Uscita dalla sagace e intelligente penna di Gianni Clementi, già ammirato per altri testi connotati da attenta ironia e acute osservazioni di particolari all’apparenza insignificanti, ma tali da evidenziare usi, costumi e pregiudizi propri della nostra epoca, I suoceri albanesi – Due borghesi piccoli piccoli racconta in chiave ottimistica un frammento di vita di un gruppo di persone che potrebbero essere tra quelle che assistono allo spettacolo.
Protagonisti della divertente pièce sono Lucio e Ginevra, eccezionale e simpatica coppia (anche nella vita) interpretata dal bravissimo Francesco Pannofino (pare quasi un nomen omen che ne evidenzia la delicata e vibrante umanità) e dalla valida Emanuela Rossi con un affiatamento eccezionale – sicuramente frutto di una crescita insieme – fatto di micro segnali tali da dare un senso di assoluta autenticità. Attori di grande professionalità ed esperienza maturata anche nel campo del doppiaggio le cui caratteristiche meriterebbero un’interessante parentesi per conoscere meglio un mestiere più ampio e variegato di quanto si possa immaginare.
Una coppia qualunque con due attività à la page: politico (di sinistra e quindi progressista) lui anzi consigliere comunale in odore di assessorato… (si può ipotizzare del Comune di Roma con una sottesa ed elegante satira su chi governa una città) e chef in carriera lei con una predisposizione per le eccentricità alimentari, in particolare per la cucina destrutturata e quella molecolare, e una ricerca per le novità salutistiche che mettono in crisi anche le sane bevande della nostra tradizione.
Camilla (un nome che pare quasi una salutare bevanda capace di calmare lo stress…) è il nome dell’unica figlia viziata e superprotetta – impersonata dalla risoluta Elisabetta Clementi, figlia dell’autore – sedicenne studentessa asociale, scontrosa, scorbutica, grezza, selvatica, strafottente, ribelle… e capace di sciorinare il più ‘burino’ turpiloquio salvo poi a trasformarsi nella quintessenza della bontà, gentilezza…
Se si aggiungono l’amica Benedetta erborista in perenne analisi e con una forte aspirazione a non rimanere zitella, un vicino di casa alquanto eccentrico e due azzeccati idraulici albanesi intervenuti per un’urgenza, si ha il quadro dei protagonisti di questa divertentissima storia, banale solo all’apparenza.
Al di là dello svolgersi delle azioni costruite con fine ironia e comunque plausibilmente realistiche tanto da muovere risate di gusto negli spettatori, colpiscono i problemi evidenziati, in primis quello dell’educazione dei figli e del rapporto tra questi e i genitori generato non solo da una differenza d’età e da una forbice generazionale che va sempre più allargandosi, ma anche dalla mancanza di un’educazione con una dose equilibrata di “carota e bastone” (s’intende metaforico a significare la necessità di una severità spiegata e ragionata) con l’effetto di una crescita senza guida contrabbandata per ‘affettuosa libertà’ che finisce con il render meno sicuri e più fragili i figli.
Nelle pieghe degli eventi sono poi messi in evidenza problemi come la solitudine, la mancanza di affetto, l’atavica intolleranza e i pregiudizi verso i diversi siano omosessuali o extracomunitari che hanno invaso la società tradizionale senza una vera integrazione e la prima reazione codina di chi ha sempre predicato tolleranza, rispetto… quando si trova i problemi in casa, rivelandosi così un borghese piccolo piccolo.
Una commedia spassosissima – con un gruppo ben amalgamato di attori guidati con ritmo dall’ottima regia di Claudio Boccaccini – da non perdere per guardarsi allo specchio con intelligente bonomia.