Giornata contro l'omotransfobia @ Teatro delle Spiagge: in scena la Romanina e Quando ero una Boy

Siamo stati al Teatro delle Spiagge per il consueto appuntamento annuale della Giornata Internazionale contro l’omo-bi-transfobia; evento che da molti anni la Compagnia Teatri d’Imbarco porta avanti ponendovi sempre una grande attenzione. Sono andati in scena “Romanina, nascita di un cigno” regia di Giovanni Guerrieri, scritto da Luca Scarlini con Anna Meacci, e “Quando ero una ‘boy’” di Antonella Monetti, con Dolores Melodia, Nicole De Leo e Cristian Palmi, del quale abbiamo avuto l’occasione di vedere un piccolissimo estratto l’anno scorso. All’entrata una mostra fotografica e una rassegna di articoli di stampa dedicati alla Romanina, al secolo Romano Cecconi: una delle prime donne trans in Italia ad aver cambiato sesso. Prima dell’inizio degli spettacoli è intervenuto Andrea Ciulli, consigliere del Quartiere 5, per ricordarci il grande lavoro svolto dal Teatro delle Spiagge su queste tematiche e quanto ancora occorra fare visto il clima nel nostro Paese con l’attuale governo.

a cura di Giulio Meoni e Michele D’Ambrosio

Romanina, la nascita di un cigno

Si respira aria familiare. Una scena scarna, quasi vuota se non per alcune paia di scarpe disposte sulle due diagonali del palco. Scelta che va a ridurre ulteriormente lo spazio scenico del piccolo Teatro delle Spiagge, punto di riferimento culturale della periferia fiorentina. Un solo paio di scarpe sta nel mezzo del palco e diverrà datore di lavoro, sindaco, giudice, brigadiere e cliente: tutti interpretati con carattere ed ironia, se pur con qualche sbavatura nella recitazione, dall’intensa Anna Meacci. Le luci definiscono spazi ben delimitati e piccoli, come tante stanze della memoria. Una scelta di luci e spazi che indubbiamente creano un’atmosfera intima. Lo spettatore è invitato ad entrare in questa storia come se davvero entrasse in casa di colei che, nata come Romano Cecconi all’anagrafe è diventata, finalmente, Romina. Per tutti la Romanina. Sin dall’infanzia in collegio sa già di essere una Diva: si paragona ad Eleonora Rossi Drago, celebre attrice di teatro e televisione di quegli anni. Appena si trasferisce a Firenze, forte della libertà che le ispira la grande città, così diversa dal paesino della Garfagnana dov’è nata e creciuta, sperimenta il suo essere donna. Inizia a travestirsi, ottiene un aspetto che le si confà o che almeno le è più vicino. Inizia a definirsi, con spregiudicata ironia, la “Donna Pipistrello, metà topa e metà uccello”, titolo che diverrà anche il nome di una docu-intervista realizzata dal regista Matteo Tortora in collaborazione con il giornalista Francesco Belais presentata in esclusiva al Florence Queer Festival del 2015. Si unisce al Circo del Gratta dove si esibisce da Diva quale si sente e quale è: la città la ama, le istituzioni molto meno. La sua carriera al Circo termina a causa di alcune accuse da parte di alcuni benpensanti che la incolpano di traviare le giovani menti. Decide dunque di trasferirsi a Parigi per lavorare nel famoso locale Chez Madame Arthur ed assapora la vita bohémienne ma anche l’invidia delle colleghe; la nostalgia di casa è tanta ed allora decide di tornarci ma “..con du’ puppe così..” grazie alla scoperta degli ormoni. Il ritorno a Firenze però non è dei più sereni, come afferma anche lei: “..per quelle come me ci sono due strade: lo spettacolo ed il marciapiede..” ed avendo già tentato con il primo ripiegò sul secondo. La Buoncostume non le dà tregua, multe su multe così si accumulano. Ad un processo dove si era recata come vittima a causa di una rapina subita divenne imputata: le venne imposto di vestirsi da uomo, l’obbligo di firma ed il coprifuoco che lei sistematicamente non rispettò mai. Arrivò anche il carcere, sia quello femminile che quello maschile, ma anche con l’ora d’aria negata, sa ricavarsi il suo anelito di libertà. Poi l’ordine di confino. Prima che fosse trasferita riuscì a scappare a Losanna per poter affrontare la transizione tanto agognata, pagata con i risparmi di una vita, anche se non furono abbastanza. Le ultime quattrocentomila lire gliele portò personalmente la madre, che con questo gesto di pace le diede nuovamente la vita, quella che Romina aveva sempre desiderato. La resa scenica del momento della rinascita è davvero commovente: un’emozionante ed emozionata Meacci sdraiata su di una pelliccia con in mano una tazzina di té ed una pioggia di petali di rose rosse. Dopo l’operazione ed il ritorno in Italia il confino non fu più possibile da evitare. Fu destinata a Volturino, un paesino della provincia di Foggia, psicologicamente ed emotivamente non preparato ad ospitare questa bellissima donna alta, bionda in minigonna e stivali di pelle. Fu la loro Bocca di Rosa. Ma dal crare scandalo in caserma, con il sindaco e nelle strade dove veniva gentilmente definita “zucculona”, passa ad essere la consigliera di bellezza di tutte le donne del paese. È anche grazie a persone come lei se oggi qualcosa è cambiato nella società, se questo stigma è stato scalfito e se possiamo paventare qualche forma di apparente normalità. È il coraggio di queste persone, strane, imbarazzanti e da tenere ai margini, che ci ha permesso e ci permette tutt’ora di vincere le guerre. Loro con la loro passione per la vita riescono a farci capire che la vera prigione non è quella data dalle grate e dalle inferriate, ma dall’anima.

