LE VOCI DELLA SERA @Teatro Antella: Frasson dà vita alle pagine della Ginzburg

Silvia Frasson con LE VOCI DELLA SERA in prima nazionale al Teatro Comunale di Antella, realizza un sogno, coltivato da tempo: portare sulla scena le delicatissime parole di Natalia Ginzburg, i suoi personaggi, potenti e veri, come la vita, fatta di quel niente che è tutto. Nella scena nera, con solo una poltrona anni cinquanta, Silvia, avvolta in un abito vintage e soprabito, ci trascina nelle vicende di Elsa e Tommasino, accompagnata dalle musiche originali di Guido Sodo, con un racconto corale, perfettamente aderente alla sobrietà originale del romanzo.

LE VOCI DELLA SERA: una carrellata di personaggi

Silvia Frasson, Le voci della sera, foto di Valentina Fontanella

Un intero paese di campagna, in provincia, lontano dalla mondanità cittadina, popolato da una carrellata di personaggi a cui Silvia Frasson dona vita e voce sulla scena, senza fronzoli: la madre, la figlia Elsa, il dottore, il generale, il vecchio, le bimbe Bottiglia, la zia Ottavia, Gigi Sartorio, il Purillo, Tommasino e tutti gli altri. Non manca nessuna delle piccole vite affrescate da Natalia Ginzburg ne LE VOCI DELLA SERA, in questo adattamento perfetto che Silvia Frasson porta per la prima volta a teatro, grazie alla produzione di Archetipo. Lo spettacolo conserva l’essenza di quella vita borghese del secondo dopoguerra, in inesorabile declino, con le sue convenzioni e regole, ad ovattare (e perfino censurare) le emozioni e i sentimenti dei protagonisti: “il matrimonio per una donna, il destino più bello”. La madre col suo soliloquio di lamenti sulla propria cagionevole salute, il cruccio dei figli lontani e i succosi pettegolezzi su tutto il paese, apre lo spettacolo, col suo tono leggermente in falsetto, in un monologo che è un fiume in piena, offrendoci un quadro chiaro dei personaggi e delle loro miserie. La ascoltiamo con il suo stesso nodo in gola, in parte divertiti e in parte carichi di pietà per quelle esistenze immerse nell’odore rancido proveniente dalla fabbrica tessile del vecchio Balotta, che dà il pane a tutto il paese. Ci guidano nelle vicende delle famiglie le parole scarne di Elsa, l’io-narrante del romanzo della Ginzburg, presenza schiva e attenta a non disturbare con i propri pensieri e desideri, testimone fedele e realistica, ma anche osservatrice arguta delle piccole storie e della grande Storia, fatta di tiepidi socialisti e occasionali fascisti. Coi suoi occhi prendiamo lentamente coscienza delle relazioni profonde che nascono; ci affezioniamo ai personaggi, che si alternano sulla scena, tutti interpretati dalla Frasson, tra cui non ci sono buoni e cattivi, ma una moltitudine di vite isolate intrecciate nelle parentele delle famiglie.

