gulag russi. Nessuno si chiede che anche il nome è simile. Nessuno si chiede che sono campi di repressione e di morte.
La piccola Anne (con i suoi appunti e quel carico di umanità interrotta solo dopo la deportazione), schiaccia nel tempo che le verrà dopo la morte, per la storia, il breve dittatore dai baffetti quadrati. Si è sempre parlato di un solo pazzo, ma quello che la pièce ci ricorda, è che in tempo di guerra si era instaurata una incredibile corsa al potere, alla prepotenza anche da parte delle Camicie verdi e poi da parte dei civili collaborazionisti che tradivano anche gli stessi connazionali: per salvare o conquistare qualcosa. La guerra sa fare anche questo: svelare la reale misura, statura dell’essere umano. Le sue altezze e le sue bassezze. Tutto è esposto sul banco atroce dei giorni che intanto esplodono di bombe e odio che macera i volti.
IL DIARIO DI ANNE FRANK: al Teatro Belli rivive la piéce di Frances Goodriche e Albert Hackett
La pièce di Frances Goodriche e Albert Hackett, tradotta da Alessandra Serra e Paolo Collo e ancora di più la regia di Lerici, ci strappa da quella poltrona di presente e ci catapulta in quel buco vivido dove tanta vita è trattenuta, arrestata, tra le mura e una casa bilivelli. Buco che tutto trasforma. Si ride, si piange, si gioca, si mangia quel che si può, quel che rimane. Le provviste sono povere. Esigue. Ma anche fuori non è che la situazione sia migliore. Ma Anne è l’adolescente gonfia di tanta vita davanti a sé e non può far scappare la fiducia dai suoi pensieri. Qualcuno tra gli adulti sembra più rassegnato e la vita spinge dunque dove scova spazio. Ed è nelle due giovani sorelle Frank che c’è tanto futuro sospeso. Imploso.
Quel meraviglioso e atroce buco ha il potere di unire gli esseri umani ma anche trasforlarli in bestie capaci di rosicchiare di nascosto le provviste come topi notturni. Addirittura togliere il pane al figlio già scarno. In quell’agorà di voci contrastanti dove ognuno prova a vendere la propria ragione: Anne rompe l’orrore di ciò che come una belva è trattenuto a fatica dopo le mura: i nazisti. Lo fa con la sua vitalità. Anne straripa di vita e salta, e canta e urta simpaticamente tra mobili legnosi, facendosi spazio dove spazio non c’è. E sempre negli spazi avari poggia fiduciosa la speranza che non può certo far morire. “Morire…” già perché è la morte il pensiero che hanno tutti. Frequentemente. Di giorno e di notte. Da svegli e addormentati. Fame e morte, anzi. Il binomio toglie l’aria necessaria del respiro specie quando passano i piccoli nazisti dagli scarponi spessi e dalle lunghe sirene come urla lancinanti. E poi ci sono le bombe che rendono ogni luogo malsicuro, persino una casa robusta come quella dove si sono nascosti gli ebrei di questo racconto. Allora si stringono rapidi e tutti di nuovo, lasciano i rancori fomentati dalla angusta convivenza, e si trovano come colla in quel gesto ripetuto sotto un trave o sotto un tavolo, ognuno pregando il dio che preferisce. Anne è fiduciosa nell’uomo e si stupisce assai quando i Van Daan litigano, perché fino a lì aveva creduto che solo i bambini lo facessero.
IL DIARIO DI ANNE FRANK: Lerici ci regala un quadro d’autore
E Lerici ci regala un maraviglioso quadro d’autore: vediamo Anne (mediatore involontario) quando in mezzo ai due, seduta sul pavimento, li fissa con occhi freschi d’adolescente. Dal basso verso l’alto. Ma è solo propostettiva geometrica dato che qui la “grande” o adulta è lei. Anne è la speranza che tiene a bada il terrore perché dice: «…continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo». La scenografia incastonata nel piccolo palco del Belli è un affresco a due piani di quello che dev’evessere stato il nascondiglio antinazista al 263 di Princengracht ad Amsterdam. C’è cura e abbondanza di dettagli. Ogni angolo della scena pullula di vita e di Teatro. Ci sono quattro quadri vivi in quasi perenne movimento. Come nel grande fratello di Orwell, posso guardare quello che voglio: mentre Otto (Ruben Rigillo) parla con la figlia Margot, posso (se mi va) guardare il famelico signor Van Daan (Tonino Tosto) fumare nervosi sigari o sorprenderlo a rubare tozzi di pane mentre tutta la casa dorme di quel sonno leggero di guerra. Minato. Ci sono oggetti che mi mandano subito a quel tempo: una stufa che sembra ardere davvero, dei catini verniciati a mano, la cappelliera di pelle della signora Van Daan (Susy Sergiacomo).
IL DIARIO DI ANNA FRANK: un quadro d’epoca disegnato con costumi, luci e musica
I costumi di Annalisa Di Piero, uniti alla postura e alla fisicità degli attori ci restituiscono, anche questa volta, un quadro di quell’epoca. C’è il capppotto della signora Miep (Gabriella Casali) di quel verde cupo che ci suscita la moda del tempo. I cappelli a larghe falde e poi altri cappotti d’uomo di un rigido ed elegante grigio, la pelliccia preziosa barattata con del denaro e provviste, la stella di David cucita a marchio, mi convincono che siamo lì e che Anne abbia davvero vissuto in quel rifugio.
