Il 19 novembre ha debuttato al Teatro Lo Spazio “I Diari della guerra” con Elena Arvigo. La pièce teatrale è tratta da “Il dolore” e “Quaderni della guerra e altri testi” di Marguerite Duras. Il tono ricorrente è straziante come la vita ai tempi della guerra che si vuole mettere in scena. C'è la Guerra dunque: la solita (nota agli storici) e quella singolare della donna costretta nella morsa asfissiante degli affetti. Sospesa. In attesa. Si aspettano i deportati francesi ingabbiati nei lunghi e sporchi treni tedeschi. Si rievoca la crudeltà di quello stesso popolo che ha fatto nascere importanti musicisti e poeti. Com'è possibile? si chiede l'autrice per bocca della Arvigo.
Vogliamo riproporlo in occasione dei Giorni della memoria 2022, come spettacolo importante ed essenziale per la Memoria collettiva dell'ignominia nazi-fascista insieme a "Il Diario di Anna Frank" visto e recensito al teatro Belli.
Contenuti
Marguerite Duras: di cosa parla "il Dolore"?
La Duras si confessa. Assitiamo a un racconto biografico perché si ripropone il dramma collettivo di tutte quelle donne “legate” e quello personalissimo per il marito: Robert Altelme, deportato a Dachau. Duras dice che non ha coraggio eppure è donna coraggiosa perché si spoglia e rivela il suo “dolore” e chiamerà proprio così uno dei suoi romanzi più toccanti: “Dolore” e vorrà pubblicarlo molto tempo dopo. Quasi quarant'anni. Ed è doppiamente coraggiosa perché diviene a quel tempo una antinazista insieme a Mitterand.
La Duras messa in scena dalla Arvigo
L'Arvigo restituisce al pubblico l'umore dell'autrice dilaniata dai fatti: sono gesti frenati, senza aria a volte sin dalle corde vocali che è ciò che succede quando il dolore ti succhia il fiato. Sono movimenti costipati dall'assenza di spazio e vita vera. Non c'è il solito: quella “non vita” alla quale l'attrice ci abitua: appasisce ogni cosa. Lei sa: vediamo gesti nervosi che l'amabile attrice ripete dentro un volontario e metodico loop. Il personaggio cerca la sua perduta quotidanietà che adesso è tristemente nuova. Assente di colori. Inciampa a casa dentro quegli stessi passi che prima muoveva sicura. Non c'è l'abitudine, neanche la cerca e in questo Arvigo è fedele al testo e al suo significato più autentico. Cerca mani e le immagina e sospetta ormai morte. Senza vita e sangue vivo. Accanto la terra che tenta di inghiottirle. Quelle mani che lei conosce più di chiuque altro. Quelle mani che sapevano dispensare vita e carezze. Adesso non più. La morte non sa accarezzare. Non possiede il calore necessario.
Arvigo cambia sapientemente ritmo nella recitazione e nei movimenti: è la tecnica dell'attore che nella specie ci dà il senso dell'attesa nevrotica capace di compromettere l'umore ed è proprio del personaggio e dunque della Duras. A Parigi si aspettano i deportati. I più fortunati sono i “soli” perché non devono subire il fallimento dell'attesa ma neanche, a dirla tutta, la gioia evanescente dell'arrivo. Arrivo non di uomini ma di “forme”.
I Diari della Guerra : l'ambientazione parigina della primavera del '45
Dalla platea si può vedere col monocolo di madreperla, una Parigi graffiata dal tempo: rievocata dall'intensa interpretazione dell'attrice. Aiuta, inoltre, l'ottima scelta della colonna sonora. E qui mi viene immediato il pensiero che a quel tempo, le donne intrappolate in quella logorante attesa, avranno certamente ascoltate quelle meravigliose musiche intrise di allegrissima vita. Il suono leggero avrà echeggiato nelle orecchie di chi viveva e moriva sotto il cielo tinto di guerra. Rosso.
