A vent’anni dal suo debutto, in scena al Fabbricone di Prato SEXMACHINE di e con Giuliana Musso accompagnata e sostenuta dalla chitarra e dalla presenza di Gianluigi Meggiorin. Con il sottotitolo “un popolo di santi, poeti, navigatori e puttanieri” l’artista veneta affronta lo scottante tema del sesso a pagamento con le ipocrisie, i luoghi comuni e le esperienze che legano le storie di quattro uomini e due donne pronti a raccontarsi. Una inesorabile successione di quadri capaci di definire un panorama complesso e controverso sul “paradosso più antico del mondo” spaziando tra mille sensazioni ed emozioni che sono arrivate dritte al pubblico in tutta la loro intensità. SEXMACHINE è il terzo di cinque appuntamenti (qui i pezzi già dedicati a Davide Enia ed Eleonora Danco) del progetto A Singolar Tenzone – i monologhi del XXI sec. voluto dal direttore artistico Massimiliano Civica per portare a Prato storici monologhi che compiono il loro ventesimo anno dal debutto.
Contenuti
SEXMACHINE: i caratteri in crescendo di Giuliana Musso

E’ un inesorabile e travolgente crescendo quello a cui assistiamo nei 90 minuti di SEXMACHINE. Lo scarno spazio scenico incolore dove si intravedono due sgabelli al centro e un microfono ad asta di lato in primo piano, assumerà i contorni prima sfumati poi sempre più nitidi della laboriosa provincia veneta, quella che crediamo fatta solo di persone perbene dedite alla famiglia e al lavoro. L’accento e il rigore morale fanno da sfondo ai caratteri che, uno alla volta, emergono dall’oscurità attenuata solamente dalle luci che sapientemente delimitano, amplificano e costruiscono. Ad arricchire di sfumature questi caratteri, che si fanno improvvisamente personaggi in carne ed idiosincrasie, una Giuliana Musso che non sbaglia un colpo districandosi con disinvoltura tra generi e coloriture diversi.
La successione di quadri in SEXMACHINE

Apre la serie l’anziano Dino che al parco dialoga con un musicista (in scena Gianluigi Meggiorin e la sua chitarra) desideroso di condividere con lui i vizi del tempo presente e il suo rigoroso attaccamento alla famiglia prima di rimembrare un tempo in cui frequentava orgogliosamente il bordello locale. Un passato che ha lasciato qualche strascico nei saltuari incontri con Silvana, prostituta di mezz’età con cui la sintonia è oramai garantita ad ogni appuntamento. Anche lei farà la sua comparsa in scena con il suo cinismo e la sua esperienza, fatta di calma e gentilezza tramite cui osservare “questo consorzio umano” di clienti che acquistano, in fondo, solo “l’idea di fare sesso con una prostituta”. A lei aveva lasciato però il posto Vittorio, “macchina sessuale ambulante” che, diversamente dalle aspettative, ha trovato particolare affiatamento con un trans sebbene non dubiti del suo machismo, ostentato nel racconto dei suoi tour sessuali in Thailandia. Per contrapposizione giunge la moglie di Dino, rappresentata in più giovane età, quando il primo figlio, dal dubbio orientamento sessuale, era ancora un bambino, già tacciato di “essere una femminuccia”. Con il suo perbenismo riesce a sfoderare luoghi comuni ed ipocrisie sulla “schiavitù dell’orgasmo” alla quale le donne moderne sarebbero destinate. Se proprio il desiderio di godimento è così forte da svendere il proprio corpo, che lo facciano però lontano dalla gente perbene. A questo attacco di sindrome NIMB segue l’assiduo dongiovanni Igor che si lamenta di non poter più infilare l’euro nelle mutandine delle ballerine di lapdance come faceva fino a poco tempo fa col “millino” del vecchio conio – chiaro segnale dell’età del testo. Dopo uno scambio esilarante con il pubblico sul possesso di tatuaggi, la serie si chiude con il cliente che, vergognandosi di mostrarsi in volto, confessa ad una prostituta tutta l’amarezza e il senso di fallimentare sconfitta che la fine della propria azienda gli provoca.
La purezza della narrazione di Giuliana Musso
“Se vi bisogniamo, allora ditelo”: con l’appello di una prostituta, soffocato dalle convenzioni e dal perbenismo, si apre e si chiude una rappresentazione che ci regala una pinacoteca di quadri perfettamente incorniciati dalla musica e dagli intermezzi – oltre che dalla sua giacca rossa, unico elemento cromaticamente rilevante – di Meggiorin, ottima spalla che costituisce la struttura portante sulla quale la Musso ha poi distribuito le sue pennellate di emotività ed ironia. In fin dei conti SEXMACHINE è narrazione allo stato puro, lettura di una realtà alle porte del nuovo millennio che con la prostituzione avrebbe visto indagati anche i vertici del Governo nazionale. Un tema che era e resta di scottante attualità ma che è affetto da profonda ed incancrenita ipocrisia. Le puttane sono escort mentre i delitti d’onore sono diventati femminicidi che fanno a malapena notizia se a caderne vittima è una schiava del sesso a pagamento, una invisibile sconosciuta che esisteva solo nei minuti in cui vendeva godimento ai suoi clienti.
SEXMACHINE: dalla narrazione all’indagine sociologica

Recentemente in un pezzo di Sandro Avanzo su SpettacoliNews si riportava una dichiarazione di Giovanni Ortoleva, di cui Gufetto ha già recensito il Lancillotto e Ginevra, nella quale il giovane drammaturgo fiorentino si chiedeva cosa fosse il teatro se non narrazione. Di fronte alla performance di Giuliana Musso si assume consapevolezza che quel teatro di narrazione, che tra gli altri nel suo conterraneo Goldoni aveva trovato ampio respiro e rinnovamento, non si limita a raccontare ma è mezzo di indagine sociologica e antropologica. Un teatro che non è fatto solo per essere guardato ma per guardare in un perfetto scambio dei ruoli tra attore a pubblico. Quei personaggi sul palco siamo noi e l’accoppiata Musso/Meggiorin ci sta studiando, imitando e deridendo con una libertà che solo le arti si possono concedere, privilegio assoluto dell’artista che in questa drammaturgia è fine artigianato. Uno scultore – magari di quel pregevole marmo rosso veronese – che scalpella nello spazio scenico ogni piccola sfumatura per forgiare quei caratteri finora solo abbozzati. E se tra il pubblico ci fosse stato un Bernini, avrebbe potuto provare una certa invidia.
Visto al Teatro Fabbricone di Prato il 22 gennaio 2023
SEXMACHINE
di e con Giuliana Musso
e con “Igi” Gianluigi Meggiorin
regia Massimo Somaglino
collaborazione al soggetto Carla Corso
suono e luci Claudio Poldo Parrino
produzione La Corte Ospitale