GRACES @ Contemporanea Festival 19: resistere con grazia ai tempi del crollo

Nell’ambito della XVII edizione del Festival Contemporanea19 a cura della Fondazione Teatro Metastasio di Prato, Silvia Gribaudi ha portato in scena GRACES, finalista alla selezione del Premio Rete Critica 2019 (ancora da assegnare) nella categoria “percorso artistico o di compagnia”. Autoironia, armonia e dinamicità gli ingredienti di un’esibizione che ha visto in scena la coreografa insieme a tre ballerini per una performance arricchita da una sapiente drammaturgia attentamente diretta.

a cura di Leonardo Favilli e Alice Capozza

La scena è un cubo bianco vuoto, che attende i corpi dei danzatori Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo e Silvia Gribaudi: entrano uno alla volta a luci ancora accese, nel brusio della sala gremita, il silenzio cala nella platea, uno sguardo al pubblico, in un attimo l’attenzione si concentra sui loro movimenti sinuosi. Disposti su una diagonale nel vuoto bianco spiccano i corpi vestiti di nero, accennano un sorriso complice “welcome, benvenuti, grazie di essere qui” sussurrano, scendono le luci allo schioccare delle dita, e lo spettacolo ha inizio. Dal primo momento il corpo diventa catalizzatore dell’attenzione prima perplessa e poi sempre più divertita del pubblico. Come per la precedente produzione della Gribaudi, R.OSA (che Gufetto ha recensito al Funaro), la danza in scena è arricchita da una drammaturgia precisa: ci racconta con divertimento in pochi gesti semplici, un’originale concezione delle Grazie, GRACES, fatta delle immagini plastiche dei corpi al naturale, che afferma la banalità del fisico, la sua armonia estetica al di là dei canoni del bello, nella piena libertà del movimento non artefatto. Una grazia che si compone nel corso dell’esibizione come fosse un mosaico cui si aggiungono tessere passo dopo passo, sguardo dopo sguardo, gesto dopo gesto.

L’obiettivo non si limita però all’estetica: GRACES è capace di trasmettere alla platea la capacità di accettazione umana del corpo come strumento espressivo, come per le performance in piazza con non danzatori, a cui la Gribaudi non è nuova. La coreografia è cosparsa di piccoli virtuosismi che sembrano improvvisati sul momento, ma tradiscono una grande preparazione dei danzatori, che si muovono all’unisono, ed un’attenzione alle immagini estetiche presentate al pubblico. Talvolta più evidenti e desiderati, talvolta meno ricercati ma presenti, i riferimenti all’arte plastica per antonomasia, la scultura, non mancano a partire dal gruppo delle Tre Grazie del Canova fino alle pose poetiche degli eroi mitologici nei capolavori di Prassitele e Lisippo. Lontani però da ogni ricercatezza intellettuale, i ballerini sulla scena sembrano principalmente divertirsi come sulle note di Vivaldi grazie alle quali esplode una danza gioiosa, accompagnata dagli archi frenetici della musica, mentre i corpi volteggiano come farfalle, ruotano in evoluzioni coprendo l’intero spazio. Non esistono forzature necessarie per non lasciare inoccupato qualche angolo, spingendosi addirittura anche dietro le quinte che diventano parte dello spazio scenico, come se fosse possibile immaginare cosa vi succede.

La drammaturgia della Gribaudi si colora delle espressioni dei volti soddisfatti e compiaciuti dei ballerini, degli ammiccamenti al pubblico, degli sguardi d’intesa, così rari nella danza, eppure così coinvolgenti. La danza contemporanea scende così dal piedistallo della incomunicabilità per farsi linguaggio accessibile a tutti attraverso la sua antitesi, quell’anti-danza che diletta il pubblico fino alle risa. Un nuovo tassello si aggiunge quindi al mosaico: il ballo si trasforma in movimenti ginnici, quasi sgraziati, ossessivi, su un ritmo ripetitivo dalle sonorità elettroniche, a ricordare il battito cardiaco. I danzatori chiedono esplicitamente l’applauso, mostrano la fatica, come fossero atleti il cui sforzo fisico è segno della forza e della resistenza. L’armonia, sempre presente ma mai canonica, della danza è dissacrata definitivamente negli ingressi dei ballerini adornati di fiori, smaccatamente finti: in testa, sotto le ascelle, sul pube infilati nelle mutande, attaccati alle culottes, in bocca. I fiori sono, ironicamente, gettati ai piedi degli attori come per le dive di un tempo che ricevevano mazzi lanciati sul proscenio dagli ammiratori. La comicità prende il sopravvento trasformando i protagonisti in raffinati clown capaci di prendersi gioco di loro stessi. Sempre l’autoironia la fa da padrona a chiusura della prima parte quando l’arte di Tersicore lascia spazio alla inconsueta fisicità di Silvia Gribaudi che intona, peraltro con grande maestria, le note di un’aria lirica. Suoni acuti che lasciano spazio ai sommessi bisbigli e borbottii degli artisti sui significati delle scelte registiche e coreografiche. Un altro momento comico che abbatte il muro della complessità contemporanea: non solo le parole non sono volutamente comprensibili, ma la chiusa è un esemplare “Va beh” della Gribaudi, che taglia definitivamente ogni interpretazione intellettuale, astratta, saggistica e critica.

