Fino al 19 giugno, a Firenze, la Tobian Art Gallery ospita “Tabù. Classico Contemporaneo” la prima personale dell’artista rivelazione Cecilia Cosci, che si è conquistata da subito l’interesse di critica e pubblico. Delle quarantasette opere esposte, undici risultano ormai acquistate. Un vero e proprio caso, ma non un caso, dato l’alto livello estetico e immaginifico e la portata straordinaria di questo taglio. Il 17 giugno si terrà il finissage.
I montage di Cecilia Cosci
Le opere, nominate montage per l’originalità compositiva, nascono spiazzando-unendo perfettamente pezzi di arte pittorica classica e moderna. Questa invenzione audace e feconda, si apre in una complessa poetica intorno alle crucialità di eros e thanatos, non mancando di smascherare e ironizzare la nostra totale mancanza di presa sul mistero e sulla vita stessa. Opere eleganti e dirompenti, che indagano attraverso la sproporzione la relazione tra l’io e l’Altro e l’eccedenza del desiderio d’assoluto, spesso tirannico.
In freschezza stupefacente si avverano le domande e si rovesciano i temi più antichi sui tabù, sempre attuali, delle origini: peccato, cacciata, annunciazione, nascita, miracolo, ascensione. Cosci affaccia i capisaldi biblici e le radici di un rinascimento sicuro, sull’abisso di un sisma di estrema vitalità. Ne esce una mitologia alla rovescia, di equilibrismo rischioso e divertito, che intriso di ferite e dell’allegria dei naufraghi, narra in questi improvvisi estatici, le fragilità del nostro essere mancanti, appesi e in perenne forse. Distanze enormi e misericordiose, dove l’umano e il divino si ritrovano, capitolando. A tratti sembra che dio crolli in nostalgia di noi.
Cecilia Cosci: Liberazione è nascita
Dopo una clausura avvilente, stretta tra paure e precauzioni anticovid, fine maggio ci regala la liberazione, pulsione chiave dell’opera di Cosci, cifra della sua generosità e della sua irriverenza. La mostra, curata da Gisellla Guarducci, è corredata da un catalogo con testi di Gianni Pozzi, Gianni Caverni e Adalinda Gasparini. Il 17 giugno si terrà il finissage. “I miei personaggi sono perlopiù perdenti. C’è sempre qualcosa che cade nelle mie composizioni” Ma la prima liberazione che Cosci compie è donar nuova vita, salvare dalla pietra-lapide, far volare il cavallo dal piedistallo (“La fuga”), staccare personaggi marginali dai contorni stretti di una storia, togliere le star dei capolavori da fissità mortifere, dall’icona mansueta per giocare a spalancare, a ribaltare posizioni e prospettive e a tirar giù i santi. A costo di schiacciare tra le mani la madonna (“Preghiera”).
Cecilia Cosci: Umano, divino
Lo spaesamento è meraviglia e atterrimento, calamita e calamità, e si dichiara attraverso la perdita d’aureola ed eroismo. La sfida è smarrita eppure rilanciata, la salvezza è l’unica questione, l’acrobatico fil rouge che sprigiona questa visione comica e tragica dell’umano nelle prossimità del divino. E il suo Ulisse è imperterrito, infante, si fida dell’alto e dell’altro, e vi si consegna come in culla (“Il grande sonno”). Come l’unico modo per rendere presente la mano invisibile di dio. Spesso sintetizzato in un’ampia veste.
Altre mani presenti: quelle forti e brutali che contendono una Madonna/bambola nell’opera “Amatissima”. E quelle che appunto schiacciono ironicamente Maria per mandar più in alto la preghiera. Sono mani che nell’atto di afferrare perdono, perchè il potere è nullo, la presa frana, come quella amorevole e materna de “La custode di teste”, raccoglitrice omnicomprenisva, condannata a non salvare tutti. E sono i non-salvati che contano. Opera opposta e in versione divertita il Gesù circense, giocoliere che lancia le teste dei santi, senza badare alle tante finite a terra, non a caso ai suoi piedi. Nessun numero riesce, nessuna scena è perfetta. E comunque, tutto è mirabile finzione. Sembra davvero variare, d’umore e d’intenti, la mano che apparentemente governa questi teatri shakespeariani. E quella con le forbici dell’opera in vetrina, che sta stagliuzzando il volto di una donna è la mano che decide l’infinita fine in fioritura, la mano cioè dell’artista, l’audacia del suo atto arbitrario di creazione e distruzione. I pezzetti del viso amato volano verso l’alto, felici come rondini. “Coriandoli”.
Cecilia Cosci: la burattinaia dei tabù
Svelato l’atto segreto dell’intera opera. Cecilia Cosci, burattinaia divertita e beffarda, commossa e sgomenta, che mette visivamente in ‘ballo’ il sacro – basta pensare al “Girotondo” dei Cristi improvvisamente spezzato – esponendo lo spacco tra pieno e vuoto, in un’andirivieni di irriverenza e invocazione. E provoca i benpensanti, deridendo lo scandalo (“Lgtb”, “Mamma”, “Ascensione”). Forse in questo intreccio di temi, nella sorgività di questa esplosione, amor omnia vincit, denudato ora in perdita, ora in schiavitù, ora in contemplazione, o segnato da ineluttabile e struggente solitudine (“Isolamento”). Rimandi alla fiaba e alle sue prove. E quale “Prova d’amore” più grande di quella di un angelo che si taglia la testa per la sua amata indifferente? Come lui, c’è da perder la testa per le le opere di Cosci. E ne vale la gioia e il tremore.
Cecilia Cosci: icone ritagliate
Solo alcune figure sono riconoscibili, come la Gioconda del Da Vinci, dagli occhi in su, che il braccio armato di un cavaliere non riesce ad affondare, simbolo dell’indomabilità femminile e dell’arte (“Il principio d’archimede”), come i profili dei duchi di Urbino di Piero della Francesca, due coniugi algidi, dannati a guardarsi a distanza, di cui l’artista avvera finalmente il bacio, a teste capriolate in aria gioiosamente (“Amanti”). In altre opere Cecilia rovescia anche la condizione dell’icona, come in “Amleto”, dove il protagonista doma un teschio enorme, quasi fosse un pallone da calciare. Ma accade anche che l’artista generi come protagonista un’assente. All’ultima cena compare di spalle la figura esclusa ed è la cuoca che, seduta, ammira il suo miracolo, coprendo la figura di Gesù, ci sarà pur stata una donna a cucinare il banchetto, no? (“Babette”)
Il gioco è andato presto oltre, le opere sono talmente un unicum inaspettato e perturbante che ci dimentichiamo da dove siano stati tratti i dettagli, in ingegnosa e miracolosa fusione. Forbici, cataloghi, riviste. Genialità associativa, pazienza e abilità artigianale e l’incantesimo si è compiuto.
Opere in foto:
Cecilia Cosci, La custode di teste, carta 32×27 cm
Cecilia Cosci, Il principio di Archimede, carta 42×40 cm
Info:
TABU. CLASSICO CONTEMPORANEO
Cecilia Cosci
mostra curata da Gisella Guarducci
Tobian Art Gallery
Via Maggio 78r, Firenze
28 Maggio – 19 Giugno 2021
per approfondire:
FUL MAGAZINE: I MONTAGE DI CECILIA COSCI: TUTTA L’ARTE È CONTEMPORANEA
ARTE.IT: TABU CLASSICO CONTEMPORANEO