IFIGENIA, LIBERATA @ Teatro Fabbricone. L’inevitabile bisogno di un capro espiatorio

Il dramma di Ifigenia a partire dal testo classico di Euripide e con riferimenti che spaziano dalla Genesi fino alla contemporaneità social, è andato in scena al Teatro Fabbricone di Prato dal 22 al 25 marzo per la regia di Carmelo Rifici, intervistato da Gufetto,  e resterà in tournée per l’Italia fino a giugno. Lo spettacolo, prodotto da LAC di Lugano, Piccolo Teatro di Milano e Azimut, propone una versione modernamente destrutturata del mito antico per svelare l’inevitabilità di quel sacrificio, avvenuto sì oltre 2000 anni fa, ma ancora oggi necessario per l’equilibrio del mondo fatto dagli uomini.  

Uno spazio aperto verso il pubblico, un distributore di acqua sullo sfondo, la postazione del fonico e del musicista su un lato, con qualche poltroncina disposta lungo le pareti della stanza ricoperta di pannelli lignei, e infine un grande schermo che sovrasta la scena. Tutto è pronto per l’inizio delle prove dello spettacolo. E non mancano neppure gli attori: molti si muovono con disinvoltura interagendo tra loro in attesa del regista. Pertanto il pubblico non attende in sala che inizi la messa in scena perché non sta realmente assistendo ad essa; vi sta partecipando e per questo è inglobato nella scenografia senza un vero boccascena di separazione. Una scelta che si sposa alla perfezione con la morfologia del Teatro Fabbricone dove il tutto si svolge.

Qual è stato l’effetto dell’uccisione del primo uomo? Cosa hanno provato i primi assassini della storia dell’umanità? Non possiamo sapere se hanno provato rimorso ma sicuramente hanno percepito la necessità di farlo per il loro benessere e per il loro equilibrio. Da questa certezza si dipanano le vicende che caratterizzano il mito classico di Ifigenia, sfortunata figlia di Agamennone e Clitennestra, sacrificata alla dea Artemide per porre fine alla bonaccia che sta tenendo bloccati in Aulide i soldati argivi diretti a Troia. Un sacrificio che la tradizione vuole richiesto dagli Dei ma che nasce invece dal bisogno di sbloccare l’attuale equilibrio stagnante del popolo greco per raggiungere un nuovo equilibrio e consentire la partenza dell’esercito. “Non si blocca il mondo per la mancanza di vento. Sono gli uomini ad essere bloccati”: solo se i mirmidoni troveranno un capro espiatorio su cui proiettare le proprie colpe e le proprie paure, sarà possibile uscire dal blocco e compiere la missione di distruggere Troia, la città che ha scalfito l’orgoglio greco con il rapimento di Elena. E quale capro espiatorio migliore di una innocente, la cui coscienza rappresenta un foglio bianco su cui incidere la propria invidia? Infatti è di invidia che è malata la Grecia e Ifigenia è il farmaco necessario per guarirla, colei che può portare i segni delle nostre colpe per diventare la vittima “giusta”, capace di riportare la pace. E forse proprio di giustizia si può parlare se nell’antica lingua greca questa parola aveva la stessa radice della parola vendetta: una sorta di coincidenza semantica che svela la profonda natura violenta dell’uomo, dai suoi primordi fino ai giorni nostri. Un uomo che dovrebbe arrendersi ad essere il più debole degli uomini per liberarsi dall’invidia e che preferisce costruirsi la realtà in maniera da giustificare le proprie colpe e considerare inevitabili le proprie scelte, nascondendosi dietro un presunto senso del dovere. Neanche l’attrazione quasi incestuosa nei confronti della figlia e l’affetto di lei distraggono Agamennone dal suo desiderio di potere e dallo spettro della sconfitta tanto da giustificare la farsa del matrimonio di Ifigenia con Achille per attirarla nella trappola mortale. Non sarà, infine, nemmeno la madre Clitennestra capace di redimere la figlia, anche quest’ultima vittima così come la sorella di Elena lo era stata, costretta a sposare Agamennone che aveva ucciso il suo primo marito. Se la violenza dell’animo umano è destinata a manifestarsi, solo il sacrificio è in grado di veicolarla per evitare la ribellione della folla, del popolo contro il potere. Perciò Ifigenia decide infine di concedersi secondo quello stesso senso del dovere con cui suo padre aveva giustificato la propria crudele scelta.

Il complesso scenario e le molteplici derivazioni che il mito classico comprende sono abilmente manovrati dai personaggi sulla scena ai quali sono affidati ruoli precisi, specifici, tali da supportare il pubblico e gli attori stessi nell’orientarsi all’interno del complesso labirinto di riferimenti e citazioni. Se, infatti, la filosofia del capro espiatorio, ripresa in tempi moderni dal filosofo francese René Girard, cui si sono ampiamente ispirati i drammaturghi Carmelo Rifici e Angela Dematté, ha caratterizzato l’intero processo di evoluzione sociale e culturale dell’uomo, non possono mancare inevitabili richiami ad altri miti e ad altre culture. Pertanto, dopo l’apertura dello spettacolo affidata alla Genesi, sono molteplici i riferimenti alla tradizione giudaico-cristiana, in cui il sacrificio di Cristo sulla Croce, morto e risorto per liberare gli uomini dal peccato, richiama l’innocenza di Ifigenia. E’ lo stesso profeta Isaia ad intervenire sulla scena durante lo svolgimento delle prove per l’Ifigenia in Aulide di Euripide, e, come lui, fanno il loro ingresso sulla scena anche Arianna e il Minotauro, Amleto e i social media. Ognuno infatti è l’espressione del sacrificio di singoli che si è rivelato necessario per veicolare l’invidia, per evitare che la violenza potesse dilagare senza controllo provocando il sacrificio di tutti. Non sono bastati oltre duemila anni di progresso per avere la possibilità di cambiare il finale della tragedia, così come la stessa drammaturga dichiara in scena.