LE VOCI DELLA SERA: un delicato quadro popolare

Silvia Frasson, Le voci della sera, foto di Valentina Fontanella

La capacità di Silvia Frasson di far apparire in ogni scena i personaggi con pochi essenziali gesti, con l’espressione impercettibilmente mutata del volto o il tono della voce di poco più alto o più basso, si sposa perfettamente con la delicatezza del racconto della Ginzburg, dandoci la sensazione che il romanzo sia stato scritto proprio per essere interpretato. La narrazione ridotta all’osso con i continui “lei disse, lui disse” allontana dai personaggi ogni riflessione psicologica su se stessi, illuminando i fatti, le vicende, le parole, le voci, appunto, quelle della sera, quando si fa un compendio del giorno trascorso, su una poltroncina di un salotto di provincia. Sono le chiacchiere tra confidenti, ironiche e vivide, ad animare un intero paese; raccontano le vite normali, i dispiaceri e le soddisfazioni fatte di niente: la corriera che porta in città, le feste organizzate in casa, la felicità e l’infelicità, la malinconia, le piccole scelte quotidiane. Insomma, la vita vera, senza eroi, senza tragedie, senza retrogusti simbolici, senza analisi psicologiche esplicitate, per lasciare allo spettatore, come al lettore, ogni commento e riflessione, per permettergli di vedere la propria vita allo specchio, nelle vicende de LE VOCI DELLA SERA, attraverso quella splendida sobrietà che accomuna l’autrice e l’interprete. Ne esce uno spettacolo divertente ed emozionante, ma mai esagerato, dai toni pacati, diverso dalla potenza con cui la Frasson ci ha travolto nei precedenti lavori: Brendulo, Santa Giovanna dell’Immaginazione, La Vita Salva (che abbiamo recensito su Gufetto). Con LE VOCI DELLA SERA raggiunge una nuova maturità, dove non sente il bisogno di spingere la recitazione per tenere inchiodato lo spettatore dopo averlo acchiappato: ci coinvolge per gradi nella vicenda di Elsa, nel suo amore clandestino, destinato a fallire; resta sempre a lato della storia, pur interpretando ogni personaggio, sembra ritirarsi occupando spesso la parte più lontana del palco; avanza nel proscenio quando guarda il paese, potendo così analizzare i rapporti sociali, senza mai affondare nelle emozioni, così come fanno i protagonisti che pur desiderando la passione dell’amore, “un amore che non si stacca mai, che suona il tamburo” ci rinunciano nella cornice della convenzione sociale di sapersi accontentare: “è poco, ma lo faccio bastare”.

LE VOCI DELLA SERA: il dolore della ricerca della felicità

Silvia Frasson, Le voci della sera, foto di Valentina Fontanella

Elsa, forse come ogni essere umano, è alla ricerca della felicità – quel diritto sancito dalla costituzione statunitense, tanto lontana dall’indole nostrana – “la felicità pare sempre niente, è come l’acqua: ce ne accorgiamo solo quando è perduta”. La trova nella stanza spoglia in Via Gorizia, tra le braccia di Tommasino, il signore della casa tonda, nelle passeggiate nel parco, nell’appuntamento fuori dalla biblioteca Selecta, dove prende i libri in prestito per la zia Ottavia, nell’ultima corriera per tornare in paese. Ma la felicità contiene essa stessa il dolore di perderla: il rischio di non aderire a quell’immagine cristallizzata nel sogno di perfezione, idealizzata da una società che ci vorrebbe tutti uguali, tutti adeguati, tutti ordinati e in fila, per aderire al modello, senza scelte fuori dall’ordinario. Elsa è contenuta nella propria gabbia, a cena con la madre che offre al ritroso fidanzato il soufflé: “che effetto ti fa la mia cornice?” immagina il futuro, con la nitidezza del destino già scritto. Ma la vita costringe i due giovani ad aprire gli occhi sul presente, a sentire forte la delusione di un amore imperfetto, non da cartolina, fatto di compromessi e di silenzi. Guardano in faccia la propria anima che grida, si accorgono di aver sotterrato i propri desideri, di aver scavato una piccola fossa ai propri pensieri, di aver voltato le spalle a se stessi per soddisfare le aspettative proprie e degli altri, di un paese, di una società, di un mondo, quello de I nostri ieri, e quello di oggi.

“Tu e io, là abbiamo avuto qualcosa, fragile; era poco, ma era qualcosa”

Visto il 15 aprile 2023 al Teatro Comunale di Antella, Firenze

LE VOCI DELLA SERA

dall’omonimo romanzo di Natalia Ginzburg
adattamento e regia di Silvia Frasson
con Silvia Frasson
musiche originali di Guido Sodo
disegno luci Andreas Froeba
abito di scena ElenaB Vintage Torino
una produzione Archetipo
PRIMA NAZIONALE

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