E’ andato in scena al Teatro della Limonaia all’interno della rassegna Sesto mondo UN OMBRELLO ROSA A KABUL regia di Andrea Bruni, con Alessia de Rosa e Ciro Masella, musiche originali di Pejman Tadayon. Il racconto di una vita normale, come quella di tanti di noi, equilibristi ordinari del quotidiano, si intreccia col “grande fiume della storia”. Nell’agosto 2021 gli USA lasciano l’Afghanistan, il paese precipita in un nuovo Medioevo, la sorte di uomini e, soprattutto, donne è in balia di eventi fuori controllo. Un numero di telefono e un contatto con l’Italia, una lista di 32 persone da far espatriare e un ombrello rosa, tessono un filo debole ma tenace che unisce mondi lontanissimi e tenta l’impossibile.
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UN OMBRELLO ROSA A KABUL: immagini da un mondo lontano

La scena scarna, una scrivania, un divano e una lampada, sullo sfondo un grande quadro che svela presto la sua natura di schermo su cui prendono vita immagini da un mondo lontano, incomprensibile visto da occidente. Alessia de Rosa è Francesca una donna che lavora: scrive mail, gestisce progetti universitari, vive una funambolica vita multitasking resistendo contemporaneamente alle pressioni sociali, ai doveri familiari e alle pessime battute del suo capo. Dall’altra parte del mondo in l’Afghanistan, Najibullah – Ciro Masella – amico in tempo di pace, scrive chiedendo aiuto. I talebani arrivano: chiunque abbia collaborato con l’amministrazione americana rischia la vita, chi ha famiglia, soprattutto chi ha moglie, figlie, sorelle teme, perché conosce già cosa accadrà. Inizia così uno scambio, via via sempre più frenetico, tra Francesca, l’ambasciata italiana e il gruppo di afghani che le si sono affidati nel tentativo di uscire fuori dal paese, in mezzo alla calca di disperati che si affolla all’aeroporto, rischiando attentati, uccisioni, rischiando di restare a terra. E mano a mano che il filo tra noi e “loro” si assottiglia, insieme alle speranze di riuscire in questo piccolo miracolo, emerge la follia vacua del nostro tempo malato di delirio d’onnipotenza e omologazione forzata.
UN OMBRELLO ROSA A KABUL: nascere dalla parte fortunata del mondo

Scelta coraggiosa e ben riuscita quella di consegnare il racconto di questa storia al linguaggio semplice della vita quotidiana. Non c’è retorica né trasfigurazione poetica nelle parole o nei gesti. La semplice realtà piana e univoca dei giorni che non ricorderemo viene squarciata dallo straordinario, dalla presa di coscienza che per qualcuno possiamo di colpo fare la differenza tra la vita e la morte. Nascere nella parte fortunata del mondo educa all’indifferenza seriale, trasforma l’umanità in un concetto di massa, riassumibile in statistiche numeriche, fino a che in quella folla conosciamo il nome di qualcuno, riconosciamo un messaggio di whatsapp o la voce lanciata oltre l’oceano. E allora diventa urgente tendere una mano, sbalordirsi, indignarsi, non sottrarsi. Non c’è tempo per nessun autocompiacimento intellettuale, si tratta di rispondere ad una richiesta d’aiuto, con il poco che si ha, una lista di persone, un ombrello colorato che le identifichi e l’ossessiva richiesta di essere ascoltati. Alter ego della protagonista, un ventaglio di voci e presenze maschili, interpretate con puntualità ed ironia da Ciro Masella, tra cui spicca su tutte quella del ragazzo afghano, vibrante di angoscia ma trapuntata di una dignità, di un’empatia saggia ed elevata che ci spiazza, col suo richiamo dolce e pacato a non preoccuparsi: “questa è la nostra sfida Francesca, troveremo una strada per noi. Dio è buono”.
UN OMBRELLO ROSA A KABUL: inside the river

I’m inside the river. Queste le parole di Najibullah consegnate ad un grappolo di messaggi nella rete. Parole-Fatti che si caricano di un surreale significato metaforico: il fiume reale che separa dalla salvezza è anche il fiume della Storia, quella che un giorno inghiottirà i volti senza nome di un’intera civiltà a rischio di cancellazione, riducendone la traccia in poche righe su un manuale scolastico. I Piedi nell’acqua e la testa rivolta al cielo, proprio come le radici dell’albero del pistacchio, simbolo del paese martoriato in cui è germogliata questa storia. Inside the river è anche Francesca, di cui Alessia de Rosa ci mostra l’evoluzione, il risveglio progressivo di coscienza che la trasforma da individuo assuefatto, omologato, privo di domande sulla possibilità di alternative ai circuiti sociali obbligati, in cuore palpitante di amore e urgenza verso i propri simili: “li amo tutti quelli accanto a me e quelli a Kabul”. Lo spettacolo intesse una relazione graduale col pubblico che si ritrova alla fine insieme agli attori ad osservare sullo schermo l’epilogo della storia di cui non diciamo niente, se non ciò che il silenzio commosso in sala, dopo l’ultima parola, ci ricorda: We are all in the same boat, siamo tutti sulla stessa barca, tutti umani, tutti fratelli. Senza retorica. Solo una storia vera.
Visto il 27 novembre 2022 al Teatro della Limoniaia, Sesto Fiorentino
UN OMBRELLO ROSA A KABUL
Regia Andrea Bruni
Drammaturgia Andrea Bruni, Alessia De Rosa
Interpreti Alessia De Rosa, Ciro Masella
Costumi Sabrina Vanni
Musiche originali Pejmant Tadayon
Produzione Associazione Zera