SPETTRI @Teatro della Pergola: un dramma borghese ancora attuale

In scena al Teatro della Pergola di Firenze SPETTRI di Henrik Ibsen, in una nuova versione adattata da Fausto Paravidino e diretta da Rimas Tuminas, con Andrea Jonasson, vedova e musa ispiratrice di Giorgio Strehler. Gli spettri rivelano l’infelicità irrimediabile a cui ciascuno è destinato.

SPETTRI: Helene, alter ego di Nora

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SPETTRI: Andrea Jonasson (foto Serena Pea)

Nell’opera, emblematica del dramma borghese, Ibsen rappresenta in modo lucido la borghesia di fine Ottocento, schiacciata da doveri e convenzioni. SPETTRI è una sorta di amaro seguito di Casa di bambola, che si chiudeva con la fuga della protagonista Nora dal soffocante contesto familiare e dai doveri imposti dal perbenismo: Helene, la protagonista di SPETTRI, interpretata da Andrea Jonasson, non è riuscita in gioventù a portare a termine la propria fuga, è tornata dal marito, il capitano Alving, e ora, in vecchiaia, dopo la morte di questi, da un lato celebra la sua memoria intitolandogli un orfanatrofio, dall’altro ripercorre insieme al pastore Manders (Fabio Sartor), di cui era innamorata in passato, gli anni del proprio matrimonio, scanditi dall’insoddisfazione, dai tradimenti e dall’alcolismo del marito. Le scelte di Helene in nome dei doveri sociali l’hanno portata a vivere di rimpianti e rimorsi, sacrificando la propria felicità alle convenzioni sociali. 

Tutti noi non siamo nient’altro che degli SPETTRI

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SPETTRI: madre e figlio, A. Jonasson e G. Merolli (foto Serena Pea)

Gli spettri che danno il titolo all’opera ritornano costantemente nelle parole della protagonista: le illusioni dei personaggi, il ricordo delle loro scelte sbagliate, le immagini di sé che si sono costruiti per corrispondere a un ideale sociale, le bugie che hanno raccontato per sopravvivere a una vita che non è la loro. “Tutti noi non siamo nient’altro che degli spettri” dice Helene al pastore ripensando al proprio passato. Ma spettri sono anche i segreti familiari, che emergono via via nel corso della vicenda. Osvald (Gianluca Merolli), figlio di Helene e del capitano Alving, torna a casa dopo aver cercato di vivere una vita più libera a Parigi e rivela alla madre la propria malattia, ereditata dal padre; la sua unica speranza di felicità è la relazione con Regine (Eleonora Panizzo), la figlia della cameriera di casa, che si rivela però essere nel finale sua sorellastra: la loro vicenda, che sembra per un momento poter accedere alla felicità, è destinata a scontrarsi con gli errori e le menzogne dei loro genitori, che mettono fine alla loro labile speranza.

SPETTRI: la nebbia e lo specchio

La vicenda si svolge interamente in un salotto borghese, rappresentato sul palco nei suoi elementi essenziali,  qualche sedia, un tavolo, un grande lampadario, pochi oggetti di scena. Il palco è completamente nero e percorso da una nebbia che non si dissipa mai, se non nella conclusione. Sullo sfondo un grande specchio rimanda le immagini deformate degli attori, rappresentazione degli spettri che danno il titolo all’opera. Esso rimane per lo più immobile a fare da sfondo alle vicende, ma si muove accompagnando la danza degli attori nei brevi momenti musicali che rappresentano la joie de vivre di Osvald e Regine, effimera quanto la possibilità di felicità in un mondo in cui essa deve essere sacrificata alle convenzioni e al dovere di rendere felici gli altri.

SPETTRI: il quadro sacro conclusivo

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SPETTRI: i protagonisti (foto Serena Pea)

Andrea Jonasson interpreta magistralmente il personaggio di Helene, senza mai eccedere nel patetismo, mettendo in scena una donna piena di dignità ma anche di insoddisfazione. Il culmine della sua interpretazione viene raggiunto nella conclusione, quando sulla scena restano solo Helene e il figlio, ormai liberi dai segreti e dalle bugie ma destinati all’infelicità. Il finale è caratterizzato da una serie di simboli religiosi e compone una sacra rappresentazione. Osvald, ormai solo e disperato, diviene una sorta di San Sebastiano che si accascia a terra e invoca la morte e il sole. Helene è anche iconograficamente un alter ego della Vergine della Pietà di Michelangelo, stringendo nelle sue mani la boccetta della morfina dalla quale il figlio invoca la morte. Nessun contatto è possibile però tra madre e figlio: sono soli e distanti sulla scena, ciascuno chiuso nella rappresentazione del proprio dramma personale. La nebbia si è finalmente dissipata ma quello che rivela è l’infelicità irrimediabile a cui ciascuno è destinato.

SPETTRI: un dramma eterno

Il riadattamento del testo di Ibsen indulge a qualche attualizzazione in realtà non necessaria, perché il tema dell’opera parla ancora al pubblico. La felicità è un diritto? Possiamo noi pensare di rinunciare ad essa in nome dei doveri sociali o, più semplicemente, per costruire quella che crediamo essere la felicità degli altri? La risposta di Ibsen è molto chiara: rinunciare alla propria felicità significa non solo condannarsi a un’esistenza piena di rimpianti e rimorsi, ma anche rendere di fatto infelici coloro che ci circondano, soprattutto i figli, che scontano sulla propria pelle gli errori dei genitori, in una dinamica che ricorda da vicino quella della tragedia greca, in primis la vicenda di Edipo e della sua progenie. Nel dramma non sono proposte soluzioni o alternative: semplicemente si dichiara il fallimento di un sistema, quello borghese ottocentesco, basato sull’idea della colpa e del sacrificio e destinato a chiudersi su un quadro di dolore universale.

Visto il 9 febbraio 2023, Teatro della Pergola, Firenze

SPETTRI

di Henrik Ibsen
versione italiana e adattamento Fausto Paravidino
con Andrea Jonasson
e con Gianluca Merolli, Fabio Sartor, Giancarlo Previati, Eleonora Panizzo
scene e costumi Adomas Jacovskis
musica Faustas Latènas, Giedrius Puskunigis, Jean Sibelius, Georges Bizet
disegno luci Fiammetta Baldiserri
regia Rimas Tuminas
produzione TSV

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