"Il vecchio fango" del Teatro dei sensi Rosa Pristina è un gioiello di sensibilità del quale lo spettatore del NapoliTeatroFestivalItalia 2016 ha la fortuna di poter fare esperienza.
Da anni, la compagnia Teatro dei sensi Rosa Pristina conduce la propria ricerca su un genere di teatro particolarissimo, modellato sull'esperienza del maestro Enrique Vargas. Si tratta di un teatro rivolto alla sensorialità globale dello spettatore e non solo, come nella maggior parte della tradizione teatrale occidentale, alla vista e all'udito.
Nel caso specifico di questo spettacolo, il cui titolo Il vecchio fango è tratto da una poesia di Pasolini dedicata alla terra di lavoro, lo spettatore viene delicatamente traghettato dagli attori-guide attraverso un viaggio alla riscoperta del meridione terroso, ruvido, fatto di odori, suoni, contatti manuali e tattili, in compagnia di personaggi tutti da immaginare oltre la benda che ci copre gli occhi, presenze più che personaggi, tutti enigmatici, eppure profondamente familiari, una vecchia, una prostituta, una sirena, una specie d'indovina ecc. E' un viaggio in un meridione che sta scomparendo, quello che possiamo riassaporare quando visitiamo i paesini progressivamente sempre più spopolati di giovani, abitati ancora chissà per quanto dalle vecchine sedute sull'uscio della porta, o dai gatti e dalle lucertole che si stanno riappropriando un territorio che fu il loro.
Per lo spettatore che conosce già il teatro dei sensi, l'esperienza polisensoriale che è chiamato a rivivere dalla regista Susanna Poole e compagni in questa occasione è il piacevole ritorno ad una dimensione che un tempo, al primo incontro, doveva essere stata magica come lo è per chi scrive, immerso in questo viaggio ieri sera per la prima volta.
La scoperta del teatro dei sensi è, al primo acchito, una scoperta forse più forte di quella dello spettacolo singolo, dei suoi temi, delle sue trovate sceniche, delle sue specificità. Lo spettatore novizio avverte in modo più potente la presenza del genere teatrale che la presenza del singolo spettacolo. E' un mondo nuovo quello che gli si para, più che davanti, tutto intorno e soprattutto dentro: è un viaggio nei sensi, nella sfera interiore della propria sensibilità e del proprio sentimento.
Questo teatro che ti chiude gli occhi o ti fa procedere dolcemente al buio, che ti accompagna col delicato tocco di una mano, che ti sussurra all'orecchio, che ti bacia sulla bocca, che ti guida con le suadenze di una voce cantante, che ti abbandona a volte in totale solitudine attaccato a una corda o del tutto lasciato a te stesso e al tuo vuoto, questo teatro che ti legge le carte e che ti dice "sei questo pupazzetto di argilla" e ti invita a collocarti nel mondo fatato di un paesino di creta, questo teatro è per lo spettatore novizio una tale novità che rischia di non essere più teatro.
Tanti e tali sono i codici teatrali della nostra tradizione che questo linguaggio infrange: la dimensione sensoriale in cui veniamo collocati (l'uso prevalente del senso della vista nella fruizione dello spettacolo tradizionale lascia il posto a una polisensorialità spiccata, per cui le stesse parole "spettacolo" e "teatro" risultano qui per certi versi inappropriate, essendo etimologicamente radicate sul "vedere"), le convenzioni prossemiche relative al rapporto attore-spettatore (il contatto tra i corpi o la loro vicinanza sostituisce qui la buona distanza che prelude alla visione lucida e quindi alla comprensione razionale delle parole e dei testi di cui solitamente gli attori si fanno portatori e abitatori lontani), l'attivazione di tutta un'altra sensorialità e sensibilità alla quale non solo il teatro ma il nostro vivere quotidiano ci ha disabituato.
Questo teatro si avvicina a un rito o a un'esperienza iniziatica. Come tutti i riti, ma anche come tutti gli spettacoli, il teatro dei sensi apre un altro tempo e un altro spazio. E' un'extraquotidianità più radicale, però, che nel teatro della vista e dell'udito. Il tempo e lo spazio che si aprono, grazie al lavoro di Rosa Pristina, sono il tempo e lo spazio della propria esperienza interiore. Siamo sì veicolati in un percorso che ben orchestra una mirade di suggestioni, ma il viaggio attraverso questo percorso è cadenzato su un ritmo e in ambienti che ti rimettono in contatto con le parti più profonde di te stesso.
In questo teatro non sei coinvolto indirettamente, in modo mediato, rivivendo magari anche intensamente l'esperienza di un personaggio o di un attore che la compie in tua vece: ne Il vecchio fango, il coinvolgimento è immediato e diretto, gli attori ti si rivolgono in seconda persona, sono tutti dedicati a te, sei tu il centro delle loro attenzioni e delle loro cure, sei tu il protagonista della storia, la storia è solo tua ed diversa da quella di tutti gli altri. Hai una rete di protezione che è data dalla circostanza performativa, sai che anche quando ti sottopongono alle esperienze più impressionanti, le hanno comunque predisposte con cura, per condurti a scoprire te stesso come una madre potrebbe fare con un bambino mentre lo guarda a distanza gattonare e tentare il primo approccio alla pericolosa bipedia.
