Al Teatro Cantiere Florida in scena Alex Cendron unico interprete dei tre monologhi che compongono FUCK ME(N), Studi sull’evoluzione del genere maschile dei drammaturghi Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato, Roberto Traverso, nel foyer la mostra fotografica ME(N), un progetto di Alex Cendron a cura di Arianna Novaga.
Ci accolgono gli scatti di Laila Pozzo del corpo nudo di Cendron, immerso in uno spazio grigio, appoggiato in bilico precario nella gabbia di ferro, che sarà scenografia dello spettacolo: la nudità fragile e sensuale, forma edonistica – e un po’ narcisista – è un preludio di questo Fuck me(n) che ci aspetta nel buio della sala. L’attore nudo solo in scena immobile sdraiato su un sottile ferro scuro attende l’ingresso del pubblico, lo illumina la linea di un faro bianco che ne fa intuire le forme, di sottofondo una musica lugubre. Come una sveglia mattutina si desta dalla sua posizione, quasi mortuaria, si veste con giacca e cravatta, per dare inizio allo spettacolo.
Il primo monologo di Giampaolo Spinato apre il trittico: un volgare professore universitario, boss della sua piccola e squallida realtà, cinico rappresentante del potere senza scrupoli, che fa del sesso becero e irritante la propria forza dominatrice sul genere femminile. Si muove nella struttura precaria, sale, si appende, si siede, salta, mentre inonda il pubblico di parolacce e offensivi appellativi rivolte alle sue stedentesse, vogliose zoccole sciacquette provocanti. Lui profittatore depravato erotomane affonda i denti, carnefice e vittima di se stesso e della sua maschera.
Buio. e Cendron comincia svestirsi per rimanere in canottiera da boxer per portare in scena il secondo personaggio: un padre e marito carico di rabbia e sensi di colpa, fanatico della forza fisica, esplicitata in un’adorazione ossessiva per gli incontri storici di pugilato. I racconti eccitati dei match di Mohamed Alì sono mezzo di educazione alla vita da duro per il figlio Nick, mentre il dialogo-scontro con la moglie è rappresentato con stacchi di luce dove il protagonista in piedi di lato carica il proprio odio, il bisogno di rivalsa e affermazione di sé contro una donna che gli addossa le colpe di comportamenti violenti del figlio. La storia sembra scendere nelle viscere perverse della violenza domestica, della scarica cieca di sangue contro la moglie.
Ancora lo stesso meccanismo di “messa a nudo” ci conduce al terzo monologo, quello di Roberto Traverso, ispirato alla triste e drammatica cronaca di un padre che lascia il figlio nell’auto rovente del parcheggio. Una confessione lenta di un padre arreso al destino, annientato dalla colpa, l’infelice verità nitida ma disdetta fino alla disperata sentenza, sempre in dialogo con la donna che lo ascolta.
Alex Cendron, si spoglia via via restando metaforicamente esposto e fragile, fino all’immagine conclusiva, in cui si rannicchia, vinto, in posizione fetale. La carne nuda è manifestazione esplicita del percorso sensoriale in scena in modo anche fin troppo didascalico.
I tre monologhi definiscono lo spettacolo nel progressivo ritratto di un dolore celato e mal riposto, un crescendo che termina in una spietata confessione di inadeguatezza difronte alla vita. Tre antieroi, tre vite segnate da una ineluttabile debolezza: le paure, ossessioni, incomprensioni diventano delirio e assoluzione di uomini schiavi dei propri pensieri e delle proprie perversioni e lesioni.
Un ritratto impietoso e cupo del genere maschile, o forse del genere umano: un uomo involuto, volgare, violento, arreso, colpevole. Il sottotitolo ci appare tradito: dov’è l’evoluzione del genere maschile in questa rappresentazione? Dov’è l’introspezione e la capacità di uscire dallo stereotipo, il riscatto di un uomo nuovo, maturo, consapevole, capace di vivere nel dialogo e nella compenetrazione con il prossimo, uomo o donna che sia?
Forse la visione femminile della debolezza maschile ci ha reso giudici severi di tre uomini dipinti come vittime in cerca dell’assoluzione e del perdono. Forse avremmo dovuto ascoltare con maggiore neutralità e compassione questo tentativo di indagine sul maschio contemporaneo.
È in corso una crisi della mascolinità, nata specularmente alla emancipazione della donna. Che cosa significa essere uomo oggi? La presentazione di Fuck Me(n) si pone una domanda davvero poco diffusa. A differenza della riflessione esistente nel mondo del femminile, grazie anche al movimento femminista. È di capitale importanza intraprendere un percorso di consapevolezza che deve coinvolgere uomini e donne se si vuole comprendere meglio non solo se stessi o i rapporti di coppia, ma la società in generale. Ecco perché lo spettacolo ci aveva incuriosito e interessato.
La rappresentazione cupa e vittimistica che ne esce non risponde alla domanda. Arroganza, rabbia, tradimento, i sentimenti portati alla scena da Fuck Me(n), sono mal gestiti dai tre protagonisti fino a diventare aggressivi e riferiti comunque alle donne. La nostra società non abitua il genere maschile ad interrogarsi, non fornisce le competenze emotive. Forse proprio per questo la ricerca attorno a questa domanda sembra così ardua: “è da femminucce essere confusi e piangere”. Un uomo ha bisogno di una donna per sentirsi un uomo. Questo è quello che la società ci insegna: “se scopi sei figo, se no, sei uno sfigato”. In questo troviamo una totale condivisione con il mondo femminile la cui realizzazione si deve concludere con un buon matrimonio. Ma per superare questa costrizione mentale e concreta la donna lotta dall’inizio del secolo e ancora ha molta strada da fare. L’uomo? L’uomo che lotta per affermare se stesso, al di là del figo e del virile, dov’è? Certo non ci aiutiamo, uomini e donne: imperterriti regaliamo bambole alle bambine per giocare alle mamme, e ruspe e meccano per diventare ingegneri ai maschi. E ogni giorno assistiamo ad una continua regressione in questo senso: basta fare zapping in tv o leggere i commenti omofobi e misogeni su un social qualunque.
Siamo ancora lontani da una realizzazione piena nel rispetto reciproco delle differenze e delle uguaglianze dei generi, dalla comprensione reciproca, dall’accoglienza dei desideri e aspirazioni della femminilità e della maschilità. Con lo spettacolo Fuck Me(n) ci rendiamo conto che la sensibilità di chi assiste è determinante, quanto quella di chi lo ha scritto, diretto e interpretato. Tocca un tema aperto. Sensazioni, disagi, rabbia e riflessioni che suscita, dipendono dagli occhi di chi guarda.
FUCK ME(N) Studi sull’evoluzione del genere maschile
di Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato, Roberto Traverso
con Alex Cendron
regia Carlo Compare
da un’idea di Renata Ciaravino
musiche di Paolo Coletta
produzione Festival Mixitè, Dionisi Compagnia Teatrale
Teatro Cantiere Florida
1 febbraio 2019