In scena fino al 31 gennaio, Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald ha debuttato con successo al Teatro Stanze Segrete di Roma nell’adattamento di Rachele Studer – Daisy sul palcoscenico – e Riccardo Eggshell, per la regia di Matteo Fasanella, che ha brillantemente vestito i panni di Jay Gatsby nella rappresentazione.
Romanzo simbolo degli Stati Uniti dell’era del jazz e del proibizionismo – siamo negli anni Venti – Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald segna soprattutto il tracollo dei sogni di benessere e spensieratezza che culminerà nel crollo della borsa di Wall Street del ’29. La speranza simboleggiata dalla luce verde al di là della baia si consuma tra feste sfrenate, alcol, tradimenti, rivelandosi nulla più che un’illusione, un miraggio nato dal desiderio.
Gatsby è un personaggio dal passato misterioso. Di umili origini, dopo la Prima guerra mondiale diviene il ritratto del self made man, avendo costruito in breve tempo, ma in modo non chiaro, una grande fortuna. È con la sfarzosità del suo palazzo, con l’incredibile numero delle sue camicie che Gatsby spera di riconquistare l’amore di Daisy, che anni prima aveva preferito a lui il ricco giocatore di polo Tom Buchanan, dal quale ha avuto una bambina.
Il testo di Rachele Studer e Riccardo Eggshell costringe in un arco temporale di ventiquattro ore l’intera vicenda di Gatsby, di Daisy e degli altri personaggi – Tom, Nick Carraway (che nel romanzo è voce narrante), Jordan Baker, Myrtle Wilson e suo marito George – restituendola nelle tinte fosche di un dramma che si consuma in un interno sfarzoso, nel corso del party che Gatsby ha organizzato per ritrovare Daisy e l’agognata conferma del suo amore rimasto intatto al passare del tempo e nonostante il matrimonio.
Va certamente sottolineato il merito di Paolo Carbone (due volte Premio Cerami per Titus e Fight Club) nell’aver colto la sfida di rendere lo scenario di un sontuoso palazzo newyorkese anni Venti nello spazio del Teatro Stanze Segrete, tanto suggestivo quanto ridotto. Specchi dalle cornici dorate, parquet con blasone, scala con balaustra in legno, angolo bar fornito di bottiglie e bicchieri in cristallo, divano di velluto: tutti elementi che fanno dello spazio scenico – diviso tra un piano terra a livello della platea e un piano alto dal quale i personaggi (Gatsby, innanzitutto) si affacciano o compaiono come silhouette dietro un pannello bianco – l’interno in cui si consuma il dramma di un uomo che guarda al futuro sperando di poter rivivere il passato.
La lettura registica del romanzo si può dire fedele quanto a costumi e scenografie, che rendono bene l’ambiente sociale e storico, e si avvale di un ottimo cast, oltre che della voce di Ennio Coltorti. Fuori luogo rispetto all’atmosfera decadente della pièce sembra solo la figura di Valentina Ghetti, forse poco valorizzata dal costume. Un ottimo elemento di originalità è invece dato dalla scelta delle musiche: contemporanee e incalzanti, contribuiscono ad alzare la temperatura dello spettacolo, di per sé godibilissimo.
Rachele Studer e Riccardo Eggshel dimostrano di avere il dono della sintesi, per aver condensato l’intero romanzo in una rappresentazione della durata di poco più di un’ora, ricca di accadimenti (superfluo l'accenno alla relazione tra Nick e Jordan) e profonda nell’analisi psicologica dei personaggi, che mette in luce uno dei tratti salienti del capolavoro di Fitzgerald: il corto circuito tra sogno, illusione e realtà; il crollo di un castello di carte.