Per la prima volta la Fondazione Teatro Metastasio di Prato ha dedicato spazio alla coppia di autori, attori e registi Elvira Frosini e Daniele Timpano, fondatori e membri dell’omonima compagnia teatrale. In attesa di poterli vedere anche a Lastra a Signa al Teatro delle Arti (replica il 15 marzo de Gli Sposi), al Teatro Magnolfi Nuovo hanno proposto (preceduti dalle consuete Piacevoli conversazioni col pubblico) due dei loro testi più riusciti, Aldo Morto e Acqua di colonia, entrambi vòlti a smuovere le coscienze su pagine oscure e controverse della nostra storia recente: il rapimento di Aldo Moro e le campagne coloniali degli italiani in Africa. Una riflessione scomoda e complessa che non si esaurisce nei 220 minuti totali di spettacolo dopo i quali il pubblico continua ad interrogarsi sulla moltitudine di stimoli vissuti in platea.
Non c’è niente di cui vergognarsi nel pretendere di parlare di storia moderna e contemporanea senza averla vissuta sulla propria pelle. Sembrano essere partiti da questo assunto Elvira Frosini e Daniele Timpano quando si sono cimentati nella scrittura e messa in scena dei testi proposti al Magnolfi di Prato dal 28 febbraio al 3 marzo. Pertanto non c’è da aspettarsi né un “nostalgico” sguardo al passato perché “si stava comunque meglio prima”, né tantomeno un rifiuto totale di un ieri opprimente ed umiliante. Sono ritratti storici quelli che prendono forma, mescolando uniformemente l’analiticità cubista di Picasso con il cromatismo esasperato di Pollock. E il compito di elaborare una sintesi tra i due è delegato al pubblico ed ai suoi vari piani emotivi che dopo essere stati risvegliati e stimolati hanno bisogno di dialogare e scontrarsi. Infatti, se non vissuti, i fatti sono inevitabilmente filtrati dalla lente della propria coscienza.
Frosini e Timpano, sia in coppia sia singolarmente, sembrano divertirsi nella provocazione, funzionale a mantenere alto il livello d’attenzione del pubblico, considerando la durata non trascurabile di entrambi gli spettacoli. In Aldo morto l’attore apre improvvisamente con una sintesi “social” di quel 1978, anno del rapimento e dell’uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana, fatta di hashtag truci che sfiorano lo splatter, senza soluzione di continuità. I movimenti concitati e i ritmi di recitazione molto sostenuti tendono le corde emozionali dello spettatore, che Timpano si diverte a pizzicare passando da una citazione ad un contributo musicale o vocale prima ancora che la vibrazione della singola corda si sia esaurita, fornendo allo spettatore le note di una sinfonia difficile da ricomporre. Del resto, però, se finora non sono riusciti a raccontare la verità né giornalisti, né giudici, né storici e politici, perché dovrebbe riuscirci un teatrante?
La retorica di questa domanda risuona quasi assordante in Acqua di colonia dove addirittura il presupposto di partenza è che “non sappiamo niente” di una storia che sembra scritta nel nostro passato con l’inchiostro simpatico. Al teatro al massimo spetta il compito di riscaldare le parole per farle riemergere in un ordine che non deve necessariamente rispondere alla logica del pensiero comune. L’aperitivo serale, in un lieve attacco di sindrome NYMB (“Not In My Backyard”), diventa pertanto occasione per scontare la pena di uno spregiudicato colonialismo iniziato agli albori dell’Unità d’Italia e sfociato nel bieco nazionalismo fascista. Quando a scrivere la storia sono i vincitori, non importa che dietro un venditore di accendini o di una ragazza africana sul palco (Rebecca Madou Meokoba) ci siano delle storie: l’Africa, terra di conquista e di risorse, è fatta solo di luoghi comuni da deridere e da esaltare per far capire che, in fondo, non siamo poi così ignoranti. A quel punto, come avviene per Rebecca, una persona può anche essere accompagnata fuori e sostituita da un peluche di orango.
Entrambi gli spettacoli constano di una struttura precisa che permette di distinguere due parti: nella prima il testo prende vita come in una prova preliminare fatta di aggiustamenti e correzioni, immaginandosi la presenza degli elementi sulla scena; la seconda, invece, costituisce l’esibizione vera e propria che non vede un significativo cambio di registro né nella recitazione né nei ritmi. A scandire questa netta suddivisione sono sapientemente utilizzati contributi musicali e luci (curate da Dario Aggioli e Marco Fumarola per Aldo Morto e da Omar Scala per Acqua di colonia): statiche e ancora soffusamente accese sul pubblico nell’introduzione; più dinamiche e controllate nel corpus principale. In una scenografia molto scarna che si arricchisce di oggetti in ordine funzionalmente sparso i diversi tagli di luce hanno aiutato nel districarsi tra un passaggio e l’altro, consentendo agli occhi di recepire la repentinità e allo spettatore di predisporsi mentalmente ad un nuovo stimolo.
