LA STOFFA DEI SOGNI @Teatro Metastasio: in bilico tra sogno, arte e realtà

LA STOFFA DEI SOGNI nuova attesa creazione di Armando Pirozzi e Massimiliano Civica ha debuttato al Teatro Metastasio di Prato, in scena gli stretti legami tra un padre e una figlia, un allievo e un maestro, in una lunga notte a metà tra sogno e realtà.

a cura di Susanna Pietrosanti e Federica Murolo

LA STOFFA DEI SOGNI: scelte stilistiche di Civica

La stoffa dei sogni, una scena dello spettacolo, ph. Duccio Burberi

Guarda tutto, suggeriva Georges Banu, recentemente mancato, nei suoi consigli ai critici di teatro. Guarda la scenografia, cerca di capirne le regole, le leggi, e cosa suggeriscono le linee in cui sono collocati i mobili, e come sono, quale universo creano. La scenografia di LA STOFFA DEI SOGNI di Massimiliano Civica, in questi giorni sul palco del Teatro Metastasio, è topica del regista: un rettangolo di luce che disegna il vero palco,  l’agorà su cui i personaggi si muovono, e fuori dalla zona di luce, da un lato, una panca di legno sulla quale, non illuminati, gli attori aspettano il loro nuovo momento di prendersi l’attenzione del pubblico, restando sempre visibili sul palco. Quando non tocca a loro, al posto di ritirarsi dietro le quinte si posizionano “in panchina” al buio rispetto alla scena illuminata, allestita come un salotto domestico con una poltrona di vimini, un tavolino, un tappeto arrotolato, un vecchio baule ed una pianta. Nel rettangolo di luce il tappeto, una volta aperto, costituisce un rettangolo minore, circondato e sovrastato da isole ristrette, la poltrona di vimini, lo sgabello. Minimi luoghi deputati per personaggi che solcheranno questo squallore, si muoveranno tra mobili sciupati, saranno autorizzati a vomitare liberamente sul tappeto e negli angoli della stanza dove, dice Barbara, il cane è comunque abituato a sporcare. Un reale squallido, e triste. La regia rinuncia a qualunque abbellimento, perché la scena è la scatola vuota a cui il testo deve donare vita, e solo lui. Il testo di Armando Pirozzi è il vero protagonista del lavoro: se ne fa portavoce con abbondanza di vezzi attoriali e con una tastiera molteplice Renato Carpentieri, nei panni di Carmine. Barbara, Maria Vittoria Argenti, lo porge tagliente e duro e ristretto come una barra d’acciaio, e Vincenzo Abbate, Rocco, talvolta si fa trasparente per naturalezza nel suo tentativo di attraversarlo senza filtri.

Shakespeare ne LA STOFFA DEI SOGNI

Tutta la vicenda si svolge in una sola notte dal sapore Shakespeariano. I rimandi all’opera La Tempesta del grande drammaturgo sono frequenti durante lo spettacolo ed è evidente dunque l’intenzione di Civica di volergli rendere omaggio. Non a caso la professione assegnata al personaggio di Carmine è proprio quella dell’attore, a metà tra sogno e realtà e, forse proprio per questo, non riesce mai a trovare piena accettazione dalle menti più razionali. Barbara ha eretto un muro nei confronti di quell’artistoide di suo padre con tutto il suo corpo che rimane rigido, statico ed accompagnato da una voce tanto gelida quanto disperata quando gli parla. Carmine dall’altra parte cerca a modo suo di scavarsi un piccolo passaggio all’interno del cuore della figlia, ha una postura ed una gestualità più morbida e rilassata, una voce calda e vuole dimostrare a Barbara il suo affetto provando a portarla un po’ in quel suo mondo fatto di sogni, fantasmi e fantasie, grazie anche all’aiuto di Rocco per farle capire che in fondo lui le vuole sempre bene.