L'esperienza del teatro dei sensi ha poi qualcosa di profondamente erotico. E scopri che questo erotismo, forse il vero erotismo, è il contrario della pornografia. In una società dove il corpo dell'altro si dà spesso come oggetto, ostentato alla vista nei cartelloni pubblicitari, in tv o massimamente nei video porno accessibili anche ai più giovani sul web, in questo contesto sottrarre il corpo dell'altro alla vista vuol dire negare a monte ogni possibile voyerismo, vuol dire riscoprire l'approccio animale alle cose, reimparare a fiutarle, riscoprire il contatto tra le pelli. Questo contatto è erotico per il fatto stesso di avvicinare due esseri umani, tra l'altro nel mistero dell'ignoto: chi ci sarà oltre questa benda? Uomo o donna? Che sapore ha l'alito dell'attore o dell'attrice che mi sussurra all'orecchio? com'è diversa la pelle di questa mano da quella che mi ha condotto fin qui?
Il vecchio fango di cui siamo impastati, il teatro dei sensi lo fa deflagrare in un'intensa esperienza di riappropriazione della propria umanità.
DRAMMATURGIA/WRITTEN BY TEATRO DEI SENSI ROSA PRISTINA
REGIA/DIRECTED BY SUSANNA POOLE
CON/WITH LIDIA ARIAS, ROSARIA BISCEGLIA, SOFIA CAMPANILE, ROBERTA DI DOMENICO DE CARO, DAVIDE GIACOBBE, ELEONORA LONGOBARDI, SALVATORE MARGIOTTA, CARLO MELITO, GABRIELE POOLE, SUSANNA POOLE, CINZIA ROMANUCCI
SCENOGRAFIA/SET DESIGN GIUSEPPE BARBATO
PAESAGGIO OLFATTIVO/OLFACTORY LANDSCAPE NELSON JARA TORRES
PAESAGGIO SONORO/SOUNDSCAPE DAVIDE D’ALÒ
DISEGNO LUCI/LIGHT DESIGN CIRO COZZOLINO
PRODUZIONE/PRODUCTION TEATRO DEI SENSI ROSA PRISTINA
date/dates dal 29 giugno al 14 luglio (tranne 8 luglio)/from 29 june to 14 july (except 8 july)
h 21.00; 21.20; 21.40, 22.00, 22.20, 22.40, 23.00, 23.20, 23.40
(spettacolo per un singolo viaggiatore)/ entry every 20min from 9pm until 11.40pm
(performance for a single traveller)
luogo/venue museo diocesano – donnaregina vecchia
durata/running time 45min
lingua/language italiano/italian
paese/country italia/italy
Teatro dei Sensi Rosa Pristina torna al Napoli Teatro Festival Italia con un nuovo labirinto sensoriale che questa volta condurrà lo spettatore alla scoperta di un misterioso piccolo villaggio. Nel titolo c’è l’eco della poetica pasoliniana:
Ormai è vicina la Terra di Lavoro/ qualche branco di bufale, qualche/ mucchio di case tra piante di pomidoro/ èdere e povere palanche/ Ogni tanto un fiumicello, a pelo/ del terreno, appare (…) la luce che piove su queste anime/ è quella, ancora, del vecchio meridione/ l’anima di questa terra è il vecchio fango.
(Terra di Lavoro in Le ceneri di Gramsci)
«Ciascuno di noi – si legge nelle note di regia – ha impressa un’immagine di che cosa sia la vita in un paese molto piccolo. Ci sono le case raggruppate e da un cortile si passa ad un altro in un confine sfumato fra il dentro e il fuori, fra la vita privata e quella del vicolo. Ci sono gli abitanti che sanno tutto di tutti ed alcuni, dalla presenza più forte, diventano dei “personaggi” dei quali conserviamo una traccia nell’immaginario. Questo fa pensare a quello che doveva essere Vitebsk per Chagall. Chagall dipingeva le case, le mucche, i personaggi del suo piccolo paese – come lo zio violinista o la coppia di innamorati, la capretta e il campanile – ma tutto trasfigurato nelle dimensioni, nei colori e nella collocazione, in un paesaggio fantastico, tutto interiore. Il Vecchio Fango è un lavoro su un’unità minima di vita comunitaria, un minuscolo villaggio immerso nella natura che potrebbe felicemente rappresentare un’immagine idilliaca. Ma l’altra faccia della medaglia è l’isolamento dei suoi abitanti che può far emergere i tratti più gretti, ruvidi e misteriosi dell’umano. C’è un’oscurità che lo sguardo del visitatore riesce appena a cogliere. Per questo, il viaggiatore che si avventuri nelle strade di questo piccolo villaggio, seguendo un odore, un suono, uno sfioramento, non si sentirà sempre al sicuro e dovrà ricorrere alla memoria e all’immaginazione per ricostruire ciò che, da bendato, non potrà che sentire e toccare con le mani».
Teatro dei Sensi Rosa Pristina returns to the Festival with a new sensory labyrinth which takes the traveller on an exploratory journey through a small village. «Each of us – says the director’s notes – has a strong image of what life is like in a very small village. From houses huddled together around a shared courtyard, one steps into a hazy world in which what is public and private, or what happened inside or in the small narrow streets is blurred. A village immersed in nature creating an idyllic image, but also revealing the narrow-minded, coarse, mysterious side of mankind. There is a certain dark element lurking behind that the visitor can barely perceive. Thus, the blindfolded voyager venturing through the streets of this little village following feint sounds, smells, fleeting glimpses, no longer feels at ease and will have to delve into the imaginary to reconstruct what can only be felt or touched».