IL MESTIERE PIÙ ANTICO DEL MONDO@Teatro Biblioteca Quarticciolo: riflessioni sulla violenza ostetrica

Il Quarticciolo è una zona particolare di Roma: passeggiando tra i suoi palazzi di sera si respira ancora vita di quartiere, tra gli anziani che si ritrovano dopo cena fuori dai portoni a prendere un po’ di fresco e scambiare quattro chiacchiere e gli adolescenti che in strada sui loro motorini fanno più o meno lo stesso. Piacevole atmosfera quella nella quale trova sede uno dei teatri più interessanti il Teatro Quarticciolo, per la vitalità e la varietà del programma culturale che da anni propone, di Roma Est.

Appartenente alla rete Teatri in Comune di Roma Capitale, il Teatro Quarticciolo ha subito, nel corso dell'ultimo periodo, altalenanti vicende di chiusure e riaperture. Fortunatamente da giovedì 18 agosto è tornato ad essere spazio attivo, con la proposta di un mese di programmazione che vede come protagoniste diverse associazioni del Municipio V assieme a giovani compagnie teatrali romane e non. Nell’ambito di tale programmazione è andato in scena mercoledì 24 IL MESTIERE PIÙ ANTICO DEL MONDO.

La tematica della rappresentazione è materia divenuta diffusa nel corso degli ultimi anni a livello di discussione sociale, ma fino ad ora probabilmente aliena all’ambito teatrale, nel quale ben si inserisce per la carica di emotività che comporta e per la parallela possibilità che mette in atto di utilizzare il teatro come strumento di denuncia, facendo del mezzo artistico una possibilità di comunicazione su livelli altri rispetto a quelli della stampa e dei social. Si tratta della violenza ostetrica e, più in generale, della violenza sulla donna in uno dei suoi momenti di massima vulnerabilità: quello del parto.

Nello spettacolo Laura Nardi impersona Anna, ostetrica con venticinque anni di esperienza e molte storie da raccontare (tra le quali la sua), restituendo, per voce di Anna stessa, tutta una serie di personaggi che l’anno attorniata e l’attorniano nella sua formazione prima e nello svolgimento della sua professione poi.

Anna racconta gli anni del convitto, con la severità delle suore e della vita collegiale, volta ad educare le future ostetriche alla durezza e all’imperturbabilità, che finisce col rendere le allieve dei kapò, altrimenti ritenute incapaci di svolgere il proprio ruolo. Racconta le strategie attuate per sopravvivere a quella formazione e il parallelo indurirsi del suo carattere. Racconta ancora il parto della madre, al quale ha assistito ancora bambina e del quale conserva un ricordo nitido e forte, parto totalmente diverso da quelli ospedalieri e che mette in dubbio le linee guida del suo operare professionale, creando una dilemmatica questione interiore, chiaramente sofferta seppur non esplicitamente ammessa.

Tanto l'eccellente interpretazione di Laura Nardi che, senza altri ausili scenici che una sedia bianca, ricrea volta a volta ambienti e situazione con intensa verosimiglianza, tanto la scrittura che caratterizza il personaggio di Anna nella sua complessità e problematicità fanno sì che di tale personaggio si finisca per accogliere e comprendere il cinismo, provando nei suoi riguardi un sentimento di pietà misto a risentimento, quel genere di emozione che si prova nei confronti di chi è in qualche modo vittima e carnefice allo stesso tempo.

Al di là del personaggio di Anna e dell'indulgenza che può suscitare, soggetto essenziale della messa in scena è la donna, la donna non rispettata, bensì abusata proprio nel momento in cui è più donna, momento in cui meriterebbe di vivere appieno la propria natura. Viene evidenziato come pratiche ostetriche utilizzate di routine in passato (e talvolta purtroppo ancora ora) siano in realtà poco utili e funzionali al corretto procedere del parto, ma indubbiamente lesive dell'integrità fisica e psicologica della donna stessa. Minacce, ironia gratuita e un utilizzo eccessivo di farmaci e chirurgia (senza il consenso informato) fanno parte dello stesso pacchetto.

Alle donne che “fa partorire” Anna ripropone frasi appartenenti al repertorio delle ostetriche che l'hanno preceduta, frasi raccapriccianti che non hanno lo scopo di incoraggiare, ma solamente quello di stabilire (qualora non fosse chiaro) da quale parte è il potere. Una per tutte la risposta che viene data a coloro che si chiedono quando il parto avverrà, alle quali viene risposto con crudeltà «quando ti suderanno i denti». Un incredibile gioco allo stremo dunque e, come si è detto, una questione di potere, nella quale l'autorità maggiore appartiene alla classe medica e in particolar modo, sembrerebbe di capire, a quella maschile. A tal proposito, nel breve dibattito che segue lo spettacolo, Gabriella Pacini riporta un'affermazione del famoso medico francese Michel Odent, secondo il quale il ruolo della donna in sala parto è purtroppo rappresentativo del suo ruolo nella società. Uno spettacolo ricchissimo di spunti, dunque, Il MESTIERE PIÙ ANTICO DEL MONDO.

La realtà allusa nella rappresentazione è quella degli anni Novanta, da allora sicuramente molto è cambiato, ma non tutto così drasticamente se solo negli ultimi anni la questione della violenza ostetrica è venuta chiaramente alla luce e divenuta oggetto di denuncia, al punto che l'OMS ha ritenuto necessario ridefinire cosa è da considerarsi violenza al momento del parto e in cosa consista piuttosto un'assistenza rispettosa della donna e del nascituro. Assistenza che deve essere, come emerso per ovvia negazione del contrario dallo spettacolo, centrata sulla persona e basata sulla possibilità di scelta informata.

Davvero sinceri i nostri complimenti a Gabriella Pacini e al suo spettacolo, da donna prossima al suo primo parto.

Info:
IL MESTIERE PIÙ ANTICO DEL MONDO

di Gabriella Pacini
regia Amandio Pinheiro
con Laura Nardi

Teatro Biblioteca Quarticciolo
Via Ostuni, 8 – V municipio

Visto mercoledì 24 agosto
ore 21.00

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