L’arte come co-protagonista de LA STOFFA DEI SOGNI

Vincenzo Abbate, Renato Carpentieri, Maria Vittoria Argenti, ph. Duccio Burberi

Rapporti di amore/odio in famiglia, rapporti di assoluto amore nell’arte. Ed ecco, l’Arte è il secondo tema del lavoro. L’attore contagiato dal virus del teatro che gli impedisce di essere un uomo come gli altri, lo rende peggiore, meno umano, meno coerente, meno affidabile, ma anche diverso, diversamente superiore, un ipocrita sincero che vede oltre, e vive una dimensione fatta della STOFFA DEI SOGNI: un reale irreale che solo un attore può abitare. Non a caso il testo è un incrocio di citazioni. Shakespeare è dichiaratamente citato, oltre a La tempesta, Lear è declinato con evidenza nel rapporto con Barbara che capovolge quello con Cordelia; ma tralucono anche Riccardo III, Saul e le sue visioni, volendo cambiare autore, e La vita è sogno, certo, specie questa vita di attore. Le citazioni sono sostanziali anche nello stile recitativo, e Gassman, citato nel testo come il grande attore che fa recital di poesie, sottostà alla maniera di Renato Carpentieri: il Gassman pasoliniano che dialoga col barbone Cacarella nel finale di Affabulazione e, disperato, stropicciato e carismatico, lo prega di lasciarlo “ricominciare da capo”.

LA STOFFA DEI SOGNI: il ruolo dello spettatore

Probabilmente, il vero tema del lavoro è la memoria. Quella personale, angosciante, terribile, di ciò che abbiamo mancato (Carmine avrebbe voluto diventare un attore shakespeariano ed è un cabarettista, un pagliaccio, lo chiama crudelmente Barbara) o che ci è mancato (la svolta giusta, il successo, la meta), ma anche quella, appunto, teatrale. La memoria teatrale, il regista lo sa, non è tanto un discorso critico quanto un discorso artistico dove si intrecciano il ricordo e la soggettività, la memoria e il desiderio. Nel congegno di Civica lo spettatore assiste a uno spettacolo presente in un passato prossimo, può attualizzarlo, certo, consapevole o meno di trovarsi davanti all’incarnazione di un testo che è comunque opera presente che attualizza il passato. In questo congegno di immagini e di citazioni lo spettatore sa, anche se non mette a fuoco, che l’ultima memoria è e sarà la sua. Non vivono più né Shakespeare né gli altri grandi maestri, ma qui l’opportunità è di salvaguardare lampi di un teatro che passa ed è passato, circondati dall’oscurità dell’oblio. Di ricordarlo, forse di capirlo.

LA STOFFA DEI SOGNI: riflessioni

LA STOFFA DEI SOGNI, Renato Carpentieri, ph. Duccio Burberi

Federica Murolo – LA STOFFA DEI SOGNI risulta gradevole in tutti i suoi 75 minuti di durata anche perché racchiude il messaggio chiave del perdonarsi e saper perdonare. Per quanto si possa desiderare di avere accanto una persona familiare diversa, bisogna fare i conti con la realtà ed accettare l’altro con i suoi limiti umani: l’abbraccio tra le lacrime di Barbara e Carmine ne è la sintesi perfetta. Improvvisa la cesura che chiude la piéce con citazione del teatro indiano ripresa a sua volta da Schopenhauer (“possano sempre tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore”). Forse fin troppo repentina ed impostata per chiudere uno spettacolo fatto di sogni e di sentimenti.

Susanna Pietrosanti – La stretta tessitura di citazioni, lo sforzo evocativo, collocano saldamente il testo in una linea tradizionale, ribadiscono che comunque arte e ricerca si trasmettono, si muovono nel tempo, si sostengono. Il cappio diventa stretto e talvolta la maniera così deducibile, l’enorme impatto della recitazione, si avvertono con forza. La scommessa però è giocata con onestà. Lo dimostra il momento in cui tutti e tre i protagonisti vivono un ingenuo sketch di teatro, un gioco, due cavalieri che competono per la bella principessa. Un ciuffo di piume di pavone e una corona di carta trasformano il palco spoglio nella sala del trono: una luce dorata, l’incrociarsi di un bastone e di un ombrello in luogo di spade e tutto cambia. Il sogno è pericoloso. Se tenti di usarlo come categoria di comparazione, può sorprenderti e diventare vivo. Se di tutta la regia dovessimo salvare un momento, questo è magia. Lo stesso stupore di chi non credeva di trovare oro vivo nel fiume e viene folgorato dal suo brillare. Il regista è un tessitore cieco, ma anche uno scopritore valoroso, e il sogno gli balza tra le dita, sapendo bene che da quelle dita verrà nuovamente regalato, e vivrà.

Visto il 28 e 29 gennaio 2023, al Teatro Metastasio, Prato

LA STOFFA DEI SOGNI

di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti
costumi di Daniela Salernitano
disegno luci Massimo Galardini
suono Daniele Santi
oggetti di scena a cura di Enrico Capecchi e Loris Giancola
assistente alla regia Valeria Luchetti 
produzione Teatro Metastasio di Prato

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