Il periodo è la primavera del '45. Si sente un brusio che arriva da lontano. Poi è un urlo che muore breve in gola: Duras lo scrive e l'Arvigo lo esegue. É una processione moribonda di corpi. Non è magrezza: è qualcosa che va oltre e che l'autrice e l'attrice lasciano alla immaginazione dello spettatore che non ha vissuto quell'attroce periodo e condizione. Duras non si sforza di cercare un aggettivo eloquente perché forse non c'è. Qual è l'aggettivo giusto per definire un corpo di ottanta chili che diventa di trentasei? Non c'è probabilmente. Ci sono finti vecchi, finti perché sono giovani. Piangono tutti senza distinzione d'età. Piangono e scendono dai lunghi treni, sorretti per non cadere e qualcuno allora pensa che siano già morti.
I diari della Guerra: Arvigo e la ricerca della Speranza
Nel palco e nella storia, autrice e attrice sono ossessionate dalla ricerca di Robert. I giorni passano uguali, senza vitalità e senza quel coraggio di prima. Non ci si lava. L'unica cosa che resiste viva è la speranza. Tutto è confiscato dalla morte: mani, occhi, corpi. Tutto eccetto la speranza. La Duras non risparmia la Chiesa. Inveisce contro i suoi protocolli sordi e la condanna perché si dispiace della morte naturale di Roosevelt e non si esprime per quella atroce del popolo francese.
L'interpretazione di Arvigo ne "I Diari della Guerra"
Arvigo fonde la sua voce ad arte con la musica ben scelta. Evocativa. C'è un momento importante che non lascia indifferenti e ha il sapore melodico del contrappunto: la musica è soave, allegra ma il tono della voce è cupo, grigio.
Mi piace quel suono acre di piatti rotti. Non so se è un'invenzione registica di Arvigo o se il gesto è raccontato nel romanzo, ma arriva nitido il messaggio della vita che va in frantumi proprio come quella fine porcellana. Cadono in quel pavimento familiare, i compagni e oggetti dei gesti consueti. Quotidiani. L'orologio giornaliero rompe la routine. Non c'è tempo e spazio per il pranzo o la cena. Si saltano gli appuntamenti del rito e anche in ciò si percepisce, attrice e pubblico, come l'attesa sa essere lancinante in taluni casi e quindi in questo. La Duras ha il potere di far vergognare l'essere umano moderno che usa con leggerezza parole come: carnaio e altre. Parole che sono ancora tinte del rosso-sangue. Il carnaio era il luogo infame dove venivano ammucchiati i corpi della vergogna del regime tedesco. Oggi, la stessa parola, si usa per alludere ad un locale troppo pieno di gente.
I Diari della Guerra: la scenografia e la recitazione
La scenografia ha dei profondissimi fondali neri che mettono in risalto gli oggetti di quella casa, che sono bene illuminati e per questo si staccano dal quel fondo scuro. C'è un letto, una lampada, libri. Dunque fa compagnia al personaggio quella presunta normalità casalinga che è tuttavia minacciata dalle raffiche di fucile appena fuori le imposte. La recitazione è attenta e precisa. Non ci sono tentannamenti. Forse qualcuno ma è ben gestito da chi conosce il mestiere. Certe pause sembrano naturali ma succede poche volte quando l'attrice cerca il testo nel grande libro-diario. La dizione non è quasi mai corretta per quanto l'interpretazione intensa: questo mi distrae da una collocazione parigina che per convenzione avrebbe voluta una pronuncia neutra. Educata.
Uno spettacolo assolutamente da vedere, se riproposto: impegnato e per nulla tedioso.
DIARI DELLA GUERRA
18 Novembre – 21 Novembre
con Elena Arvigo
regia Elena Arvigo
regista collaboratrice Virginia Franchi
assistente alla regia Tullia Salina Attina’
disegno luci Paolo Meglio
foto Manuela Giusto