IL CAPPUCCIO D'OSSO DELLA LUNA @ Teatro Argot Studio – La luce nascosta

Tra sguardi sfuggenti e parole non dette, va in scena al teatro Argot fino al 26 novembre 2017 IL CAPPUCCIO D'OSSO DELLA LUNA  di Cristina Cirilli con regia di Maurizio Panici e interpretato da Cristina Cirilli, Ermanno De Biagi, Mirella Mazzeranghi e Ludovica Apollonj Ghetti, si consuma una lotta all’ultima parola per ricominciare a “convivere” all’interno di una famiglia disorientata.

Alberto è il capo famiglia di un nucleo che ormai si sta sfaldando da qualche mese. Questo a causa della morte della moglie, figura evanescente rievocata per mezzo di ricordi, oggetti o emozioni da parte delle due figlie, Anita e Adelia e dalla cognata Vittoria.
Alberto interpreta la parte del padre manchevole nei confronti delle sue figlie, sempre impegnato e assorto nel suo lavoro di architetto e accusato dalla figlia minore Adelia, di peccare di egocentrismo. Siamo nel pieno di una crisi familiare in atto e nessun componente della famiglia ritrova più il suo posto e il suo ruolo all’interno di un ecosistema delicato e precedentemente più equilibrato, o che almeno sembrava tale prima della malattia e della successiva morte materna. Anita è la sorella maggiore, un’insegnate per professione che cerca in qualche modo di tenere tutto sotto controllo, persino qualcosa di incontrollabile come la morte di sua madre. Per questo decide di ospitare a casa sua il padre, seppur contrariata e spesso infastidita dai suoi superficiali e buffi modi di agire nei suoi confronti e nei confronti della manutenzione della casa: la spesa non corrisponde mai all’ordinata lista che Anita scrive per facilitargli il compito. E nemmeno i gusti musicali o più semplicemente la frequenza della radio, riesce a metterli mai di comune accordo. Si ha sempre la sensazione che ci sia qualcosa che manca attorno a quel tavolo e a tutte quelle sedie vuote che lo circondano… ora occupate soltanto da due persone. Ma gli altri componenti della famiglia sono sempre il punto focale delle loro conversazioni o discussioni; il nucleo familiare è sfocato e diviso ma rimane sempre il problema centrale dell’intera rappresentazione, o almeno così appare all’inizio.

Anche se rimane costante il dissidio tra tutti i personaggi quest’ultimo sembra essere mitigato e appianato da una figura, quella di Vittoria la sorella maggiore di Roberto e cognata della madre delle due sorelle. Lei ricopre un ruolo fondamentale specialmente per Adelia la figlia minore, che vede la zia come se fosse una sorta di seconda madre.

Quando finalmente decidono di ricontrarsi tutti intorno ad un tavolo per cena e con l’intento di ricominciare magari da dove ci si era lasciati, si comincia l’orribile guerra delle colpe. Ogni membro della famiglia specialmente Adelia nei confronti del padre Roberto, è intenta a giudicare e ad incolpare il padre della morte di sua madre, insultando e deridendo certi aspetti del suo carattere e dei suoi modi di comportarsi nei confronti di entrambe le sorelle. Anita non nega le parole della sorella minore ma da adulta quale è, cerca di riappacificare e smorzare tutta quella rabbia tipica dell’età adolescenziale di Adelia.

Età e caratteri diversi affrontano il tema della morte di un loro caro in modo caratteristico a seconda delle loro esperienze e di conseguenza della loro età. Il punto in comune però, rimane sempre lo stesso: non c’è un limite di età o differenza caratteriale che possa evitare il dolore provocato da una tale disgrazia. La sofferenza e la disperazione per la tragedia accaduta da qualche mese, rappresentano l’unico massimo comun denominatore della vicenda. Dopo tutte le urla di Adelia sputate contro il padre, dopo tutti i richiami all’ordine della zia Vittoria e di Anita, alla fine l’unica cosa che conta è che una persona a loro cara è scomparsa improvvisamente lasciando un enorme vuoto nelle loro vite. Si intuisce inoltre che questa madre rappresentava per loro il filtro e il metronomo delle giornate e dei rapporti all’interno della famiglia. Lei ricopriva un ruolo di moderatrice tra Roberto e le sue figlie.

Con la scomparsa di questa figura, che non appare mai se non attraverso gli sguardi raccontati per mezzo delle parole e dei ricordi rievocati dalla cognata Vittoria, è facile al pubblico accettare la figura evanescente della madre come prima protagonista della vicenda. Da lei partono le trame del discorso e sempre da lei si cerca di ripartire per ricominciare a vivere o a convinvere.

Il titolo dello spettacolo “IL CAPPUCCIO D'OSSO DELLA LUNA” risulta complesso e poco chiaro ad una prima lettura. Dopo aver assistito alla vicenda e aver compreso la dinamica delle azioni e dei ruoli dei vari personaggi, si scopre che un cappuccio di osso non è altro che un guscio piuttosto spesso al di sotto del quale è nascosta l’ombra di una figura che c’è sempre stata e che continuerà a produrre quella luce lattiginosa e pallida, tipica dei paesaggi lunari, nelle vite dei suoi cari. Un velo di malinconia e tristezza si adagia silenzioso sull’intera rappresentazione, generando situazioni inevitabili, tipiche dell’elaborazione del lutto e, per assurdo, quasi scontate e quanto mai necessarie come il saper respirare.  

Gli attori che accompagnano e gestiscono la narrazione sono ben assortiti anche se inevitabile è il confronto tra gli adulti con l’unica più piccola, ossia Adelia interpretata da Ludovica Apollonj Ghetti. Perfetta nella parte dell’adolescente, orfana di madre e perfetta nell’esteriorizzare il dolore per mezzo di gesti e parole rabbiose nei confronti della perdita avvenuta pochi mesi prima. L’intero cast, a prescindere dalla vicenda, è evidentemente valorizzato dalla presenza di Ermanno De Biagi, il quale riesce a catalizzare l’attenzione sulla sua particolare e delicata gestualità.

La scena presenta alcuni punti fermi rappresentati da oggetti tra cui un tavolo in legno massiccio lucido e quattro sedie. In più una poltrona, una radio e una porta (quella della sala del teatro Argot) costantemente aperta dalla quale filtra la luce e i personaggi escono e rientrano a seconda delle necessità o dei cambi di scena. Il pubblico è disposto tutto intorno alle parole e alle figure degli attori. I mobili e gli oggetti sembrano acquisire la patina del tempo, non perché effettivamente datati, ma semplicemente perché la maggior parte di essi ricordano momenti della giornata, situazioni e episodi impregnati dell’essenza materna.

Visto il 7/11/2017

Info:

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Dove: via Natale del grande 27, Trastevere, Roma

Scritto da Cristina Cirilli

Diretto dalla redia di Maurizio Panici

Con Cristina Cirilli, Ermanno De Biagi e Mirella Mazzeranghi
PH: Manuela Giusto

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