Il Teatro Stanze segrete ci ha proposto dall'8 al 12 dicembre uno spettacolo che avevamo visto e recensito nell'edizione Fringe 2019. La pièce è di Giorgio Cardinali diretto da Caterina Mannello e scortato dalle musiche dal vivo di Francesco Ciccone.
Gli Arrovesciati è la cronaca leale di un fatto incredibile tanto da sembrare partorito dalla penna di un fantasioso drammaturgo o autore di favole per bambini.
Storia irta di miserie umane intente nel quotidiano a sbarcare il lunario. Tutto accade in un modesto Agorà dove barattare poche e umili mansioni e dove, oltre la cinta muraria, la terra è l'unica fonte di lavoro a tutela di quel residuo di dignità oltraggiata dalla fame. C'è un rapporto primigenio e genuino con la Terra, assolata e feconda, che accoglie desideri umani e genera timori esistenziali nel rapporto reverenziale col barone che alla lontana, col dovuto distacco e col suo nerbo di bue: domina su tutto e tutti. Oggetti e soggetti appartengono solo all'aristocrazia.
Una dittatura insolente che affama e riduce il subalterno allo status di pezzente perenne privo di quel diritto elementare di replica e riscatto sociale depredato già alla nascita. Economia “unta” perché lubrificata d'ulivi che producono olio viscoso e coltivati col sudore, anch'esso bisunto.
Non è difficile avere idee, quella che manca è l'immaginazione. Allora si sovverte la logica. Si asseconda la stramberia. Si fomenta la follia. Ed è questo che cambia il mondo tutto, compreso quell'angolo dimenticato di vita sulla quale domina l'ombra delle baronie tramandate e secolari.
Ecco perché abbiamo esordito asserendo che la storia non è credibile e sembra visionaria, romanzata. Ma tutto è accaduto per davvero e viene rievocato qui per il piacere del pubblico intervenuto. Gli Arrovesciati è il racconto di uno sciopero al contrario che ribalta gli stereotipi annoverabili alle periferie del mondo e al nostro bistrattato sud Italia del dopoguerra.
Duecento contadini anziché incrociare le braccia, prendono pale e picconi nell'ottobre del 1950 e diventano una forza al servizio di un unico sogno chiaro come una realtà tangibile: costruire la strada dove adesso passa la vecchia mulattiera. Non c'è combutta o comunque è più forte lo scopo nobile. La strada crea il varco per il commercio, per il lavoro e per la dignità. Per realizzare la strada occorre passare però per le terre del barone, per i fratelli ulivi, per la legge dei codici scritti, per la paura e per il coraggio. In realtà non è legale. Gli uomini sono mariti e ancora prima padri: i Totò della comunità (i figli) hanno urgenza di futuro e formulano domande e si danno risposte. Gino Mursicchio è il padre icona, dà le sue risposte sottovoce al complicato questionario mescolate ai dubbi che nasconde abilmente come deve fare ogni buon genitore. Bisbiglia protezione e sicurezza al figlio che lo tira per il lembo logoro della giacca e affastella quesiti su quesiti. Una pila alta, più alta del piccolo uomo.
Quando Gino non ha le risposte le trova, altre se le inventa fino a crederci. Tutta la comunità segue Gino: è il capo che non urla ma sa tenere in vita il sogno. E' un'ovazione di fiati. Tutti gli credono anche quando lui non crede più in se stesso. Le donne preparano i fagioli raccolti dai bambini e sfamano gli operai del neo cantiere, fronteggiano i carabinieri. Sono lo scudo rosa della rivolta serafica.
Lo sciopero arrovescio ha legato tutti come una potente colla. Ma Don Antonio, il barone e padrone non ci sta e tuona dal piano nobiliare del palazzo. La terra è sua. Per i contadini, invece, la terra è di tutti. La comunità fa istanza allo stato che come al solito si fa sordo. I Pezzenti sono figli di quella stessa terra che li ha amorevolmente partoriti, e devono abbattere gli ulivi. C'è un rapporto carnale tra l'albero e l'uomo. Parto gemellare. Figli della stessa madre senza sperequazione d'affetti. L'accetta fende il tronco e interrompe la vita dei giganti della montagna (e qui sentiamo forte l'eco pirandelliano preso in prestito); si accasciano senza rumore sulla terra stanca e nuda pronta ad accoglierli di nuovo come il grembo di una madre che aspetta il figlio tutta la vita. Il sangue sbava sulla lama fredda ed è un dolore lancinante per chi accetta e per chi è accettato. Un sacrificio che pare inevitabile per il progresso di quella piccola comunità che ha bisogno di sfamare figli e dignità.
Intervengono i poteri forti: la chiesa scoraggia in latinorum, i carabinieri si fanno sentire con le armi, Alcide De Gasperi seda la rivolta con le parole, ma gli operai guidati dall'iconico piccolo grande Gino Mursicchio resistono: dormono e si svegliano in cantiere che intanto diviene casa. Sono determinati a finire quella maledetta e benedetta strada.
La via del sogno, lunga solo due chilometri ma in essa c'è inclusa tutta la vita anzi tutte le vite. Allora interviene il prefetto che vuole comprare l'arresa degli arrovesciati, ma il popolo Pezzente rifiuta l'elemosina e chiede ancora il sacro e inviolabile lavoro. E il padre continua a dare forza al figlio anche quando quella forza scema, si indebolisce sotto la scure della stanchezza e dell'incertezza. Il domani è fosco. I figli, i Totò, vogliono indossare il vestito dell'eroe del padre coraggio e intanto il barone schiaccia i miserabili verso il basso. La strada tuttavia è finita e viene collaudata. Il piccolo Gino adesso è un gigante. Mursicchio non deve stare più “zitto e buono” servo dei padroni. Non c'è furto. Non c'è combutta. Fare la strada è stata cosa buona e giusta…
La pièce è interpretata con grazia da Giorgio Cardinali che dosa la medesima misura e forza nei tanti personaggi che passano per lo stesso corpo e corde vocali. Ci sembra giusto quando impersona l'umile Gino Mursicchio, sinonimo di bonomia, ma quando porta in scena altri personaggi come (uno per tutti) il tracotante barone, avremmo preferito toni più gravi e iracondi. Mantiene una recitazione flemmatica che non sempre si incolla con certi lineamenti caratteriali del personaggio in vita.
Non sempre è sufficiente a teatro un movimento diverso dell'anca come qui accade quando è il turno di Totò per dire al pubblico che l'attore ha cambiato personaggio. Bisogna cambiare registro, scalare marcia e metterci quel piglio che ridesta lo spettatore dalla soporifera poltrona. Il vantaggio al Fringe in quel 2019 fu la seduta scomoda… Il Teatro Stanze segrete è più accogliente. Potrebbe essere una scelta registica quella di mantenere un livello costante, ma il rischio è quello di rendere lo spettacolo monotono e perdere l'attenzione necessaria della platea. Delizioso l'accompagnamento musicale per violino del silente Francesco Ciccone. Pièce comunque meritevole di lodi: coraggiosa come coraggiosa è stata l'impresa dei duecento e cocciuti picconatori.
Info:
Gli Arrovesciati
Teatro Azione
di e con
Giorgio Cardinali
musiche originali eseguite dal vivo
Francesco Ciccone
regia
Caterina Mannello