Le luci sono ben dosate. Cambiano come dev’essere. C’è un lucernario in alto che riflette il cielo sopra Amsterdam: ci sono nuvole rapide che poi si tingono di rosso quando, vili come il regime, vi cadono bombe cieche. Incuranti di cosa o chi colpiranno.
Ogni tanto, a marcare il desiderio di futuro di Anne, ci sono musiche che suonano come un armistizio. I brani sono cantati da Eleonora Tosto e sono musica per le orecchie. Naturalmente sono i canti della tradizione ebraica che richiamano i Salmi.
IL DIARIO DI ANNE FRANK: Rigillo in Otto Frank, l’eredità del ruolo di Salines
Il racconto è fluido ma viene reso ancora più godibile dagli attori. La recitazione è ben dosata. Ruben Rigillo è “naturalmente” Otto, l’unico Frank costretto dal destino bizzarro a sopravvivere alla sua famiglia dopo la deportazione. Rigillo riceve l’enorme eredità di Salines; tiene la scena dunque con la sua interpretazione “naturale” e per tutto il tempo: è il mediatore che trattiene le intemperanze di Anne e quell’unico sfogo della moglie e infine di tutti gli altri chiusi come uccelli in gabbia. Otto Frank è stato un dirigente di una fabbrica di marmellata: gli autori lo hanno immaginato costretto a dover dirigere quindi anche questa società di anime.
Da Francesca Bianco a Raffaella Alterio: le interpretazioni commoventi e convincenti de IL DIARIO DI ANNA FRANK
Francesca Bianco, dunque è la moglie, la signora Frank, e ci regala anche lei quel ruolo di madre ferma in quel luogo fisico e mentale. Impotente nella lotta impari contro la guerra: coltiva stanca quella parvenza flebile di normalità per le figlie nel naturale slancio di protezione. Ma è lei che ha meno fiducia di tutti e teme che il confitto non finirà mai. Si chiede perché i treni della vergogna continiuno a partire puntuali nello stesso giorno di ogni settimana. Perché gli inglesi o i francesi non bombardino almeno i binari. Soluzione palliativa ma è già qualcosa. Lo confida in lacrime in quell’abbraccio all’amica Miep (Gabriella Casali) sull’uscio della casa e del Teatro.
Sì: perché Lerici ha l’idea d’usare ogni anfratto del piccolo Teatro e le voci e scene arrivano pure dal Foyer che a sipario aperto è ormai parte integrante del palco. Della storia.
La Casali è sempre brava a restituire con la voce, con il corpo, con gli sguardi il personaggio che le si affida con fiducia. L’avevamo già recensita dell’ottimo Prometeo di Siravo e Gastaldi, e anche questa volta ci piace e convince senza riserve. Margot è Beatrice Coppolino, la giovane Frank: la sua recitazione è limpida, semplice, fresca, senza orpelli dunque giusta per il giovane personaggio che Lerici le affida. Ci sembra perfino abbia certi tratti tesdeschi della gente di Francoforte sul Meno.
Peter è Vinicio Argirò: figlio d’arte di Giuseppe (regista Teatrale che abbiamo già recensito in un Dostoevskij). É Naturale. Incarna il personaggio: ha i nervi e le passioni ben tirati dell’età acerba. Roberto Baldassari è un buon Alfred Düssel: il medico dentista nato da genitori ebrei ma non segue i precetti della religione ebraica perché non lo è. Ha sposato una cristiana. Arriva dopo in casa e soffre più di tutti per carattere e per quella carenza di spazi, instilla pessimismo e nervosismo negli altri e l’attore ci restituisce lo stato d’animo qui riassunto. Ci piace anche Fabrizio Bordignon nel ruolo di Kraler: è giusto e dà corpo al dimesso e onesto dipendente di Frank, corriere di notizie che arrivano dal mondo esterno appena adiacente la casa. Da tutto ciò che a malapena si può sentire, perncepire e non vedere. Tonino Tosto è un naturale e ottimo signor Van Daan, bravo a regalarci anche qualche sorriso e commuoverci quando si pente d’aver rubato miseramente a chi possiede solo miseria e sogni. Susy Sergiacomo è una distinta signora Van Daan abile a diferdere la sua regale raffinatezza anche tra quelle rovine di vita. Anne è Raffaella Alterio, puntuale nelle battute. Ha qualche anno di troppo rispetto al personagio ed è costretta a manipolare la sua voce, ma preso dalla storia lo scordo dopo le prime scene.
21-22-23 gennaio 2022
IL DIARIO DI ANNE FRANK
adattamento teatrale
di Frances Goodrich e Albert Hackett
traduzione Alessandra Serra e Paolo Collo
con (in ordine di apparizione)
Ruben Rigillo, Gabriella Casali, Raffaella Alterio, Francesca Bianco, Beatrice Coppolino,
Vinicio Argirò, Tonino Tosto, Susy Sergiacomo, Fabrizio Bordignon, Roberto Baldassari
aiuto regia Martina Gatto
scene Vito Giuseppe Zito
costumi Annalisa Di Piero
ufficio promozione scuole Alessandra Santilli
i brani tradizionali ebraici sono cantati da Eleonora Tosto
regia Carlo Emilio Lerici
una coproduzione Teatro Belli / Compagnia Mauri Sturno