IL QUI E L'OLTRE@Teatro Trastevere: Racconti di anime naufragate

Dal 19 al 29 Novembre il Teatro Trastevere, nel centro di Roma, ospita l'ottava edizione della rassegna Exit – Emergenze per identità teatrali, realizzata dalle compagnie della Fed.it. Art per creare un luogo di incontro e confronto tra un pubblico alla ricerca di novità ed artisti impeganti nella sperimentazione di nuove forme di espressioni.

Nelle serate del 26 e 27 è andato in scena “IL QUI E L'OLTRE”, tratto dal testo “Distanze” di Gaia Spera, interpretato da Francesca Tranfo e diretto da Emilio Genazzini che ne ha curato anche la drammaturgia. Gaia Spera è ideatrice del Blog di solidarietà FattiMail e fondatrice dell'Associazione Song-Taaba che realizza progetti in Burkina Faso. 

Lo spettacolo si apre con una sola luce proiettata su un telo dai motivi tribali e la voce di una ragazza che stipata su una barca e stretta al corpo del fratello affronta il mare per raggiungere la costa e, forse, una nuova vita.

L'accensione delle luci scandisce la trasformazione della scena in un salotto in cui la stessa immagine viene restituita masticata dalla televisione a chi comodamente la ascolta da una poltrona. La storia di quei due ragazzi e quella di molti altri diventa una serie di numeri e dati snocciolati alla rinfusa dai notiziari, con un metodo che sembra pensato apposta per anestetizzare le emozioni e ammassare velocemente i sentimenti, senza lasciare il tempo di rilfettere.

Francesca Tranfo, unica attrice in scena, dà voce ai personaggi, che con ruoli diversi, sono chiamati a raccontare un' unica storia, quella dell'emigrazione. Una tenente di guardia costiera che soccorre donne, uomini e bambini, spesso dovendoli strappare dai corpi gonfi e bianchi dei loro cari. Una giovane ragazza africana che porta con sé la sofferenza di un viaggio estenuante, giunta in un CARA (Centri Accoglienza Richiedenti Asilo) dopo aver subito la violenza dei trafficanti e attraversato il deserto e un mare crudele in cui ha perso il fratello. Una madre che non sa più nulla dei suoi figli, che se avesse potuto avrebbe fermato il tempo a quelle notti in cui si addormentava con la guancia stretta a quelle dei suoi bambini cantando dolci nenie.  Da un lato l'Africa, terra in cui l'accoglienza è un esigenza, dove la consapevolezza che essere soli vuol dire essere incompleti fa sì che ogni uomo venga accolto come un dono, dall'altro il nostro Paese in cui chi arriva nella maggior parte dei casi si trova davanti più muri che braccia pronte a dargli sostegno.

Un testo che ha il pregio di affrontare una tematica necessaria prima che attuale, soprattutto in risposta al dilagante allarmismo che rischia di aggiungere diffidenza all'indifferenza. Lo spetattore è messo di fronte al disarmante dato di fatto che anche chi sopravvive al mare perde la sua vita, ogni legame con il suo passato e la sua identità.
La rappresentazione si sviluppa in una successione di immagini che non sempre risultano ben assortite. L'interruzione della recitazione con alcune coreografie, seppur eseguite in modo impeccabile dalla Tranfo, crea confusione e rende frammentata la narrazione, con il risultato di disorientare e non toccare pienamente le corde emotive dello spettatore.

Risulta invece molto utile ad una piena comprensione del tema la scelta di proiettare, al termine della pièce, i dati aggiornati al 2014 relativi al fenomeno dell'immigrazione e acome influisce sul nostro Paese, fornendo ulteriori argomenti per affrontare la questione con cognizione di causa e criticità.

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