Gli attori fanno un uso molto accorto ed accurato degli spazi disegnando delle geometrie sul palcoscenico che costruiscono passo dopo passo forme e personaggi, distribuiti, con una disposizione a tratti disordinata, su quegli “strati di memoria” di cui siamo fatti ed evocati da Elvira Frosini durante le Piacevoli conversazioni col pubblico. Vagando in questo panorama così stratificato si capisce come mai per l’allora quattrenne Daniele Timpano Aldo è sempre e solo morto e quindi immutabilmente immortale per lui così come lo è nell’immaginario collettivo nazionale. Ma se l’evocativa stella a 5 punte, simbolo delle BR, diventa icona di una realtà smaccatamente capitalistica come la Virgin, come può scattare l’automatica nostalgia per un passato in cui la spensieratezza filtrava le brutture degli anni di piombo? La risposta è provocatoria: come la città nella canzone di Gaber era mendacemente bella e grande, Timpano ironizza sugli anni Settanta in cui le ideologie erano ancora molto forti in preparazione però di un’involuzione per cui gli inni e gli slogan si sono ridotti alle canzonette di Eros Ramazzotti e lo spirito rivoluzionario si è talmente edulcorato che oggi le ex-BR pubblicano testi supportando quel capitalismo editoriale, un tempo nemico giurato.
Con lo stesso spirito anche in Acqua di colonia l’ironia la fa da padrona riuscendo a strappare anche qualche risata grazie al gioco di caricature e allo spirito di revival che permette di riscoprire inaspettati motivi ed episodi, sconosciuti ai più dei presenti, per la maggior parte ancora in età scolare. Elvira Frosini appare la vera regista sul palco che riesce a condurre il gioco e ad attirare l’attenzione anche durante i suoi sapienti silenzi con un’apprezzabile mimica. Ed il suo compagno di palco è molto abile nel rendere funzionale, in entrambi gli spettacoli, le sue lievi balbuzie e goffaggine al fine di allontanare il rischio di diventare retoricamente drammatici e mesti quando si parla di passati scomodi, talvolta perciò dimenticati.
Parzialmente appesantiti dalla ridondanza di informazioni e stimoli forniti al pubblico, e dalla conseguente durata, Aldo morto e Acqua di Colonia hanno sicuramente il merito di affrontare temi scottanti mantenendosi in equilibrio sul piano dell’ironia grazie agli interpreti, capaci di reggere costantemente un ritmo piuttosto accelerato. A fronte di questo, però, riteniamo che troppo del finale lavoro di sintesi sia demandato allo spettatore che così rischia di restare schiacciato dal disordine delle tessere musive con le quali deve provare a ricostruire la storia. E così nella coscienza di gran parte del pubblico gli oggetti sparsi sul palcoscenico nel finale di Acqua di colonia o il modellino telecomandato della R4 rossa in Aldo Morto restano privi del loro vero significato: ancora una volta abbiamo preferito ipocritamente lavarci le mani con acqua di colonia per non sentire la puzza del marcio che c’è non solo in Danimarca ma anche nel nostro paese.
ALDO MORTO
spettacolo vincitore Premio RETE CRITICA 2012, segnalazione speciale Premio IN – BOX 2012, spettacolo finalista Premio Ubu 2012 come “migliore novità italiana”, premio NICO GARRONE 2013 per il progetto speciale “Aldo morto 54”
testo, regia e interpretazione Daniele Timpano
disegno luci Dario Aggioli e Marco Fumarola
collaborazione artistica Elvira Frosini
aiuto regia Alessandra Di Lernia
oggetti di scena Francesco Givone
registrazioni, editing audio Marco Fumarola, Marzio Venuti Mazzi
elaborazioni fotografiche Stefano Cenci
progetto grafico Antonello Santarelli
uno spettacolo di Frosini/Timpano
produzione Gli Scarti, Kataklisma teatro
con il sostegno di Accademia degli Artefatti, Area 06
in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi
si ringrazia Cantinelle Festival di Biella
foto di Laila Pozzo, Claudia Papini
Teatro Magnolfi Nuovo, Prato
28 febbraio 2019
Finalista Premio Ubu 2017 come miglior nuovo testo italiano, Selezione Eurodram 2018
testo, regia e interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
consulenza Igiaba Scego
voce del bambino Unicef Sandro Lombardi
aiuto regia e drammaturgia Francesca Blancato
scene e costumi Alessandra Muschella e Daniela De Blasio
disegno luci Omar Scala
progetto grafico Valentina Pastorino
uno spettacolo di Frosini/Timpano
produzione Gli Scarti, Kataklisma teatro
con il contributo produttivo di Romaeuropa Festival, Teatro della Tosse, Accademia degli Artefatti
con il sostegno di Armunia Festival Inequilibrio
si ringrazia Teatro di Roma, C.R.A.F.T. Centro Ricerca Arte Formazione Teatro
foto di Laura Toro, Lucia Baldini
Teatro Magnolfi Nuovo
2 marzo 2019