Da segnalare il ruolo dela colonna sonora. Le musiche scelte ci portano immediatamente in un’epoca fuori dal tempo e dallo spazio, che ci sembra lontanissima ma che non lo è poi così tanto; gli anni ’40 e ’60 di un Italia che ancora deve riprendersi dalla Guerra ma che non ha perso la capacità di godere dei piccoli attimi di felicità. Questo sentimento si sposa perfettamente con il modo di vivere della Romanina: l’aver subito angherie e violenze, le persecuzioni della Buoncostume, gli scherni di giudici e tribunali e perfino il confino non le hanno mai tolto la prorompente voglia di vivere che l’ha sempre contraddistinta. Ha sempre saputo ciò che voleva ed ha sempre combattuto per averlo, contro tutto e tutti. La chiusura viene affidata alla meravigliosa voce di Mina in Fragile, canzone che sembra scritta per raccontare la storia di Romina Cecconi, specialmente nella prima strofa:

Affittasi vita, molto bella, completa di tutto, amore e guerra, radici nel vento e calci in faccia nel senso più vero, che male fa.”

Quando ero una “Boy”

Dopo esserci ristorati abbiamo assistito a “Quando ero una ‘boy’” nato da un primo studio di Beatrice Visibelli. Una coproduzione di Teatri d’Imbarco di Firenze e il nuovo teatro Sanità Napoli. Ombrellini, piume e pajettes fanno da padrone a questo spettacolo. “E’ chiù bell a libertà!” (E’ più bella la libertà) ci grida Dolores Melodia con il suono inconfondibile della sua fisarmonica. Siamo catapultati nei primi decenni del secolo scorso, il fascismo comincia a muovere i primi passi. Anna Fougez, interpretata da Nicole de Leo, è una soubrette, ballerina, donna di spettacolo nonché la prima sciantosa. La Fougez capisce che per fare carriera e restare sulla cresta dell’onda bisogna ingraziarsi il regime. “Era in voga essere fascisti” ci racconta la regina dello spettacolo. E’ la prima ad inserire la scala, le piume ed altri oggetti divenuti simboli del Varietà. Nelle sue esibizioni ama circondarsi di ballerini, rigorosamente gay poiché più aggraziati e soprattutto “..con un sedere più altro rispetto a queste quattro sciacquette!”. “Perché sempre con la zappa in mano?” chiede Anna al pubblico, “..un vero uomo non può essere danzatore?” Scambi di battute e di quadri teatrali in questa storia raccontata, coreografata e suonata da questi tre bravi artisti; un lavoro che sicuramente è in crescendo. Ma il pezzo forte degli spettacoli della sciantosa sono proprio i suoi “boys” che spesso fa esibire anche en travestì. Uno fra tutti, Fefè, è il preferito poiché anche il più bello e pertanto degno di esibirsi assieme alla Fougez vestito da donna con il nome di Madame Fleurì. Una sera tra il pubblico fascista, un generale si innamora dell’ombra di Fefè mentre si esibisce dietro ad una tenda vestito da donna. Fa di tutto per capire chi è ed una volta venuto a scoprire la verità decide di confinarlo. Si rende però conto che in questo modo confina anche il suo amore, perché nonostante le percosse che gli ha inflitto, i suoi occhi sono ormai impressi nella sua mente. Il Regime non gradisce, confina alle Tremiti il Generale che però fa confinare lì anche il suo Fefè. Chissà se nelle notti burrascose del mare Adriatico o quando tira il forte favonio in estate si sente ancora Fefè esibirsi per il suo amato. Uno strano intreccio e una strada poco battuta quella intrapresa in questo studio teatrale. La traccia di un solco in quello che è avvenuto esattamente un secolo fa: l’ascesa del regime fascista e la sua campagna contro l’omosessualità. Strano e paradossale che a distanza di cento anni ci ritroviamo di nuovo un regime che attenta a tutto quanto è stato conquistato in tema di diritti, ostacolando la libertà. C’è da sperare che Fefè interceda nuovamente in sua difesa. E come lui anche gli altri che hanno subito lo stesso trattamento così come raccontato nel libro “La città e l’isola, Omosessuali al confino nell’Italia fascista” di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio edito da Donzelli Editore. Un testo che voigliamo consigliare per evitare che tali esempi di vita e di libertà non vadano perduti.

ROMANINA, LA NASCITA DI UN CIGNO

di Anna Meacci e Luca Scarlini

con Anna Meacci

tratto da “Io, la Romanina. Perché sono diventata donna” di Romina Cecconi

regia Giovanni Guerrieri

una produzione Teatri d’Imbarco

QUANDO ERO UNA “BOY”

di Antonella Monetti

con Dolores Melodia, Nicole de Leo, Cristian Palmi

primo studio a cura di Beatrice Visibelli

produzione Teatri d’Imbarco / Nuovo Teatro Sanità di Napoli

Teatro delle Spiagge Firenze

17 maggio 2019

In occasione della Giornata Internazionale contro l’omo-bi-transfobia

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