L’abbondanza, la prosperità delle Grazie è rappresentata con grande divertimento su un walzer viennese, fatto di piroette e salti, tra cui anche la Gribaudi in una figura di danza classica sollevata in aria dai ballerini, ma con il volto atterrito dalla paura e un grido aperto e lanciato tra le risa del pubblico. L’ironia con cui il gruppo gioca non scade mai nella presa in giro, nel cattivo gusto, riesce ad essere divertente e raffinato allo stesso tempo, regalando al pubblico poesia, grazia, riflessione. Non prendersi troppo sul serio non è falsa modestia, non è sottovalutazione ma è sintomo di una profonda sensibilità che può derivare solo ed esclusivamente da una piena coscienza di sé, da una capacità di guardarsi da fuori come spettatori di se stessi. E dalla platea la percezione di questo è netta: in ogni singolo movimento i danzatori sanno esattamente come stanno apparendo e si offrono in un atto di grande generosità. Contro ogni accusa di intellettualismo nella danza contemporanea, GRACES tradisce invece la volontà di avvicinarsi allo spettatore, non in un’ottica ruffiana bensì purista. Obiettivo ultimo quello di recuperare la purezza dei movimenti senza cedere alla tentazione di annoiare con una carrellata artificiosa di figure artistiche.
Come scrivevamo per R.OSA, l’empatia col pubblico è immediata e naturale, non lascia lo spettatore passivo nel buio della sala, lo coinvolge nell’allegria contagiosa del corpo e del movimento, in una democratica accettazione di sé, del proprio corpo, di cui tutti siamo forniti e con cui tutti dobbiamo fare i conti. Anche i danzatori che, seppur mostrando un fisico statuario, si denudano gettando calzini e mutande al pubblico, gridando “siete magnifici” come fossimo ad un concerto rock. Ma la grazia non manca anche in questo frangente e si fa pura nella danza estatica che i tre intrecciano coi loro corpi nudi ed, in questo, appunto, perfetti, illuminati da calde luci di taglio dal basso. Figure nere che si stagliano nel fondale dorato come nell’antico vasellame attico. Di nuovo, per i puristi, torna infine la poetica del corpo umano.

Irrompe infine il jazz di Sing, sing, sing, Benny Goodman, sul quale i ballerini in scena con costumi dorati, scivolano sul piano inclinato cosparso di acqua. Il pubblico non trattiene le mani che battono il tempo e la comunicazione coinvolgente, gioiosa e aperta dei corpi si fa palpabile ritmo tra le fila delle poltrone, dove i danzatori scendono correndo, irrefrenabili e inarrestabili, nella gioia del corpo fonte di vita. E allora la ricetta che Silvia Gribaudi vuole consegnarci per “Vivere ai tempi del crollo” diventa la più semplice e naturale: recuperare con autoironia e una punta di cinismo quell’armonia che ci rende esseri davvero umani. Umani come lo sono stati gli scultori della classicità con la loro sensibilità, ma umani anche come noi spettatori che ancora siamo in grado di ridere di loro e in fondo di noi stessi con la nostra preziosa semplicità.

Info:
GRACES
coreografia Silvia Gribaudi
drammaturgia Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti
danzatori Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo
luci Antonio Rinaldi
direzione tecnica Leonardo Benetollo
costumi Elena Rossi
produzione Zebra
coproduzione Santarcangelo Festival
residenze artistiche di Klap – Maison Pour la danse Marsiglia, Centro per la Scena Contemporanea/Operaestate Festival del Comune di Bassano del Grappa, Orlando Bergamo
con il sostegno di Centro di Residenza Armunia/CapoTrave Kilowatt, Lavanderia a Vapore Centro di Residenza per la danza regione Piemonte, L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale: Centro di Residenza Emilia-Romagna, ARTEFICI – Artisti Associati di Gorizia, Dansstationen, Danscentrum Syd, Skånesdansteater Malmö Svezia
E con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia – progetto di Circuito CLAPS e Industria Scenica, Milano Musica, Teatro delle Moire, Zona K
Progetto realizzato con il contributo di ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche, azione della Rete Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore, coordinata da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
con il sostegno del Mibac
Vincitore dell’azione CollaborAction#4 2018/2019
in collaborazione con Rete Anticorpi, Ater Circuito Regionale Multidisciplinare, Associazione Mosaico Danza/Interplay, Piemonte Dal Vivo, Amat, Arteven, Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, Associazione Artedanzae20, Teatro Pubblico Pugliese, C.L.A.P.Spettacolodalvivo, Associazione Armunia, Fondazione Toscana Spettacolo Onlus
Spettacolo selezionato alla Piattaforma della danza italiana NID Platform 2019 / Performance selected for NID Platform 2019
Immagine di copertina ©Giovanni Chiarot – Zeroidee
Icona © Matteo Maffesanti

Teatro Metastasio, Contemporanea Festival 19
22 settembre 2019

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