Il meccanismo di metateatro adottato dal regista per guidare lo spettatore nel labirinto dell’animo umano abilmente disvelato attraverso i miti e la simbologia è complessivamente ben congegnato, provocando una sorta di destrutturazione della storia secondo un processo letteralmente analitico di ricerca delle radici profonde dell’umana violenza. Le scene della tragedia greca vengono proposte con gli interventi del regista e della drammaturga sul palco, interpretati rispettivamente da Tindaro Granata e Mariangela Granelli. I loro inserimenti, talvolta rivolti al pubblico e talvolta agli attori, rappresentano un’importante guida per evitare che si perda il filo nascosto che lega tutte le citazioni, seppur in alcuni casi si tocchino toni didascalici, con il rischio di perdere il pathos della tragedia originaria. Ad accompagnarli le scene in presa diretta filmate dietro e davanti la parete di fondo della sala prove e trasmesse sullo schermo che troneggia in alto sulla scena. Sebbene in alcuni momenti i molteplici ingredienti del testo e della scenografia non sembrino perfettamente amalgamati, la regia di Rifici riesce a compensare per la sua precisione, grazie alla quale gli attori, quasi sempre tutti in scena, non distraggono il pubblico anche quando restano semplicemente in attesa del loro turno di prova. Precisa anche la definizione dei personaggi, interpretati a tratti in maniera impostata ma senza il rischio di intaccare l’efficacia con cui il testo riesce a toccare le corde più sensibili dell’animo dello spettatore, grazie anche al supporto musicale affidato al musicista Zeno Gabaglio. Ognuno rappresenta efficacemente un aspetto dell’animo umano e della società: dal servo di Agamennone (Giovanni Crippa), voce della coscienza (“Bisognerebbe accettare di essere il più debole degli uomini”) ma impotente, a Clitennestra (Giorgia Senesi), moglie e madre capace di capire quando il sacrificio è necessario; da Menelao (Vincenzo Giordano), ovvero l’invidia dovuta alla beffa subita da Paride col rapimento della moglie, ad Agamennone (Edoardo Rabatto) che simboleggia la bramosia di potere; da Ifigenia (Anahì Traversi), la vittima innocente, fino ad Odisseo (Igor Horvat), che rappresenta l’aspetto razionale e che per questo soffre (“E’ la sciagura di questo mondo la ragione”). Una menzione particolare la merita il coro delle Donne della Calcide, interpretate da Caterina Carpio e Francesca Porrini, le quali impersonano la pancia del popolo, coloro che  “dicono sempre le cose come stanno”; così come ieri erano desiderose di una guerra da raccontare per non annoiarsi, oggi sfogano la propria invidia repressa nei social media, capaci a modo loro di sacrificare vittime innocenti come Ifigenia.

Con questa rappresentazione, Ifigenia torna a parlare all’uomo contemporaneo con grande incisività mostrando quanto la mancanza di un riferimento e di una difesa possa essere deleteria portando fino al sacrificio estremo. E lo fa ripercorrendo importanti tappe del percorso di evoluzione culturale dell’uomo rendendo il teatro, così come lo stesso Rifici ha dichiarato recentemente nella nostra intervista, un luogo di conoscenza. Sicuramente il pubblico di Ifigenia, liberata non vive quella catarsi che gli antichi greci godevano ai tempi di Euripide ma esce dalla sala con la consapevolezza che il finale non sarebbe potuto essere diverso, nonostante i secoli di trasformazione culturale che ci dividono da quell’antico sacrificio.

Info:

IFIGENIA, LIBERATA
ispirato ai testi di Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari
progetto e drammaturgia di Angela Demattè e Carmelo Rifici
regia CARMELO RIFICI
con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio, Giovanni Crippa, Zeno Gabaglio, Vincenzo Giordano, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Francesca Porrini, Edoardo Ribatto, Giorgia Senesi, Anahì Traversi
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
costumi realizzati dalla Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
maschere Roberto Mestroni
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Jean-Luc Chanonat
progetto visivo Dimitrios Statiris
in video Maximilian Montorfano, Jacopo Montorfano e Agnese Chiodiproduzione LuganoInScena
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e Azimut
in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, Theater Chur
con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura
Foto di Masiar Pasquali

Teatro Fabbricone, Prato
22 marzo 2018

Foto di Masiar Pasquali

Teatro Fabbricone (Fondazione Teatro Metastasio)

22 marzo 2018

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